Legge regionale 28 dicembre 2018, n. 48 (BUR n. 133/2018)
Legge regionale 28 dicembre 2018, n. 48 (BUR n. 133/2018) [sommario] [RTF]
PIANO SOCIO
SANITARIO REGIONALE 2019-2023 (1) (2)
Art. 1 - Piano socio sanitario
regionale 2019-2023.
1. In conformità all’articolo 1, comma 13, del decreto
legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 “Riordino della disciplina in
materia sanitaria, a norma dell’articolo 1 della legge 23 ottobre
1992, n. 421” e successive modifiche ed integrazioni e nel rispetto
dei principi fondamentali ivi contenuti, in attuazione degli articoli 2 e
6 della
legge
regionale 14 settembre 1994, n. 56 “Norme e principi per il
riordino del Servizio sanitario regionale in attuazione del decreto
legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 “Riordino della disciplina in
materia sanitaria”, così come modificato dal decreto
legislativo 7 dicembre 1993, n. 517”, in coerenza con il vigente
Piano sanitario nazionale, è approvato il Piano socio sanitario
regionale 2019-2023.
2. Il Piano socio sanitario regionale 2019-2023 individua gli indirizzi
di programmazione socio-sanitaria regionale per il quinquennio 2019-2023
ed è approvato nel testo allegato che costituisce parte integrante
della presente legge. (
3)
3. Il Piano socio sanitario regionale 2019-2023 è attuato dai
provvedimenti adottati dalla Giunta regionale nei settori
dell’assistenza territoriale, dell’assistenza ospedaliera,
delle reti assistenziali e socio sanitarie e trasmessi alla commissione
consiliare competente, che esprime il proprio parere entro trenta giorni
dalla data di ricevimento. Acquisito il parere della commissione
consiliare, la Giunta regionale approva i provvedimenti di attuazione di
cui al presente comma.
4. La Regione assicura le necessarie risorse per garantire sul territorio
regionale i livelli essenziali di assistenza di cui all’articolo 1
del decreto legislativo n. 502 del 1992 e di cui all’articolo 22,
commi 2 e 4 della legge 8 novembre 2000, n. 328 “Legge quadro per
la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi
sociali”. (
4)
Art. 2 - Esercizio delle forme
e condizioni particolari di autonomia ai sensi dell’Intesa tra il
Governo della Repubblica italiana e la Regione del Veneto.
1. Le forme e condizioni particolari di autonomia amministrativa e
legislativa nella materia “Tutela della Salute” previste in
capo alla Regione del Veneto sulla base dell’Accordo preliminare
all’Intesa prevista dall’articolo 116, terzo comma, della
Costituzione, firmato il 28 febbraio 2018 tra il Governo della Repubblica
italiana e la Regione del Veneto, nonché le ulteriori forme di
autonomia differenziata che saranno concesse nel prosieguo del negoziato,
come previsto dall’Accordo medesimo, saranno esercitate a seguito
dell’approvazione della legge statale di recepimento
dell’Intesa ai sensi dell’articolo 116, terzo comma, della
Costituzione.
Art. 3 - Modifiche alla
legge regionale 5
agosto 2010, n. 21 “Norme per la riorganizzazione del Servizio
ispettivo e di vigilanza per il sistema socio-sanitario
veneto”.
Art. 4 - Salvaguardia delle
specificità territoriali.
1. La Regione garantisce cura, assistenza e servizi socio-sanitari in
modo uniforme, appropriato e responsabile su tutto il territorio
regionale, salvaguardando, in conformità a quanto previsto
dall’articolo 15 della
legge regionale statutaria 17 aprile 2012, n.
1 “Statuto del Veneto”, le specificità del
territorio bellunese, del Polesine e lagunari.
Art. 5 - Valutazione del Piano
socio sanitario regionale 2019-2023.
1. Al fine di valutare l’efficacia degli interventi previsti nel
Piano socio sanitario regionale 2019-2023, la Giunta regionale, per il
tramite dell’Area Sanità e Sociale, attua il monitoraggio
sull’attuazione del Piano presso le singole aziende ed enti del
servizio sanitario regionale.
2. I risultati del monitoraggio sono raccolti da Azienda Zero e trasmessi
all’Area Sanità e Sociale, che semestralmente relaziona alla
Giunta regionale e alla competente commissione consiliare.
Art. 6 - Definizione delle
dotazioni standard e dei costi standard.
1. Entro il 2019 la Giunta regionale, sentita la competente commissione
consiliare, definisce le dotazioni standard del personale sanitario,
professionale e amministrativo dei servizi sanitari e socio-sanitari
necessari a garantire l’erogazione dei Livelli essenziali di
assistenza (LEA), con riferimento ai bacini territoriali coincidenti con
le aziende ULSS, in conformità a quanto previsto dall’articolo
128, comma 4, della
legge regionale 13 aprile 2001, n. 11
“Conferimento di funzioni e compiti amministrativi alle autonomie
locali in attuazione del decreto legislativo 31 marzo 1998, n.
112”.
Art. 7 - Schede di dotazione
territoriale dei servizi e delle strutture di ricovero intermedie.
1. La Giunta regionale approva, sentita la competente commissione
consiliare, contestualmente alle schede di dotazione ospedaliera, al fine
di rendere omogenea la prevenzione, l’assistenza e la cura nel
proprio territorio e per garantire la continuità
dell’assistenza e delle cure, le schede di dotazione territoriale
delle unità organizzative dei servizi e delle strutture di ricovero
intermedie da garantire in ogni azienda ULSS, tenendo conto
dell’articolazione distrettuale, della distribuzione delle
strutture sul territorio regionale nonché
dell’accessibilità da parte del cittadino.
2. Le schede di dotazione territoriale contengono anche la previsione
delle strutture residenziali e semiresidenziali sanitarie e
socio-sanitarie. I posti letto delle strutture intermedie avranno come
indice minimo lo 0,6 per mille della popolazione di età superiore ai
45 anni presente nell’Azienda ULSS di appartenenza.
3. Le specificità del territorio bellunese, del polesine, delle aree
montane e lagunari, delle aree a bassa densità abitativa possono
dotarsi di un incremento dei posti letto delle strutture previste nelle
schede territoriali dello 0,2 per mille.
3 bis. L’Ospedale del centro storico di Venezia è classificato
come presidio ospedaliero di primo livello, tenuto conto che il bacino di
utenza di afferenza dell’ospedale è comprensivo, oltre che
della popolazione del territorio insulare, anche della forte presenza
turistica e della mobilità urbana giornaliere, e considerate
altresì, in conformità all’articolo 15, comma 3, dello
Statuto del Veneto, le peculiari e disagiate condizioni geomorfologiche e
insulari. (
6)
Art. 8 - Conferimento
incarichi e valutazione dei dirigenti apicali di unità operative
complesse.
1. Il direttore generale delle aziende
ULSS, ospedaliere, ospedaliero-universitarie integrate e
dell’Istituto oncologico veneto (IOV) procede al conferimento degli
incarichi di dirigenti apicali di unità operativa complesse rendendo
pubbliche le motivazioni professionali ed evidenziando qualità e
meriti del soggetto al quale viene conferito l’incarico.
2. La Giunta regionale provvede, entro centottanta giorni
dall’entrata in vigore della presente legge, alla formulazione di
uno schema-tipo di contratto di lavoro che, nel rispetto della vigente
normativa, individua i seguenti criteri ai quali è obbligatorio far
riferimento per la valutazione di fine incarico dei dirigenti apicali di
unità operativa complesse:
a) quantità e qualità delle prestazioni sanitarie erogate in
relazione agli obiettivi assistenziali concordati preventivamente in sede
di discussione del budget;
b) valorizzazione dei collaboratori;
c) soddisfazione degli utenti;
d) strategie adottate per il contenimento dei costi tramite l’uso
appropriato delle risorse.
3. L’esito positivo della valutazione di cui al comma 2 determina
la conferma dell’incarico.
Art. 8 bis - Conferimento
degli incarichi di struttura complessa ai dirigenti delle professioni
sanitarie. (7)
1. La Giunta regionale individua i criteri e le procedure per il
conferimento degli incarichi di struttura complessa ai dirigenti delle
professioni sanitarie di cui all’articolo 6 della legge 10 agosto
2000, n. 251“Disciplina delle professioni sanitarie
infermieristiche, tecniche, della riabilitazione, della prevenzione
nonché della professione ostetrica”, previo avviso cui
l’azienda è tenuta a dare adeguata pubblicità, nel
rispetto dei principi generali desumibili per la dirigenza sanitaria
dall’articolo 15, comma 7-bis del decreto legislativo n. 502/1992.
2. Il conferimento dell’incarico di struttura complessa ai
dirigenti di cui al comma 1 comporta per gli stessi l’obbligo di
conseguire l’attestato di formazione manageriale previsto dagli
articoli 15 e 16-quinquies del decreto legislativo n. 502/1992.
Art. 9 - Trasparenza.
Art. 10 - Forme integrative
regionali di assistenza sanitaria e socio-sanitaria.
1. La Giunta regionale promuove lo sviluppo di forme integrative
regionali di assistenza sanitaria e socio-sanitaria, in particolare per
la non autosufficienza, coinvolgendo le parti sociali, i soggetti e le
organizzazioni finanziarie e assicurative e altri enti e istituzioni al
fine di darne un’ampia diffusione, nell’interesse della
popolazione. Inoltre assicura il coordinamento e l’unitarietà
della politica sanitaria e l’integrazione del servizio sanitario
regionale con le prestazioni finanziate attraverso le forme integrative.
Art. 11 - Fascicolo sanitario
elettronico. Attuazione dell’articolo 2, comma 1, lettera g),
numero 11, della legge regionale 25 ottobre 2016, n. 19
“Istituzione dell’ente di governance della sanità
regionale veneta denominato “Azienda per il governo della
sanità della Regione del Veneto - Azienda Zero”. Disposizioni
per la individuazione dei nuovi ambiti territoriali delle Aziende
ULSS”.
1. Entro novanta giorni dall’entrata in vigore del Piano socio
sanitario 2019-2023, la Giunta regionale, sentita la competente
commissione consiliare, approva i provvedimenti attuativi del fascicolo
sanitario elettronico con particolare riferimento alla realizzazione di
un’unica rete regionale per interconnettere tutte le aziende
sanitarie e gli enti socio-sanitari. Gli enti privati accreditati con il
sistema socio-sanitario avranno l’obbligo di partecipare al
fascicolo sanitario elettronico. Il fascicolo sanitario elettronico e la
conseguente tessera sanitaria elettronica per tutta la popolazione veneta
verranno attivati entro un anno dall’entrata in vigore del Piano
socio sanitario 2019-2023.
Art. 12 - Prestazioni dei
dirigenti veterinari.
1. Al fine di assicurare l’erogazione di prestazioni obbligatorie
per legge che non possano essere effettuate in orario diurno o
esclusivamente nei giorni feriali, le Aziende ULSS, nel rispetto del
sistema di relazioni sindacali previsto dai contratti collettivi
nazionali di lavoro della dirigenza medico-veterinaria, possono disporre
della presenza in servizio dei dirigenti veterinari durante le ore
notturne e nei giorni festivi. L’attività è espletata
nell’ambito dell’orario di lavoro settimanale ovvero in
regime di prestazioni aggiuntive qualora ricorrano i presupposti e le
condizioni stabiliti dai predetti contratti collettivi, nel rispetto
della normativa nazionale sull’orario di lavoro.
Art. 13 - Direttore sanitario
di struttura privata accreditata.
1. Il direttore sanitario di struttura privata accreditata che gestisce
ospedali con più di cento posti letto deve possedere gli stessi
requisiti richiesti per il direttore medico ospedaliero di ospedali
pubblici
Art. 14 - Disposizioni in
materia di personale di Azienda Zero. (9)
1. In considerazione degli esiti delle procedure di mobilità
esperite ai sensi della
legge regionale 25 ottobre 2016, n. 19 ,
articolo 7
articolo 7, comma 1, a seguito degli accordi conclusi con le aziende ed
enti del servizio sanitario regionale in sede sindacale ai sensi
dell’articolo 31 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 e
dell’articolo 47 della legge 29 dicembre 1990, n. 428, al fine di
limitare il disagio organizzativo alle aziende ed enti che, avendo sede
limitrofa a quella di Azienda Zero, hanno già sopportato un
rilevante esodo di personale, Azienda Zero è autorizzata ad
effettuare assunzioni dirette, previa autorizzazione della Giunta
regionale sentita la competente commissione consiliare, di personale
mediante procedure concorsuali per la copertura di posti di dotazione
organica, così come definita dall’
articolo 7, comma 3
della
legge
regionale 25 ottobre 2016, n. 19 , che non siano stati coperti a
seguito delle medesime procedure di mobilità.
2. Il finanziamento destinato ad Azienda Zero considera il trasferimento
di risorse effettuato dalle aziende ed enti del servizio sanitario
regionale sulla base degli accordi sindacali di cui al comma 1 che deve
considerarsi confermato.
Art. 15 - Interventi per la
razionalizzazione della spesa delle aziende e degli enti del servizio
sanitario regionale. (10)
Art. 16 - Commissione
regionale per l’investimento, tecnologia e edilizia (CRITE).
(11)
1. La Commissione regionale per l’investimento, tecnologia e
edilizia (CRITE) supporta la Giunta regionale nella funzione di
definizione e realizzazione degli obiettivi di governo e amministrazione
sulla base dei principi ed indirizzi generali della programmazione
regionale generale di competenza del Consiglio regionale, verificando la
coerenza con la programmazione regionale e la sostenibilità
economico finanziaria dei progetti d’investimento, di tecnologia e
di edilizia in ambito sanitario e socio-sanitario.
2. La Giunta regionale può altresì incaricare la CRITE di
effettuare la disamina/analisi dei piani trimestrali di assunzione del
personale delle aziende ed enti del servizio sanitario regionale al fine
di verificarne la coerenza con la normativa nazionale e regionale,
nonché con gli atti di programmazione regionale.
3. La CRITE supporta la Giunta regionale nel processo di approvazione dei
Piani degli investimenti triennali delle aziende sanitarie, esaminando la
loro compatibilità rispetto alle risorse disponibili o rispetto a
eventuali finanziamenti specificamente dedicati.
4. La Giunta regionale approva i Piani degli investimenti triennali di
cui al comma 3 previo parere della commissione consiliare competente.
5. La composizione della CRITE e il ruolo di supporto della CRITE che
può esplicarsi in tutti quegli ambiti in cui vi sia l’esigenza
di verificare la sostenibilità economica di azioni attuative della
programmazione regionale, anche in relazione a eventuali limiti di spesa
o di risorse assegnate, sono definiti con provvedimento della Giunta
regionale.
Art. 17 - Modifica
dell’articolo 2, comma 2, della legge regionale 25 ottobre 2016, n. 19
“Istituzione dell’ente di governance della sanità
regionale veneta denominato “Azienda per il governo della
sanità della Regione del Veneto - Azienda Zero”. Disposizioni
per la individuazione dei nuovi ambiti territoriali delle Aziende
ULSS”.
Art. 18 - Clausola di
neutralità finanziaria.
1. All’attuazione della presente legge si provvede
nell’ambito delle risorse umane, strumentali e finanziarie
disponibili a legislazione vigente e, comunque, senza nuovi o maggiori
oneri a carico del bilancio della Regione.
Art. 19 - Norma
transitoria.
1. Il Piano socio sanitario regionale ha durata e validità per il
quinquennio 2019-2023. Le norme e le disposizioni del Piano medesimo
mantengono efficacia fino all’approvazione del Piano socio
sanitario regionale successivo.
2. Le disposizioni del Piano socio sanitario regionale 2012-2016
mantengono la loro efficacia fino all’approvazione degli specifici
provvedimenti di attuazione di cui all’articolo 1, comma 3.
CONSIGLIO REGIONALE DEL VENETO
X LEGISLATURA
ALLEGATO ALLA LEGGE REGIONALE RELATIVA A:
PIANO SOCIO SANITARIO REGIONALE 2019-2023
PIANO SOCIO-SANITARIO REGIONALE DELLA REGIONE DEL
VENETO
2019-2023
INTRODUZIONE:
L’APPROCCIO
METODOLOGICO PER LA STESURA DEL PSSR 2019-2023
La persona al centro è uno degli slogan
più frequenti delle politiche sanitarie e socio-sanitarie introdotte
in questi ultimi anni a livello nazionale ed internazionale.
Ma come, concretamente, è possibile porre
davvero il cittadino, utente, contribuente, la persona al centro delle
politiche per la promozione e lo sviluppo della salute individuale e
collettiva?
Il tentativo di rispondere a questa domanda ha
guidato l’impostazione del nuovo PSSR del Veneto per il quinquennio
2019-2023.
Per tale motivo il Piano non si sviluppa, come di
consueto, descrivendo servizi e responsabilità, secondo le note
strutture organizzative (Ospedale, Distretto, Dipartimento di
Prevenzione) e relative curve di specializzazione, ma cerca di
evidenziare i diversi percorsi degli utenti in relazione alle principali
tipologie di bisogni/domanda a cui i servizi per la salute si trovano a
dovere rispondere nell’attuale fase di transizione demografica,
epidemiologica, sociale ed economica.
Naturalmente i servizi sono presenti, ma vengono
descritti in funzione dei bisogni dei cittadini sani, del percoso
nascita, delle fasi acute, della cronicità.
Lo schema di lavoro del Piano è riassunto nella
Figura 1: le righe descrivono sinteticamente i percorsi degli utenti; le
colonne elencano la geografia dei servizi/luoghi di cura e la parte
inferiore esplicita le attività di supporto che il sistema deve
garantire per assicurare una presa in carico globale nel rispetto dei
principi di equità, sostenibilità ed efficienza.
Figura 1: La mappa dei bisogni e dei servizi
Il PSSR si articola in una premessa di carattere
generale (La salute in un sistema integrato), in cui sono illustrate gli
indirizzi fondamentali che caratterizzano l’attuale fase di
pianificazione del SSSR del Veneto; in un capitolo dedicato
all’attuale scenario epidemilogico e sociale (Lo scenario
epidemiologico e sociale e l’impatto sulla domanda di servizi
socio-sanitari); in due Parti, relative, rispettivamente a Bisogni,
Domanda e Offerta ed ai Sistemi di Supporto.
Per ogni capitolo viene riproposto il seguente
schema di sintesi:
LA SALUTE IN UN SISTEMA
INTEGRATO
La Costituzione dell’Organizzazione Mondiale
della Sanità (OMS) afferma che “la salute è uno stato
completo di benessere, fisico, mentale e sociale, e non consiste solo in
un’assenza di malattia o infermità”.
In particolare, nella Carta di Ottawa del 1986, e
nel più recente modello di politica europea per la salute denominato
Salute 2020 (OMS Europa, 2012), la salute è considerata una risorsa
per la vita quotidiana, non solo come obiettivo di vita: un concetto
positivo che insiste sulle risorse sociali e personali, oltre che sulle
capacità fisiche; è un bene essenziale per lo sviluppo sociale,
economico e personale, ed è aspetto fondamentale della qualità
della vita. Grazie ad un buono stato di salute, l’individuo e il
gruppo devono essere in grado di identificare e sviluppare le proprie
aspirazioni, soddisfare i propri bisogni; un buono stato di salute
produce infatti benefici in tutti i settori e nell’intera
comunità. La salute infatti “contribuisce all’aumento
della produttività, a una maggiore efficienza della forza lavoro, a
un invecchiamento più sano, a ridurre i costi sanitari e sociali e a
limitare le perdite di gettito fiscale” (OMS, 2012).
La prosperità futura di ogni persona e della
Regione nel suo complesso dipenderà dalla capacità delle
politiche di porre al centro l’obiettivo Salute fondato sul
coinvolgimento attivo del singolo e della collettività per cogliere
nuove opportunità di miglioramento della salute e del benessere
delle generazioni presenti e a venire.
A tal fine è necessario che la Regione del
Veneto adotti un approccio multisettoriale che coinvolga la
pluralità delle politiche di promozione della salute che favoriscano
la creazione di condizioni sociali, economiche ed ambientali.
Intervenire su questi fattori che incidono
altresì sull’accesso ai sistemi socio-sanitari di qualità
assicura la riduzione delle disuguaglianze di salute per gli individui
più disagiati della comunità.
Un buon governo per la salute promuove
l’azione congiunta del settore sanitario e di altri settori, degli
attori pubblici e privati e dei cittadini. Essa richiede un insieme
sinergico di politiche, la maggior parte delle quali appartengono a
settori interconnessi a quello sanitario e devono essere sostenute da
politiche che ne favoriscano la collaborazione.
Si intende quindi far propri i contenuti del
documento Salute 2020 dove si delinea un modello di politica europea a
sostegno di un’azione trasversale al governo e alla società a
favore della salute e del benessere, ciò impone ai decisori politici
e alle agenzie di sanità pubblica, di garantire l’impegno di
assumere nuovi ruoli nell’elaborazione delle politiche favorevoli
alla salute e al benessere.
Salute
e Comunità
Esiste una interdipendenza tra le persone e il loro
ambiente di vita naturale e sociale; per poter migliorare tale equilibrio
diviene necessario coinvolgere le comunità locali, i cittadini,
adottando una prospettiva socio-ecologica e integrata sugli stili di
vita. La comunità deve rappresentare quindi un luogo favorevole alla
salute, “salutogenico”, attraverso politiche di intervento
specifiche per contesto di vita.
Uno dei fattori chiave per la tutela e promozione
della salute individuale e di comunità è quello di creare
comunità resilienti e ambienti favorevoli, in grado di reagire a
situazioni nuove o avverse. Appare dunque essenziale responsabilizzare
prima di tutto chi è alla guida dell’amministrazione nelle
scelte allocative, poi coloro che operano nelle strutture sanitarie e
infine i cittadini
nell’adozione di corretti stili di vita al
fine anche di ridurre il carico prevedibile e prevenibile di malattie
croniche non trasmissibili.
Ogni singola persona, quale risorsa per la
comunità, deve essere sensibilizzata ad esempio alla prevenzione
delle malattie infettive mediante l’adozione di comportamenti
consapevoli che preservino la propria salute e quella della
collettività. A questo proposito si intende rafforzare la cultura
della prevenzione attraverso la diffusione di un’informazione
corretta e fondata su base scientifica, promuovendo iniziative che
favoriscano un’adesione consapevole al calendario vaccinale. Allo
scopo di eradicare le malattie prevenibili con vaccinazione, ci si
propone di consolidare il ruolo dei professionisti sanitari
nell’educazione alla promozione ed alla informazione attuando anche
specifiche azioni di contrasto alla controinformazione.
Il SSSR si impegna a disporre per l’intera
collettività degli interventi basati sulle migliori evidenze di
efficacia, in modo equo ed uniforme su tutto il territorio regionale,
programmati per ridurre le diseguaglianze allo scopo di assicurare
così il benessere comune.
Al fine di concorrere all’attuazione delle
politiche di contrasto della povertà nel proprio territorio, si
intende infine promuovere un’azione di rete con tutti i servizi
sociali, socio-sanitari, della formazione, del lavoro ed inoltre con il
terzo settore e con il privato sociale, agendo con una progettazione
personalizzata che intervenga sui bisogni della famiglia,
sull’accompagnamento verso l’autonomia e sulla sua piena
inclusione nella comunità.
Salute
e ambiente
Nell’ambito del tema salute e ambiente si
inserisce con particolare rilevanza l’orientamento sullo sviluppo
sostenibile espresso dalle Nazioni Unite (Programma 2030), che fornisce
un’indicazione chiara agli Stati affinché essi predispongano
azioni sui temi ambientali di impatto sanitario caratterizzate dalla
massima interistituzionalità e interdisciplinarietà.
Nel rispetto degli indirizzi degli istituti
internazionali di riferimento, a livello regionale, è in corso, da
qualche anno, un consistente investimento delle istituzioni per riportare
il governo dei temi ambientali all’interno degli ambiti della
prevenzione sanitaria e tutela della salute collettiva. Come evidente,
una politica ambientale volta alla tutela della salute non può
restare confinata all’interno degli ambiti amministrativi delle
Aziende Sanitarie, ma prevede l’attivazione di
un’Autorità Regionale di Controllo e Coordinamento capace di
operare in maniera integrata su molteplici ambiti di studio quali aria,
acqua, suolo e rifiuti, prevedendo analisi e valutazioni comparative su
scale geografiche di dimensioni diverse.
Ampliare la collaborazione interdisciplinare e
intersettoriale per la salute umana, ambientale e animale migliora
l’efficacia della sanità pubblica, nell’unico obiettivo
di tutelare e garantire la sicurezza e la salubrità di vita per
tutti gli individui.
Salute
e lavoro
Nell'economia regionale il sistema sanitario ha un
ruolo fondamentale e costituisce una importante voce di investimento sia
dal punto di vista finanziario che organizzativo.
In Veneto, ai circa 70.000 professionisti impegnati
direttamente nelle diverse strutture del servizio sanitario si
affiancano, molte altre migliaia di professionisti impiegati nelle
strutture private accreditate e nelle diverse unità di offerta del
servizio socio sanitario, sia di carattere residenziale che
domiciliare.
Con riferimento alle risorse umane, la spesa
sostenuta nel SSSR, in termini di costo del personale, deve essere
rivalutata nell'ottica di un investimento capace di generare occupazione
qualificata e
un significativo progresso in termini di sviluppo.
Il volume occupazionale, sia a livello ospedaliero che territoriale,
genera effetti positivi sul territorio e favorisce la crescita
dell'economia locale.
In questo senso, gli investimenti in capitale umano
devono essere orientati a valorizzare le professionalità presenti e
a mantenere elevato il livello qualitativo offerto, non limitandosi
semplicemente alla valutazione della produttività.
L’evoluzione dei dati demografici ed epidemiologici
determinerà nei prossimi anni una crescita della domanda di cura e
di assistenza. Il settore sanitario inoltre si caratterizzerà ancor
più quale settore innovativo anche in termini di investimenti e
ricerca tecnologica.
La domanda di qualificati operatori sanitari
tenderà pertanto ad aumentare e richiederà di mantenere una
rete formativa diffusa, capace di adattarsi sia in termini quantitativi
che qualitativi all’evoluzione del sistema.
Investire in tali fattori consentirà di rendere
la sanità uno tra i maggiori motori di sviluppo economico e con
interessanti prospettive occupazionali in ambito pubblico e privato,
rimanendo la gestione e valutazione del controllo in materia di
Sanità pubblica veterinaria nell’ambito della pubblica
amministrazione per motivi di indipendenza e di competenza
specifica.
All’interno del sistema economico e
occupazionale il settore sanitario pubblico si inserisce in una
“filiera della salute” dove si sviluppano (direttamente e
attraverso l’indotto) altre attività economiche come, a titolo
esemplificativo, la ricerca, produzione e commercio dei prodotti e
dispositivi sanitari, socio-sanitari, farmaceutici, altresì la
fornitura di servizi e beni.
Si può infatti affermare che la filiera della
salute rappresenta oggi una delle maggiori fonti di ricchezza del
territorio e per tale motivo è corretto parlare di investimenti in
sanità (e non di spesa) poiché produce benefici non solo in
termini di guadagno di salute, ma anche di ricchezza economica.
Un altro settore di sviluppo è quello legato
alla mobilità sanitaria. Nelle strutture sanitarie venete, a
conferma della qualità dell’assistenza sanitaria che si eroga,
si curano sempre di più pazienti provenienti non solo da altre
regioni ma anche dagli stati esteri.
Essa può rappresentare una ulteriore
opportunità di crescita per il sistema sanitario e anche turistico
della nostra Regione.
La direttiva europea 2011/24/UE
sull’assistenza sanitaria transfrontaliera, ha come scopo garantire
la possibilità di accesso alle cure sanitarie ai cittadini europei
in ogni paese dell’Unione.
A tal fine le strutture sanitarie venete per poter
essere riconosciute all’interno della rete degli ospedali europei
per i quali è previsto il rimborso, devono continuare a mantenere
livelli di eccellenza attraverso sistemi di qualità come
l’accreditamento.
Si intende inoltre continuare a sostenere la
collaborazione attiva ai lavori del programma formativo Hospitals for
eurOPE “HOPE” al quale il Veneto aderisce con il ruolo di
Regione capofila in rappresentanza di tutte le altre Regioni e Province
Autonome, che prevede lo scambio di personale appartenente ai servizi
sanitari dei Paesi partner tra le Strutture ospedaliere dei diversi
membri.
Infine è importante ricordare il ruolo del
sistema sanitario anche per la tutela della salute e della sicurezza
negli ambienti di lavoro attraverso il controllo del rispetto delle norme
e la promozione della salute con il sostegno ai soggetti attivi nella
prevenzione.
Il metodo più efficace per garantire la salute
e il benessere della popolazione lavorativa è che tutti i livelli di
governo agiscano insieme per contrastare infortuni sul lavoro e malattie
professionali,
promuovere processi culturali atti ad aumentare la
responsabilizzazione delle persone e delle comunità di vita e di
lavoro.
Nell’azione di contrasto a infortuni sul
lavoro e malattie professionali nella programmazione regionale si
perseguono le seguenti linee strategiche: il perfezionamento dei sistemi
di conoscenza dei rischi e dei danni da lavoro: il rafforzamento del
coordinamento tra istituzioni e partenariato economico sociale e tecnico
scientifico; il miglioramento dell’efficacia delle attività di
controllo e dell’attuazione da parte dei destinatari delle
norme.
PARTE I:
BISOGNI,
DOMANDA E OFFERTA
1. LO SCENARIO EPIDEMIOLOGICO E SOCIALE E L’IMPATTO
SULLA DOMANDA DI SERVIZI SOCIO-SANITARI
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Parole chiave
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Diseguaglianze di salute,
Fattori di rischio, Invecchiamento, Multietnicità,
Multimorbidità
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Lo scenario
socio-demografico
La popolazione residente in Veneto al 1 gennaio 2017
è pari a 4.907.529 persone, in leggera diminuzione rispetto
all’anno precedente (-0,2%); l’andamento della popolazione,
crescente fino al 2014, si è stabilizzato negli ultimi anni con le
nascite in continua diminuzione e un saldo migratorio (interno e con
l’estero) che si mantiene positivo. Infatti, a partire dal 2011 il
numero dei decessi ha superato il numero dei nati (Figura 1.1) e nel 2016
il tasso di natalità è sceso sotto l’8 per 1.000
abitanti.
Figura 1.1 - Trend di natalità e di
mortalità in Regione del Veneto. Anni 2005-2016 (Fonte:
ISTAT)
La maggior longevità (la speranza di vita alla
nascita in Veneto è di 81 anni per gli uomini e 85 anni per le
donne) unita al declino della natalità determina un progressivo
invecchiamento della popolazione: i residenti con più di 64 anni
sono il 22% del totale con un rapporto rispetto alla popolazione 0-14
anni di 1,6 a 1.
La popolazione straniera, pari al 10% della
popolazione complessiva, ha una struttura per età più giovane
di quella della popolazione italiana, collocandosi prevalentemente nelle
fasce di età infantili e lavorative (Figura 1.2).
Convenzionalmente si ritiene il 65° anno di
età il limite per indicare l’ingresso nell’età
anziana, collegando tale età con l’uscita dal mercato del
lavoro.
Tuttavia va considerato che l’invecchiamento
è un processo progressivo e variabile da una generazione
all’altra, considerati anche l’aumento della vita media e
soprattutto dell’aspettativa di vita attuale quali risultati dei
continui progressi in ambito di tutela della salute; ciò ha
comportato
una migliore qualità di vita di cui beneficia
la popolazione: un 65enne di oggi è difficilmente confrontabile con
un coetaneo di cinquant’anni fa. La definizione e
l’individuazione della soglia di anzianità a 65 anni
attualmente utilizzata risulta pertanto inadeguata a rappresentare la
società contemporanea; di conseguenza l’aumento della soglia
di ingresso nell’età anziana a 70 anni costituisce un
obiettivo cui tendere in sede di programmazione.
Figura 1.2 - Piramide d’età per genere e
cittadinanza residente in Veneto al 1° gennaio 2017 (Fonte:
ISTAT)
Con riferimento al contesto socio-economico il
Veneto gode di una situazione migliore rispetto al resto del Paese:
l’incidenza delle famiglie che vivono in condizione di povertà
relativa (secondo la definizione dell’ISTAT) è in Veneto del
4,9% rispetto al 5,4% delle Regioni del Nord e al 10,4%
dell’Italia. Va inoltre evidenziato come le persone che vivono da
sole, che quindi potrebbero non contare su una rete di supporto
familiare, siano l’11% della popolazione: sebbene il dato sia
inferiore a quello delle altre regioni del Nord, rappresenta comunque un
numero rilevante di persone, molte delle quali anche in età
avanzata.
In sostanziale continuità con quanto
evidenziato nel passato quinquennio di programmazione, l’analisi
socio-demografica pone in rilevo alcune caratteristiche che influenzano
il panorama dei bisogni e dell’offerta di servizi attuale e
futura:
- progressivo
invecchiamento della popolazione;
- quota di residenti
stranieri che si attesta attorno al 10% del totale dei residenti, con una
distribuzione per età più giovane rispetto a quella degli
italiani;
- presenza di un numero
rilevante di persone che vivono da sole, molte delle quali in età
avanzata.
Fattori di rischio e
diseguaglianze
Secondo i dati dell’Organizzazione Mondiale
della Sanità (OMS), l’86% dei decessi e il 75% della spesa
sanitaria in Europa e in Italia sono determinati da patologie croniche,
dovute anche a scorretta alimentazione, inattività fisica, abitudine
al fumo ed abuso di alcol, principali fattori di rischio di malattie
cronico-degenerative. Il monitoraggio di questi fattori di rischio legati
a comportamenti individuali viene effettuato in Veneto attraverso
specifici programmi di sorveglianza, inseriti anche nel Piano Regionale
Prevenzione 2014-2018. Fra questi, lo studio PASSI, indagine campionaria
attiva da una decina d’anni, è finalizzato a raccogliere dati
sulla percezione della propria salute, sugli stili di vita e sui
comportamenti a rischio della popolazione adulta di età compresa tra
18 e 69 anni. Nel futuro dovrà essere posta sempre maggiore
attenzione all’integrazione dei sistemi di sorveglianza sui fattori
di rischio con i sistemi routinari di raccolta di dati sulle condizioni
di salute e sull’accesso ai servizi sanitari, al fine di dotarsi
di
strumenti di lettura della salute della popolazione
dal punto di vista non solo degli esiti, ma anche dei determinanti. In
particolare, nella raccolta dei dati sulle condizioni di salute sarà
necessario considerare, insieme alla malattia e ai fattori di rischio, le
varie fragilità, vulnerabilità e/o disagio in quanto situazioni
che possono evolvere in malattia o psicopatologia.
Nella Tabella 1.1 vengono riassunti alcuni risultati
che emergono dall’indagine PASSI in Veneto nel periodo
2008-2016.
Tabella 1.1. Prevalenza (%) dei principali fattori
di rischio individuali nella popolazione di età 18-69 anni. Veneto,
anni 2008-2016 (Fonte: Sistema di Sorveglianza PASSI Regione del
Veneto)
Fattori di rischio
|
2008
|
2009
|
2010
|
2011
|
2012
|
2013
|
2014
|
2015
|
2016
|
Fumo
|
25,9
|
24,9
|
24,0
|
24,5
|
23,6
|
23,4
|
21,9
|
23,4
|
22,3
|
Consumatore di alcol a maggior
rischio
|
22,5
|
21,4
|
24,0
|
24,9
|
25,1
|
23,8
|
23,8
|
23,9
|
26,1
|
Eccesso ponderale
|
40,2
|
40,1
|
39,7
|
41,7
|
40,3
|
39,7
|
38,9
|
42,0
|
40,2
|
Sedentarietà
|
25,0
|
25,5
|
23,2
|
23,9
|
22,8
|
23,4
|
22,5
|
22,5
|
19,5
|
Il fumo di tabacco e il consumo eccessivo di alcol
rappresentano importanti determinanti per malattie croniche e per
l’insorgenza di neoplasie. In Veneto la maggioranza degli adulti
non fuma o ha smesso di fumare, mentre il 22% si dichiara fumatore.
L’abitudine al fumo nel tempo è in diminuzione e rimane
sistematicamente più diffusa tra gli uomini, nella popolazione
giovanile e tra le persone con basso livello socio-economico.
L’eccessivo consumo di alcol riguarda circa un quarto della
popolazione adulta, coinvolge soprattutto i giovani-adulti di età
compresa tra 18 e 34 anni (45% nel 2016) e gli uomini.
L’eccesso ponderale è uno dei principali
fattori che determinano l’aumento delle malattie croniche non
trasmissibili; questa condizione riguarda il 40% degli intervistati di
età 18-69 anni (il 31% è in sovrappeso e il 9% obeso), con un
andamento stabile nel tempo. L’eccesso ponderale è più
frequente al crescere dell’età, nei maschi, nelle persone con
basso livello di istruzione e nelle persone con difficoltà
economiche. L’eccesso ponderale è collegato in parte
all’attività fisica: nella popolazione intervistata solo il
34% ha dichiarato di avere uno stile di vita attivo, nel senso che svolge
un lavoro che richiede un importante sforzo fisico o pratica
l’attività fisica settimanale raccomandata. Le persone
sedentarie sono 1 su 5, una proporzione che appare tuttavia in
diminuzione nel tempo: la sedentarietà cresce all’aumentare
dell’età ed è più diffusa nelle persone con basso
livello d’istruzione e con maggiori difficoltà
economiche.
I risultati dell’indagine PASSI mettono in
evidenza come non solo i profili di rischio della popolazione siano
diversificati per genere e per età, ma anche come le disuguaglianze
socio- economiche abbiano importanti riflessi sull’esposizione a
stili di vita non salutari, offrendo interessanti spunti di riflessione
per i servizi sanitari e socio-sanitari sulla necessità di
intercettare i bisogni non espressi della popolazione e di favorire il
coinvolgimento attivo delle persone nella promozione della propria
salute.
Lo scenario
epidemiologico
Con l’allungamento della vita media anche il
profilo epidemiologico della popolazione è in evoluzione.
Malattie acute come l’infarto e l’ictus,
pur avendo ancora un importante impatto sulla popolazione, sono in
riduzione e tendono a manifestarsi in età più avanzata. Il
tasso di ospedalizzazione di eventi di infarto acuto del miocardio (IMA)
è andato riducendosi nel periodo 2006-2016 in tutte le classi di
età. In particolare, il tasso di eventi con sopraslivellamento del
tratto
ST (STEMI) è in continua ed importante
riduzione, mentre il tasso di eventi senza sopraslivellamento del tratto
ST (NSTEMI) evidenzia delle oscillazioni, con un lieve aumento negli
ultimi anni; di rilievo il sorpasso degli eventi NSTEMI a scapito degli
STEMI nell’ultimo anno di osservazione. L’incidenza della
malattia è superiore nei maschi, dove quasi il 40% dei ricoveri per
IMA avviene prima dei 65 anni.
Le malattie cerebrovascolari acute costituiscono un
ambito estremamente rilevante per la loro diffusione e per le gravi
conseguenze sullo stato di salute delle persone colpite. Ogni anno tra i
residenti in Veneto si verificano circa 9.000 eventi di ictus che vengono
ospedalizzati; nel 77% circa dei casi si tratta di ictus ischemico, nel
19% di emorragia cerebrale e nel 4% di emorragia subaracnoidea. Negli
ultimi anni si osserva una riduzione dei tassi standardizzati: oltre il
62% degli eventi avviene in soggetti di età superiore ai 74
anni.
Anche per la mortalità, le malattie
cardiovascolari, che rappresentavano fino a una decina di anni fa la
causa di morte più frequente, oggi sono state sopravanzate nella
popolazione maschile dai tumori.
L’analisi delle cause di morte evidenzia
inoltre come si sia amplificata nel 2015 e nel 2016 la mortalità per
le patologie neurologiche/psichiatriche (rappresentate principalmente da
demenza, Parkinson, ed altre patologie degenerative tipiche della
popolazione anziana) e per altre patologie degenerative ed infettive
tipiche dei grandi anziani con ridotto grado di autonomia e multiple
comorbidità. La mortalità per malattie dell’apparato
respiratorio ha registrato l’incremento più consistente nel
2015, dato, quest’ultimo, fortemente influenzato dalla
mortalità per polmonite ed altre infezioni respiratorie (Figura
1.3).
Figura 1.3: Distribuzione dei decessi per principali
settori nosologici: anni 2007 e 2016 a confronto.
La Regione del Veneto si caratterizza per una
presenza di stranieri residenti superiore alla media nazionale (10% e 8%
rispettivamente). L’importante flusso migratorio da altri Paesi, in
particolare Europa dell’Est, Africa e Sud-Est asiatico, ha posto la
necessità di valutare i possibili diversi profili di rischio delle
etnie presenti in Veneto, al fine di supportare efficaci strategie di
prevenzione e di assistenza. Dall’analisi delle cause di
mortalità tra gli immigrati nel Veneto si evidenziano differenze tra
gruppi di popolazione provenienti da differenti aree geografiche; in
particolare, elevati rischi per malattie circolatorie tra gli immigrati
provenienti dall’Africa sub-sahariana e dal Sud asiatico e un minor
rischio per le donne provenienti dall’Europa dell’Est.
Eccessi di rischio si sono verificati anche per alcune specifiche
neoplasie; tumore al fegato (Paesi asiatici e dell’Africa
sub-sahariana), tumore al polmone (Paesi asiatici e dell’Est
Europa) e tumore alla cervice uterina
(donne dell’Est Europa). L’aumento di
mortalità per malattie infettive è limitata agli stranieri
provenienti dall’Africa sub-sahariana e per gli incidenti stradali
alle donne dell’Est Europa.
Il tema della misurazione della prevalenza delle
patologie cronico-degenerative e della valutazione del carico complessivo
di malattia di un territorio rappresenta un ambito di indagine
particolarmente rilevante per la programmazione dell’assistenza
alla popolazione. Per questo motivo, da alcuni anni la Regione del Veneto
è impegnata nell’analisi del case-mix di malattia della
popolazione utilizzando anche il Sistema di classificazione ACG (Adjusted
Clinical Groups) che, integrando sul paziente i dati dei flussi
informativi sanitari correnti, stratifica la popolazione generale in un
numero limitato di categorie che identificano profili simili per carico
di malattia e conseguente impatto assistenziale.
I dati del 2015, elaborati con il Sistema ACG,
evidenziano che a partire dai 55 anni, quasi il 50% della popolazione
risulta affetto da almeno una patologia cronica e circa il 20% è in
condizione di multimorbilità. Al progredire dell’età, i
soggetti affetti da almeno due patologie diventano la maggioranza,
arrivando a quasi i due terzi del totale oltre gli 85 anni (Figura
1.4).
Figura 1.4 - Popolazione per numero di condizioni
croniche e classi di età, Veneto, 2015. (Fonte: Archivio ACG Regione
del Veneto)
Tra le patologie croniche più diffuse si
rilevano l’ipertensione arteriosa, le dislipidemie, il diabete, le
demenze, la broncopneumopatia cronico-ostruttiva (BPCO) e lo scompenso
cardiaco. L’ipertensione arteriosa, le dislipidemie e il diabete
rappresentano anche importanti fattori di rischio per le patologie
cardiovascolari e per l’insorgenza di gravi complicanze.
L’ipertensione arteriosa è la patologia
più diffusa nella popolazione. La prevalenza complessiva, pari al
24,4%, aumenta all’aumentare dell’età: dal 60,5% tra i
65 e i 74 anni al 79,5% oltre gli 85 anni. Fino ai 74 anni la prevalenza
risulta maggiore nel sesso maschile, ma la differenza tra maschi e
femmine tende a diminuire, fino a quasi annullarsi, all’aumentare
dell’età. Il 50% delle persone con ipertensione arteriosa
è affetto da almeno un’altra patologia cronica, il 28,9% da
almeno due. Le più frequenti sono le patologie cardiache (aritmie,
nel 12,3% dei casi), il diabete (11,7%) e le dislipidemie (7,1%).
Le dislipidemie presentano una prevalenza
complessiva del 10,4%. La differenza tra i generi è piuttosto
marcata, a svantaggio dei maschi in tutte le classi di età. Il 59,6%
delle persone con dislipidemia è affetto da almeno un’altra
patologia cronica, il 35,8% da almeno due. Le patologie
associate più frequenti sono
l’ipertensione arteriosa (43,5%), le malattie ischemiche del cuore
(19,8%) e il diabete (18,4%).
Il diabete è una malattia che si presenta
spesso in associazione ad altre condizioni determinando un elevato carico
assistenziale: il 46,2% dei pazienti affetti da diabete presenta in media
almeno tre condizioni croniche, che sale al 61,1% nella fascia con 75 e
più anni. Nella popolazione generale ha una prevalenza del 5,3%,
risulta maggiore nel sesso maschile e tende ad aumentare notevolmente in
entrambi i sessi all'aumentare dell'età.
La demenza è una condizione molto diffusa nella
popolazione anziana, con un fortissimo impatto sia dal punto di vista
assistenziale che del carico familiare e sociale. Le stime ottenute
indicano una prevalenza nella popolazione ultrasessantacinquenne pari al
52,2 ‰ (35,9‰ negli uomini e 64,6‰ nelle donne, figure
1.4bis e 1.4ter); in linea con i dati di letteratura, la prevalenza di
demenza tende ad aumentare con l’età, sia negli uomini che
nelle donne, più che raddoppiando circa ogni 5 anni a partire dai 65
anni. La demenza è una patologia che oltre a determinare di per
sé un forte impatto assistenziale, rappresenta spesso anche una
condizione in grado di “scompensare” situazioni di
cronicità in equilibrio, con effetti negativi a cascata sulla salute
della persona e sull’utilizzo dei servizi.
Figura 1.4bis – Soggetti con demenza residenti
in Veneto, in rapporto alla popolazione (Fonte: Archivio 2016 ACG Regione
del Veneto)
Figura 1.4ter – Prevalenza della demenza per
sesso e quinquenni di età. (Fonte: Archivio 2015 ACG Regione del
Veneto)
Sesso
|
Classi di età
quinquennali
|
|
65-69
|
70-74
|
75-79
|
80-84
|
85 +
|
TOT
|
Femmine
|
5,31
|
14,12
|
37,96
|
87,21
|
191,15
|
64,60
|
Maschi
|
5,05
|
13,05
|
32,46
|
66,79
|
125,96
|
35,94
|
Totale
|
5,18
|
13,62
|
35,48
|
78,88
|
171,14
|
52,18
|
Per la BPCO è stata stimata una prevalenza del
4,5% tra i soggetti con più di 45 anni; la malattia colpisce
maggiormente gli uomini rispetto alle donne e diviene più frequente
all’aumentare dell’età. Il 41,4% dei pazienti affetti da
BPCO presenta almeno tre condizioni croniche co-presenti, tra le più
frequenti: ipertensione arteriosa, aritmie cardiache, scompenso cardiaco
e malattie ischemiche del cuore.
Lo scompenso cardiaco presenta una prevalenza pari
all’1,5% per la popolazione generale. Osservando però la
prevalenza per classi di età si rileva un andamento crescente al
crescere dell’età, con valori più elevati sia per gli
uomini che per le donne. Il 90,5% dei soggetti con
scompenso registra almeno 3 patologie croniche
co-presenti; si tratta soprattutto di patologie cardiache (aritmie,
ipertensione, malattie ischemiche), seguite da diabete mellito (17,9%),
BPCO (16,6%) e insufficienza renale (16,1%).
Un’altra condizione che necessita di
valutazione è la sclerosi multipla, patologia a bassa prevalenza
nella popolazione, ma con notevole impatto sul Sistema Sanitario a causa
dei costi assistenziali molto elevati. La prevalenza di sclerosi multipla
è complessivamente pari a 166,3 casi per centomila abitanti;
colpisce le donne in numero pressoché doppio rispetto agli uomini
(218,5 casi per centomila abitanti tra le donne, 111,5 casi tra i maschi)
ed è la prima causa non traumatica di disabilità nei giovani
adulti, essendo una patologia che registra il picco di esordio intorno ai
20-40 anni.
La stratificazione della
popolazione del Veneto per complessità assistenziale
Il modello concettuale della piramide del rischio,
mutuato dal Population Health Management, utilizza le fonti informative
di dati sanitari provenienti da flussi correnti per suddividere in
diversi segmenti di complessità assistenziale la popolazione
generale.
Utilizzando il sistema di classificazione ACG e le
diagnosi di malattia, codificate nei percorsi clinici, è possibile
classificare la popolazione rispetto a categorie di carico di malattia
(categorie RUB) e calcolare, in termini relativi, l’indice di
rischio attribuito ad ogni segmento di popolazione (indice di
morbilità). Questo indice è una misura del carico di malattia
nelle diverse categorie RUB rispetto al carico di malattia osservato in
media nell’intera popolazione (carico medio=1) e va da un valore
minimo nei soggetti non-utilizzatori (in azzurro chiaro nella Figura 1.5)
ad un valore massimo nei soggetti con carico di malattia molto elevato
(in rosso nella Figura 1.5). In Figura 1.5, vengono rappresentate le
frequenze dei soggetti per età, genere e categorie di carico di
malattia (RUB). L’evidente gap dei soggetti di 71 anni, senza
distinzione di genere, è la conseguenza demografica
dell’ultimo anno della seconda guerra mondiale sulla popolazione
del Veneto.
Figura 1.5 – Assistiti per età in anni,
genere e carico di malattia (RUB). (Fonte: Archivio 2015 ACG Regione del
Veneto)
La piramide del rischio, costruita usando il sistema
ACG, evidenzia che la maggior parte della popolazione (76%) si
distribuisce nella parte bassa della piramide del rischio, ma utilizza
solo una piccola parte delle risorse del sistema (il 24% in termini di
costi), mentre i soggetti nella parte alta della piramide (24%, rischio
moderato, elevato e molto elevato) spiegano la maggior parte dei costi
(76%) (Figure 1.6 e 1.7).
Figura 1.6 - Piramide del rischio (case-mix della
popolazione) nelle categorie RUB e Indice di Morbilità. (Fonte:
Archivio 2015 ACG Regione del Veneto)
Figura 1.7 – Popolazione e costi nelle
categorie RUB. (Fonte: Archivio 2015 ACG Regione del Veneto)
L’indice di morbilità può essere
usato anche per stimare i costi dei soggetti appartenenti ad un segmento,
considerando come riferimento il costo unitario pro-capite medio stimato
nella popolazione veneta che è di circa 1.020 euro nel 2015:
così il costo stimato per le 6 categorie RUB va da 0 per i soggetti
in salute o non utilizzatori ai 212 euro per i cosiddetti utilizzatori
sani, ai 723, 2.357, 6.211 e 13.020 euro per coloro con basso, moderato,
elevato e molto elevato rischio rispettivamente.
Il costo totale per tutte le prestazioni mappate da
ACG per i quasi 5 milioni di veneti è di circa 5 miliardi di euro,
corrispondente al 60% del Fondo Sanitario Regionale. Nel calcolo non
vengono considerati i costi per la non autosufficienza ed altre
prestazioni che attualmente non sono riferibili direttamente al singolo
paziente (es. assistenza protesica, integrativa, farmaci nelle residenze
sanitarie).
Nella piramide, i soggetti che sono raggruppati nei
due segmenti più alti rappresentano circa il 5% della popolazione
(Figura 1.6), ma utilizzano più del 33% delle risorse sanitarie
(Figura 1.7). Se poi si considerassero anche i costi legati alla
residenzialità extra-ospedaliera, qui non quantificati, a questo 5%
della popolazione sarebbe attribuibile, anche nella popolazione del
Veneto, circa il 50% dei costi sanitari totali.
Stratificando poi i segmenti di rischio per
età, è possibile cogliere l’importante concentrazione dei
costi dei soggetti con RUB 4 o 5 (definibili anche pazienti con
cronicità avanzata e cronicità complessa) nella fascia
d’età superiore ai 49 anni.
Con questo sistema di segmentazione è possibile
identificare e profilare due gruppi di popolazione nelle fasce più
elevate della piramide del rischio che nel Veneto sommano a circa 135.000
persone a domicilio e circa 24.000 persona in struttura residenziale,
come presentato in Tabella 1.2.
Tabella 1.2 - Frequenza e % di assistiti
appartenenti ai RUB 4 e 5 per azienda sanitaria e luogo di assistenza.
Età 50 anni e oltre. (Fonte: Archivio 2015 ACG Regione del
Veneto)
Nuova Azienda ULSS
|
Non in struttura
residenziale
|
In struttura
residenziale
|
N
|
%
|
N
|
%
|
1-Dolomiti
|
6.192
|
4,6
|
1.689
|
7,1
|
2-Marca Trevigiana
|
22.696
|
16,8
|
4.662
|
19,7
|
3-Serenissima
|
18.765
|
13,9
|
2.962
|
12,5
|
4-Veneto Orientale
|
5.730
|
4,2
|
794
|
3,4
|
5-Polesana
|
9.134
|
6,8
|
1.359
|
5,7
|
6-Euganea
|
26.186
|
19,4
|
3.394
|
14,4
|
7-Pedemontana
|
7.746
|
5,7
|
2.010
|
8,5
|
8-Berica
|
11.211
|
8,3
|
2.990
|
12,7
|
9-Scaligera
|
27.187
|
20,2
|
3.775
|
16,0
|
Totale
|
134.847
|
100,0
|
23.635
|
100,0
|
Gli assistiti appartenenti ai RUB 4 e 5 hanno
profili di morbilità molto complessi ed in particolare sono
caratterizzati da elevata co-prevalenza di patologie croniche ed elevato
tasso di ospedalizzazione (Figura 1.8); per questo, possono essere
definiti soggetti “ad elevate necessità e ad elevato
costo”, come confermato dalla distribuzione del costo totale per
età e per RUB in Figura 1.9, che evidenzia che la maggior parte dei
costi, ad ogni età, è attribuibile alle due categorie RUB
elevato e molto elevato, rappresentate cromaticamente con
l’arancione e il rosso.
Figura 1.8 - Numero di ricoveri per 1.000 assistiti
per carico di malattia (RUB).
(Fonte: Archivio 2015 ACG Regione del Veneto)
Figura 1.9 -Distribuzione del costo totale per anno
di età e carico di malattia (RUB).
(Fonte: Archivio 2015 ACG Regione del Veneto)
Con ACG è possibile inoltre definire il profilo
di multimorbilità che descrive questa popolazione a rischio elevato
e molto elevato. Il 99% di questa popolazione è classificabile con
solo 5 diverse categorie ACG ad elevata comorbilità, elencate nella
Figura 1.10, dove sono riportate le frequenze assolute di queste
categorie ACG nella popolazione del Veneto.
Figura 1.10 – Categorie ACG degli assistiti
appartenenti ai RUB 4 e 5. Età 50 anni e oltre.
Frequenze assolute. (Fonte: Archivio 2015 ACG
Regione del Veneto)
Il costo medio dell’assistenza sanitaria di
questi soggetti nell’anno 2015, come atteso, incrementa
proporzionalmente all’aumentare della complessità, come
descritto nella Tabella 1.4.
Tabella 1.4 - Costo medio in Euro delle prestazioni
sanitarie erogate agli assistiti appartenenti ai RUB 4 e 5 per categoria
ACG. Età 50 anni e oltre. (Fonte: Archivio 2015 ACG Regione del
Veneto)
ACG
|
Costo Medio in Euro nella popolazione
>=50 anni
|
4-5 problemi di salute, due o più
patologie maggiori, età > 44
|
6.696
|
6-9 problemi di salute, 2 patologie
maggiori, età > 34
|
9.317
|
6-9 problemi di salute, 3 patologie
maggiori, età > 34
|
11.313
|
6-9 problemi di salute, 4 o più
patologie maggiori, età > 34
|
13.261
|
10 o più problemi di salute, 4 o
più patologie maggiori, età > 17
|
18.789
|
Le 20 patologie più frequenti in questi
soggetti sono rappresentate nella Figura 1.11 sottostante e sono per la
maggior parte croniche; ma si evidenziano, per elevata prevalenza, anche
alcune patologie acute. Tra queste, di rilievo, sono le infezioni
respiratorie, le fratture, l’insufficienza respiratoria e nelle
categorie con maggiore comorbidità (10 o più patologie), in
separate analisi, compaiono anche le infezioni urinarie.
Questa combinazione non casuale di patologie
croniche ed acute caratterizza in modo particolare questo segmento di
popolazione, che è ad alto rischio di eventi avversi non tanto per
la sommatoria di diverse e numerose patologie croniche, ma per
l’associazione, spesso catastrofica, tra patologie croniche
multiple e singole patologie acute. L’esempio è dato dalle
infezioni respiratorie, dalle infezioni urinarie, dalle fratture, spesso
conseguenza di cadute, che nel soggetto anziano con polipatologia
costituiscono la causa precipitante della maggior parte degli accessi
all’ospedale o al Pronto Soccorso, e spiegano il dato, osservato
nei nostri ospedali “teoricamente per acuti”, per cui il 75%
dei soggetti ricoverati è affetto da una o più patologie
croniche, e che la patologia acuta, anche minore, è l’evento
scatenante per una riacutizzazione di una patologia cronica o il fattore
destabilizzante di un precario equilibrio omeostatico in soggetti
particolarmente fragili per multimorbilità, deficit funzionali ed
età.
In Figura 1.11, tra le patologie croniche più
prevalenti, si evidenziano patologie cardiovascolari, neurologiche,
neoplastiche e metaboliche, ma quando la distribuzione dei soggetti con
singole patologie ad alta prevalenza come BPCO, scompenso cardiaco,
demenza e diabete viene rappresentata per età, genere e carico di
malattia (RUB) (Figura 1.12), si evidenzia l’importante
concentrazione per età dei soggetti, che si polarizzano quasi tutti
oltre i 50 anni. Questi soggetti, pur con la stessa patologia cronica, si
caratterizzano per una eterogeneo grado di complessità.
Figura 1.11 – Frequenza di patologie negli
assistiti con RUB 4 e 5. Età 50 anni e oltre. (Fonte: Archivio 2015
ACG Regione del Veneto)
Questa eterogeneità è dovuta
all’associazione con altre patologie co-prevalenti ed è
graficamente evidenziata dalla transizione cromatica dei RUB dal giallo
chiaro (basso o moderato carico di malattie) al rosso acceso (carico
molto elevato) della Figura 1.12.
Figura 1.12 - Distribuzione per età, genere e
carico di malattia (RUB) di assistiti con BPCO, Scompenso cardiaco,
demenza e diabete.
(Fonte: Archivio 2015 ACG Regione del
Veneto).
Queste osservazioni confermano non solo
l’importanza della singola patologia cronica come il diabete o lo
scompenso per identificare i soggetti all’interno di PDTA, ma anche
l’elevato grado di eterogeneità e complessità che
caratterizza tutti gli assistiti con queste malattie croniche, che rende
necessario un approccio multidimensionale e centrato sulla persona e non
sulla malattia singola.
Caratteristiche della popolazione
materno-infantile
In Regione del Veneto risiedono 2.512.962 donne, di
queste 1.029.388 sono in età fertile (15-44 aa); i bambini e
adolescenti sono 809.344 (Tabella 1.5).
Tabella 1.5. Donne ed adolescenti residenti in
Veneto, anno 2016
|
Nr.
|
%
|
Totale popolazione residente
|
4.907.529
|
|
Donne
|
2.512.962
|
51,2%
|
Donne in età fertile (15-44
anni)
|
1.029.388
|
21,0%
|
Bambini e adolescenti (0-17 anni)
|
809.344
|
16,5%
|
Nel 2016 si sono registrate 47.837 gravidanze. In
Tabella 1.5 alcune caratteristiche della gravidanza rilevate in
Veneto.
Tabella 1.5. Gravidanze, parti e indagini prenatali
– Regione del Veneto, anno 2016
|
Nr.
|
|
Gravidanze
|
47.837
|
|
Aborti spontanei
|
5.985
|
|
IVG
|
5.087
|
|
Parti con nascita
|
36.765
|
|
Bambini nati
|
37.418
|
|
Gravidanze tramite procreazione
assistita
|
989
|
2,7%*
(% su totale parti con
nascita)
|
Indagine prenatali
|
41.047
|
|
Indagini prenatali invasive: villo, amnio o
funicolo centesi
|
5.133
|
14%
(% su totale parti con
nascita)
|
Ecografie per diagnosi di malformazioni
fetali
|
35.914
|
98%
(% su totale parti con
nascita)
|
*In aumento nel tempo
Per quanto riguarda i ricoveri subiti nel 2016 dalla
popolazione femminile veneta (Tabella 1.5),
73.251 di questi sono avvenuti nei 37 reparti di
ginecologia e ostetricia. In questi reparti sono posizionati i 37 punti
nascita regionali (34 in ospedali pubblici, 3 in ospedali privati
convenzionati), in 31 si effettuano IVG. I punti nascita sotto soglia
nazionale (meno di 500 nati anno) sono 6, di cui 4 in territori di alta
montagna o in isole.
Tabella 1.6. Frequenza e caratteristiche ricoveri di
donne – Regione del Veneto, 2016
|
Nr.
|
Ricoveri ordinari (donne)
|
270.459
|
Ricoveri Day Hospital (donne)
|
61.460
|
Ricoveri nei 37 reparti di ginecologia e
ostetricia
|
73.251
|
Nel territorio sono attivi 107 consultori
familiari.
Dei minori di 18 anni che hanno subito lo scorso
anno ricovero (Tabella 1.7), il 64% è stato ricoverato in reparti a
vocazione pediatrica (38 di cui 32 pediatrie) e 1.868 in reparti
intensivi.
Tabella 1.7. Frequenza e caratteristiche ricoveri di
< 18 aa – Regione del Veneto, 2016
|
Nr.
|
Ricoveri ordinari (< 18 aa)
|
34.107
|
Ricoveri Day Hospital (< 18 aa)
|
16.022
|
Sono attivi 122 servizi territoriali ad
attività consultoriale dedicata all’infanzia e adolescenza e/o
ad attività di riabilitazione e di neuropsichiatria infantile, oltre
che circa 550 Pediatri di Libera Scelta (PLS), nonché servizi di
Psicologia Ospedaliera.
La speranza di vita femminile è di 84,6 anni,
relativamente stabile nel tempo. In Tabella 1.8 alcuni indicatori
riguardanti donne e gravidanza.
Tabella 1.8. Dati e indicatori donne e gravidanza.
Regione del Veneto, anno 2016
Speranza di vita (donne)
|
84,6 aa
|
Età media al parto
|
32 aa
(8% parti > 40 aa)
|
Morti materne
|
0-3 casi per anno proporzione tra precoci e
tardive di 2 su 3
|
Il tasso grezzo di cesarei è di 25%, in calo
negli ultimi anni, con un tasso per la classe 1 di Robson di 9,7%.
L’indice complessivo di eventi sfavorevoli al
parto per donna e nato AOI è di 5,2, valore in assoluto discreto, ma
con forti variabilità tra punti nascita, scarsa relazione con il
numero di parti e debole rapporto inverso con il tasso di cesarei. Tale
variabilità, come il valore generale dell’indice, sono in
evidente calo nell’ultimo anno, periodo nel quale la sua misura
è stata inserita nel pacchetto degli indicatori di performance delle
Direzioni delle Aziende Sanitarie.
Anche nella nostra Regione si evidenzia una
selezione di genere nelle opportunità di vita e di accesso alle
cure. Ad esempio, il rapporto maschi-femmine alla nascita biologicamente
atteso è di 51 su 49 mentre per alcuni gruppi etnici nella nostra
Regione è di 57 su 43, denunciando una evidente quota di IVG
selettive per genere. Analogamente il 55% delle femmine SGA nasce e
rimane in punti nascita di primo livello contro il 42% dei maschi. A
questa scelta assistenziale è in parte legata la maggiore
mortalità delle femmine SGA rispetto ai maschi (52% contro 48%).
Anche nelle altre fasi della vita una certa selezione per genere permane.
Ad esempio nel sistema dei trapianti da donatore vivente le femmine sono
il 66% dei donatori e solo il 35% dei riceventi, squilibrio non del tutto
giustificato da una distribuzione disomogenea delle patologie.
I tassi di nati mortalità (2,8 per mille),
mortalità neonatale precoce (1,3), infantile (2,4), pediatrica (2,5
per 10.000), sono in generale tra i più bassi nel panorama
nazionale.
Buoni successi si sono ottenuti soprattutto per
quanto attiene la sopravvivenza dei gravi prematuri (sotto 32 sett.),
attualmente 1,5% dei nati, con una sopravvivenza all’anno per i
nati sotto le 28 settimane del 66%.
Molto alta (intorno al 90%) è la concentrazione
delle nascite dei fortemente pretermine nei pochi punti nascita dotati di
reparti di cure intensive neonatali, molto disperse sono invece le
nascite degli SGA, che avvengono ancora in punti nascita di primo
livello. Buono è il funzionamento del trasporto neonatale, da
potenziare lo STAM (Sistema di Trasporto Materno Assistito).
Il tasso di paralisi cerebrali è intorno al 1,5
per mille nati vivi, mentre il tasso dei minori affetti da condizioni
croniche e/o rare e/o disabilitanti rilevanti è intorno al 9 %
(circa 70.000 bambini). Essi comprendono 40.000 minori con patologie
croniche più comuni (come epilessia, asma, diabete, etc.), 9.763
bambini con malattie rare, 20.000 disabili medio gravi, 3.500
maltrattati.
Circa 2.000 adolescenti o preadolescenti hanno
subito un ricovero ospedaliero per incidente, di cui
9 deceduti e 32 con esiti disabilitanti gravi. Oltre
500 adolescenti subiscono un ricovero psichiatrico; 168 presentano un
episodio critico per uso di droghe e/o alcool tanto da richiedere un
ricovero ospedaliero d’urgenza, il 40% ha sintomi gravi di
dipendenza cronica. Una gravidanza ogni 200 (1.959) è portata avanti
da ragazze adolescenti, di cui il 36% arriva al parto.
La condizione di salute di questa fascia di
popolazione è quindi mediamente discreta, con elementi in chiaro
scuro, situazioni di ottimo o buon livello, che convivono con vecchie
criticità ancora non risolte e con nuovi o emergenti problemi di
salute. In questa fascia di popolazione poi si esplicitano con più
evidenza le contemporanee conseguenze della rivoluzione demografica e
di
costituzione sociale della popolazione e delle
famiglie, delle nuove attese, valori, abitudini e percezioni di diritti
presunti, dell’implementazione di nuove tecnologie predittive e di
trattamenti innovativi.
2. LA PROMOZIONE DELLA SALUTE E LA PREVENZIONE DEI
FATTORI DI RISCHIO
|
|
Parole chiave
|
Ambiente-salute,
Interdisciplinarietà, Intersettorialità,
Multisettorialità, Salute come risorsa
|
Obiettivi
strategici
|
OS1. Ridurre le
disuguaglianze di salute
OS2. Sviluppare
l’approccio strategico “Salute in tutte le
politiche”
OS3. Rendere il
cittadino protagonista e responsabile del proprio stato di salute
(educazione - promozione stili di vita) e promuovere
l’invecchiamento attivo e in salute
OS4. Sviluppare il
binomio ambiente-salute OS5. Ridurre l’incidenza delle
malattie croniche
OS6. Ridurre
l’incidenza delle malattie trasmissibili
OS7. Aumentare
l’adesione consapevole alle vaccinazioni
OS8. Sviluppare piani
integrati per la gestione delle emergenze (epidemiche e non) OS9.
Prevenire infortuni e malattie professionali
OS10. Potenziare i
sistemi di sorveglianza sullo stato di salute della popolazione
OS11. Garantire i sistemi di sorveglianza sulla sicurezza
alimentare (veterinaria)
OS12. Definire un
programma di sorveglianza e controllo correlati
all’assistenza (antibiotico-resistenza)
|
Il Piano Regionale
Prevenzione
Il Piano Regionale Prevenzione (PRP) 2014-2018,
prorogato al 2019, è contraddistinto da novità di rilievo nella
programmazione regionale, in linea con la visione, i principi e la
struttura del Piano Nazionale per la Prevenzione, garantendo nel contempo
la continuità con quanto realizzato in Veneto nel precedente PRP
2010-2012 e successive proroghe, la valorizzazione delle conoscenze
acquisite e il rispetto della specificità territoriale.
I punti cardine che lo contraddistinguono e che
rappresentano le novità di rilievo nella programmazione regionale,
possono così essere sintetizzati:
- da progetti a
programmi: il PRP 2014-2018 si basa sulla convinzione che è
necessario superare l'ottica parcellizzata di singole azioni di progetti
settoriali arrivando ad una logica di Piani/Programmi e processi legati
ad attività istituzionali, tra loro coerenti, coordinate, sinergiche
e continuative;
- programmazione per
setting di vita quali, in particolare, la scuola, gli ambienti di lavoro,
l'ambiente sanitario e la comunità, si tratta di ambienti
significativi di vita delle persone. La scelta di incontrare le persone
nei loro luoghi di vita è determinata dalla volontà di
sottolineare l'obiettivo di supportare il protagonismo quotidiano delle
persone che costruiscono la propria salute "là dove si studia, si
lavora, si gioca e si ama" (Carta di Ottawa, 1986). Un'azione volta a
promuovere la salute attraverso ambienti differenti può assumere
forme diverse, spesso mediante alcune tipologie di sviluppo organizzativo
come il cambiamento dell'ambiente fisico, della struttura organizzativa,
degli aspetti amministrativi e gestionali. I risultati attesi sono
interventi trasversali e globali nella promozione di stili di vita sani
all'interno di uno stesso ambiente di vita, tra questi il progetto
“InOltre” previsto dall’articolo 48 della legge regionale n.
45/2017 , realizzato dall’Azienda Ulss n. 7 Pedemontana,
rivolto ai cittadini che attraversano situazioni emergenziali;
- approccio per tutto
il ciclo di vita (life-course): significa prendersi cura della persona
lungo tutto l’arco della vita, mettere al centro la persona fin dal
periodo preconcezionale, riconoscendo la profonda interconnessione tra le
diverse fasi della vita. Tale approccio si basa sulle evidenze che
favorire il mantenimento di un buono stato di salute lungo tutto il corso
dell'esistenza, porta all'aumento dell'aspettativa di vita in buona
salute e a un bonus in termini di longevità, fattori entrambi che
possono produrre benefici importanti a livello economico, sociale e
individuale. In questa logica si collocano anche le strategie volte a
garantire un invecchiamento attivo e in buona salute;
- intersettorialità: è la parola chiave per sviluppare
condivisione e comune comprensione tra settori diversi sui determinanti
della salute e per definire comuni obiettivi di intervento. Per agire sui
determinanti socio-economici e ambientali delle malattie croniche, per
dare maggior credibilità ai messaggi da veicolare, per consolidare
il rapporto tra cittadini e istituzioni, per assicurare
un’informazione univoca e completa, sono necessarie alleanze tra
forze diverse e azioni sinergiche. La maggior parte degli interventi
efficaci di contrasto ai fattori di rischio e di promozione di
comportamenti salutari sono esterni alla capacità di intervento del
Servizio sanitario, pertanto la programmazione regionale,
nell’ottica di Guadagnare Salute e attuando l’approccio
Salute in tutte le politiche, punta sull’avvio di una
“politica delle alleanze” tra soggetti portatori di interesse
e settori diversi della società (Amministrazioni locali,
Organizzazioni, Enti, Associazioni, Istituzioni, ecc.), che è
l'obiettivo trainante dell'Organizzazione Mondiale della Sanità
(OMS) nel documento Salute 2020;
- contrasto alle
diseguaglianze in salute: coerentemente con il PNP 2014-2018 che indica
chiaramente la necessità di adottare un approccio di sanità
pubblica che garantisca equità, il PRP della Regione del Veneto si
pone l'obiettivo del contrasto alle diseguaglianze come azione innovativa
e trasversale. È indispensabile, infatti, assumere un approccio
capace di leggere le disuguaglianze in salute con riferimento sia ai
determinanti distali (condizioni socio- economiche, istruzione,
provenienza geografica, ecc.) sia ai determinanti prossimali (stili di
vita, ecc.), di effettuare una attenta ricognizione regionale degli
interventi e, di conseguenza, la valutazione degli interventi di
contrasto, il loro monitoraggio nel tempo, la formazione degli operatori,
l'implementazione di azioni efficaci.
Unitamente a questi punti cardine sui quali poggia
il PRP e i suoi obiettivi, si fa sempre più strada il concetto di
engagement, ovvero il coinvolgimento attivo della persona nella
prevenzione e nella gestione della propria salute e di quella della
propria comunità, che rappresenta un innovativo cambio di paradigma
culturale in sanità. Tale concetto comprende quello di
partecipazione attiva (empowerment), di comunità e individuale, che
si riferisce all’acquisizione di un maggior controllo rispetto alle
decisioni e alle azioni che riguardano la propria ed altrui salute in
senso lato, mentre engagement sottolinea la presenza di una relazione
compartecipativa che il cittadino, in ogni fase della vita, instaura o
può instaurare con il suo sistema socio sanitario di riferimento nei
vari ambiti della promozione della salute, della prevenzione, cura e
riabilitazione.
In questo quadro, il Dipartimento di Prevenzione,
all'interno delle singole Aziende ULSS, è l'asse portante e il nodo
strategico garante di una forte e valida collaborazione tra le Strutture,
i Servizi e le Unità Operative, interni ed esterni all'Azienda ULSS,
impegnati nella promozione e nella tutela della salute dei cittadini e
conseguentemente nello sviluppo sociale ed economico della realtà
veneta.
I Dipartimenti di Prevenzione assumono un ruolo di
regia sia delle funzioni di erogazione diretta delle prestazioni sia di
governo di interventi non erogati direttamente, costruendo e sviluppando
una rete di collegamenti fra interlocutori (istituzionali e no), che in
senso bidirezionale connetta il
territorio al governo regionale e nazionale,
garantendo, inoltre, gli obiettivi individuati dal Reg.UE
n.625/2017.
Ambiente e salute
La letteratura scientifica disponibile è oggi
ricca di studi che evidenziano il nesso tra ambiente e salute, ovvero
quanto l’esposizione alle sostanze nocive presenti nell'aria,
nell'acqua, nel suolo o negli alimenti rappresenti un importante
determinante della salute.
Sono quindi forti le esigenze di:
- riqualificare le
valutazioni preventive effettuate dagli operatori della sanità
pubblica a supporto delle Amministrazioni e delle Istituzioni, a tal
fine, va mantenuta l’esperienza di strutture epidemiologiche
regionali, quali ad esempio, il Centro di Epidemiologia Veterinaria
(CREV) istituito presso l’Istituto Zooprofilattico Sperimentale
delle Venezie”;
- integrare le azioni
dei diversi soggetti sanitari e non sanitari che concorrono al
raggiungimento degli obiettivi di salute e al contrasto delle
disuguaglianze, causate anche dai determinanti ambientali. La tutela del
suolo, delle acque e dell'aria, le politiche di prevenzione della
produzione e di smaltimento dei rifiuti, la prevenzione
dall’esposizione ai rumori, alle radiazioni ionizzanti e non
ionizzanti, le politiche sulla sicurezza chimica, il contrasto agli
inquinanti e alle produzioni climalteranti, la qualità degli
interventi in edilizia, costituiscono opportunità di sviluppo delle
politiche intersettoriali e di possibile integrazione tra gli obiettivi
di salute;
- fornire indicazioni
per sviluppare adeguatamente la componente salute nell’ambito delle
procedure di VAS-Valutazione Ambientale Strategica e di VIA-Valutazione
di Impatto Sanitario di tipo prospettivo per nuovi insediamenti
produttivi e di tipo retrospettivo, con mappe di rischio, per gli
insediamenti esistenti;
- rafforzare le
strategie di sanità pubblica per contrasto alla contaminazione da
Sostanze Perfluoralchiliche (famiglia di composti chimici, prodotti
dall’uomo, utilizzati per rendere i materiali resistenti ai grassi
e all’acqua) che interessa una parte del territorio regionale. In
alcuni Comuni del Veneto si è verificato un inquinamento da PFAS o
composti similari delle acque a partire dagli anni ’70. Le
Strutture regionali della Sanità sono venute a conoscenza di tale
fenomeno nel 2013 attraverso la relazione elaborata dall’Istituto
di Ricerca sulle Acque – CNR, trasmessa dal Ministero della Salute.
Da allora, la Regione del Veneto ha messo in atto numerose azioni, come
l’individuazione dell’area di contaminazione e della
principale fonte responsabile; la messa in sicurezza della distribuzione
dell’acqua potabile e la mappatura ed il controllo dei pozzi
privati; l’avvio di uno studio di biomonitoraggio; l’avvio di
studi retrospettivi ed ecologici sulle patologie tumorali;
l’istituzione di Gruppi di lavoro ad hoc e di una specifica
Commissione sul tema. Nell’ottica della fondamentale importanza di
tutelare la salute pubblica, anche nei prossimi anni, si intende portare
avanti le azioni finora intraprese, con particolare riferimento al
monitoraggio degli alimenti e alla presa in carico della popolazione
esposta con la continuazione di un programma di screening di I e II
livello con approfondimenti specialistici. In aggiunta è resa
disponibile e volontaria la possibilità di riduzione delle sostanze
nel sangue attraverso procedure cliniche di plasmaferesi o di scambio
plasmatico a seconda delle concentrazioni di PFAS nel sangue. Intende,
inoltre, avviare una più approfondita valutazione epidemiologica di
tipo prospettico e retrospettivo e approfondire le valutazioni
epidemiologiche sui lavoratori della Ditta. La presa in carico della
popolazione dell’area arancione sarà valutata a seguito
dell’approfondimento del monitoraggio ambientale e degli esiti del
follow del biomonitoraggio. L’estensione della sorveglianza ad
altre fasce di
popolazione verrà inserita sulla base delle
evidenze scientifiche e dei risultati del Piano attualmente in corso. Si
ritiene, inoltre necessario ampliare i sistemi di comunicazione alla
popolazione attraverso la diffusione di materiale informativo e
l’implementazione del sito istituzionale regionale;
- attivare
l’Autorità Regionale di Controllo e Coordinamento, come
previsto al paragrafo Salute e Ambiente;
- migliorare i processi
partecipativi considerando le istanze provenienti dalla popolazione in
tema di programmazione e gestione di attività che hanno impatto
sull’ambiente e sulla salute;
- garantire una
adeguata comunicazione del rischio alla popolazione, che sempre più
chiede agli operatori del Servizio Sanitario risposte competenti, non
solo in materia di assistenza medica, ma anche in relazione a tematiche
di prevenzione e protezione da danni ambientali;
- riattivare il
controllo sistematico sulle produzioni industriali più pericolose e
procedere con le misure di contenimento e riduzione degli inquinanti,
anche attraverso un adeguato aumento del personale con funzioni
ispettive.
Inoltre, nell'ambito delle attività in tema di
salute ed ambiente si intendono garantire i presidi sui temi storicamente
in carico alla prevenzione e alla sanità: fitosanitari, REACH,
ambiente indoor, igiene edilizia, amianto, radon, radiazioni ionizzanti e
non, U.V.A..
La nuova organizzazione del Dipartimento di
Prevenzione intende rispondere a tale pianificazione garantendo, oltre
alle attività di controllo in integrazione con l’ARPAV, anche
una adeguata ed articolata comunicazione alla popolazione e alle
Istituzioni in merito alle ricadute dei determinanti ambientali sulla
salute.
Strategie per il
futuro
Rafforzare le strategie di sanità pubblica per
il contrasto alle contaminazioni da inquinanti, emergenti e non, nel
Veneto, alcune zone del territorio della nostra regione sono soggette a
pressioni costanti con un probabile aumento dei rischi sanitari. Il
metodo utilizzato per l’emergenza PFAS di interazione tra
OMS, Istituto Superiore di Sanità e altre Autorità preposte
sarà messo a sistema. Si ritiene necessario ampliare i sistemi di
comunicazione alla popolazione attraverso la diffusione di materiale
informativo e l’implementazione del sito istituzionale
regionale e attivare un adeguato coinvolgimento (informazione) dei Medici
di medicina generale.
Ridurre l’incidenza delle
malattie croniche
Il Dipartimento di Prevenzione rappresenta con la
sua nuova articolazione il luogo per un approccio globale, per ridurre il
carico prevenibile di mortalità e morbosità legato alle
malattie croniche. Tale approccio comprende strategie di popolazione e
strategie basate sull’individuo. I servizi di Psicologia
Ospedaliera e territoriale collaborano a tale processo.
Celiachia
- dare piena applicazione al Protocollo diagnostico
individuando sul territorio, sulla base dei requisiti stabiliti con
l’accordo 2017, i presidi sanitari del SSN per la diagnosi della
celiachia ai fini delle esenzioni dando così le stesse
opportunità diagnostiche ai cittadini;
- consentire l’acquisto dei prodotti senza
glutine erogabili non solo nelle farmacie ma anche negli esercizi
commerciali della Distribuzione Organizzata e nei negozi
specializzati;
- superare i confini regionali permettendo ai
celiaci l’acquisto dei prodotti in regime di esenzione anche al di
fuori della propria regione di residenza o del proprio domicilio
sanitario.
- attivare la tessera sanitaria per i celiaci
- la gestione dei Piani Terapeutici
- l'autorizzazione alla spesa per il Celiaco
- la validazione della rendicontazione e report a
supporto delle USL (gestione mobilità interregionale e intra
regionale etc.)
- la gestione sistema accoglienza flussi di
rendicontazione.
Strategie di popolazione
Ai Dipartimenti di Prevenzione è affidato il
ruolo importante di promuovere nella comunità la consapevolezza
delle scelte di salute, cooperare con altre strutture sanitarie, con
organizzazioni ed enti della collettività per l’attuazione di
programmi intersettoriali orientati al coinvolgimento attivo dei
cittadini, implementando gli obiettivi del programma nazionale
“Guadagnare Salute” (DPCM 4.5.2007), secondo i principi di
“Salute in tutte le politiche” appare opportuno attivare con
i Comuni tutte le forme di collaborazione sia nella fase di
programmazione che in quella esecutiva. Per fare ciò, è
necessaria una stretta sinergia tra i Servizi dei Dipartimenti di
Prevenzione che, definiti per ambiti di competenza, devono trovare nel
lavoro sinergico con il Distretto una modalità di approccio e di
intervento coordinata e condivisa rispetto al setting a cui si rivolgono
(scuola, ambiente di lavoro, comunità), per una forte azione di
sostegno. Entrano in questo ambito, lo sviluppo di programmi articolati
per setting e condivisi tra servizi sanitari e socio- sanitari,
istituzioni educative, mondo del lavoro, associazioni e comunità, di
prevenzione dell’iniziazione e promozione di scelte responsabili
rispetto al consumo di bevande alcoliche, di ambienti e persone libere
dal fumo, di adeguata attività fisica, di una sana
alimentazione.
Strategie basate sull’individuo
Qualora invece si fosse in presenza di soggetti con
già fattori di rischio comportamentali o intermedi, allora la scelta
strategica è di diffondere negli operatori sanitari le tecniche del
counselling motivazionale per “abilitare la persona a risolvere e
gestire problemi e a prendere una decisione, in vista di un obiettivo di
miglioramento dello stato di salute” (OMS, 1989). Si riconosce,
pertanto, la necessità di dare sviluppo al ruolo fondamentale del
personale sanitario che, opportunamente formato anche sul
“counselling breve” per la promozione di corretti
comportamenti, deve dare un importante contributo alla partecipazione e
responsabilizzazione individuale e collettiva promuovendo scelte salutari
di vita e ambienti che promuovono la salute. L’offerta del
consiglio breve, in particolare in presenza di soggetti con fattori di
rischio, deve trovare attuazione nei contatti sanitari
“opportunistici” (es. Ambulatori, Consultori, Certificazioni,
Medici Competenti, Screening oncologici, Punti nascita, Punti vaccinali,
ecc.).
L’attività dell’operatore sanitario
è supportata nel territorio dalla disponibilità di interventi
sia di comunità (es. gruppi di cammino, corsi di cucina sana, ...)
che terapeutici specifici (es. prescrizione esercizio fisico, trattamento
del tabagismo, consulenza nutrizionale), tali da poter permettere la
costruzione di percorsi personalizzati per livello di rischio ad
coinvolgimento attivo della persona. In questa ottica si inserisce anche
lo screening Cardio 50, nel suo ruolo di chiamata attiva dei 50enni, per
la valutazione del rischio cardiovascolare collocandolo all’interno
di un percorso di presa in carico.
E’ necessario diffondere la cultura della
consapevolezza e dell’impegno, quale strumento per compiere in modo
responsabile le scelte che riguardano il proprio stato di salute e
adottare stili di vita salutari (contrasto al tabagismo,
all’alcolismo, al gioco d’azzardo).
Rientrano nei compiti del Dipartimento di
Prevenzione in stretta sinergia con il Distretto, la programmazione,
attuazione e validazione di interventi finalizzati
all’individuazione di condizioni di rischio per le malattie
croniche non trasmissibili quali presupposti per la gestione di
un’adeguata “presa in carico” da parte delle strutture
territoriali e per garantire l’integrazione socio sanitaria.
La persona deve trovare nella rete funzionale
costruita dal Distretto e dal Dipartimento di Prevenzione
un’opportunità di salute attraverso team multidisciplinare ed
intersettoriale che la accompagnano, a seconda del livello di rischio di
partenza, nella scelta di comportamenti corretti per la salute.
Al Dipartimento di Prevenzione è affidato,
inoltre, il compito di coordinare gli Screening Oncologi, attraverso la
chiamata attiva di tutta la popolazione target residente e domiciliata,
prevedendo un coinvolgimento attivo dei Medici di Medicina Generale e
Pediatri di Libera Scelta. La nuova riorganizzazione del Dipartimento di
Prevenzione, che prevede il Servizio di prevenzione delle malattie
croniche non trasmissibili, programmi di screening e promozione della
salute, sottolinea l’importanza che lo screening diventi
un’opportunità di salute per la popolazione, in quanto
occasione sia per interventi brevissimi e brevi orientati a promuovere
stili di vita sani, sia per interventi di counselling motivazionale
rispetto ad eventuali fattori di rischio da modificare. In questa nuova
ottica lo screening diventa uno strumento di Sanità Pubblica che
deve essere coordinato con i programmi intersettoriali per la prevenzione
dei fattori di rischio finalizzati alla prevenzione delle malattie
croniche, da realizzarsi in stretta sinergia con i Distretti.
L’intersettorialità e
multidisciplinarietà, quindi, sono caratteristiche fondamentali dei
percorsi di presa in carico globale non solo per una migliore gestione
clinica, in risposta ai bisogni assistenziali ed una presa in carico
continuativa, ma anche per la promozione di sani stili di vita.
Ridurre l’incidenza delle
malattie trasmissibili
Le malattie infettive continuano a rappresentare per
la Regione del Veneto una priorità in ambito di Sanità
Pubblica. Il mutamento degli assetti sociali ed epidemiologici ed il
notevole aumento di spostamenti a livello internazionale di persone e
merci possono contribuire alla diffusione o ripresa di patologie
infettive. A complicare ulteriormente lo scenario, negli ultimi anni
è il rischio di comparsa di patologie sconosciute o normalmente non
presenti sul territorio, talvolta con caratteristiche tali da
rappresentare un rilevante rischio per la salute dell’uomo
(malattie trasmesse da vettori).
La programmazione regionale (PRP 2014-2018)
rispecchia pienamente le indicazioni dell’OMS e configura una
strategia integrata di prevenzione delle malattie infettive attraverso
varie linee di lavoro, con un approccio basato sulla creazione di
alleanze a diversi livelli e l’implementazione di reti
organizzative intraziendali e interaziendali. Tale programmazione si
articola in:
- potenziamento della
sorveglianza delle malattie infettive;
- promozione
dell’adesione consapevole alle vaccinazioni nella popolazione
generale e nei gruppi con condizioni di rischio o difficili da
raggiungere, mediante strategie di comunicazione integrate e formazione
rivolte agli operatori sanitari e ai cittadini, a sostegno del Piano
nazionale vaccini 2017-19 e l’applicazione di misure atte a ridurre
l’accumulo di suscettibili nelle comunità infantili;
- valutazione e
supporto nelle aree con più basse coperture vaccinali per
l’individuazione di strategie di recupero ad hoc;
- attuazione di
strategie per la ricerca attiva e il recupero dei bambini non vaccinati
frequentanti le comunità infantili;
- monitoraggio del
rispetto delle procedure operative in uso agli operatori dei servizi
vaccinali al fine di migliorare la gestione del processo vaccinale per
quanto concerne: la gestione dell'anagrafe vaccinale, il reclutamento dei
nuovi nati e la gestione della mancata adesione alle vaccinazioni; la
gestione e la conservazione dei vaccini; la somministrazione e
registrazione
delle vaccinazioni; gestione, notifica e follow up
degli eventi avversi immediati e non immediati a seguito di
somministrazione di vaccino;
- sorveglianza delle
reazioni avverse ai vaccini attraverso l’integrazione dei sistemi
informativi già esistenti e la formazione e responsabilizzazione
degli operatori con azioni quali: consulenza specialistica sulla
ammissibilità alla vaccinazione di persone con particolari problemi
di salute, da offrire alle strutture sanitarie; consulenza prevaccinale e
postvaccinale in caso di reazioni avverse; raccolta ed analisi critica
delle segnalazioni di reazioni avverse alle vaccinazioni; gestione del
database degli eventi avversi a vaccinazione e monitoraggio degli esiti
delle reazioni avverse gravi; sorveglianza attiva di particolari eventi
avversi a vaccinazione; redazione di un rapporto annuale sui casi di
reazioni segnalate;
- identificazione
tempestiva di casi e rischi infettivi, anche mediante sistemi di allerta
precoce, e aggiornamento delle risposte alle emergenze infettive;
- sorveglianza e
prevenzione delle patologie legate ai viaggi e all'immigrazione, e di
coordinamento della rete tra gli ambulatori che si occupano di medicina
dei viaggi e le strutture infettivologiche della regione;
- specifiche azioni di
controllo di alcune malattie infettive a decorso cronico e non
prevenibili mediante vaccinazione (tubercolosi, infezione da HIV). La
diagnosi precoce della malattia tubercolare, lo screening e la terapia
della tubercolosi latente vengono avocate in tutte le linee guida come le
misure più efficaci nella lotta alla tubercolosi, riducendo
l’incidenza nella popolazione generale, diminuendo la
probabilità di epidemie nosocomiali e migliorando l’outcome
clinico del paziente;
- promozione di
politiche per il corretto uso dell’antibiotico e per il controllo
dell’antibiotico- resistenza in strutture assistenziali e in
comunità, anche attraverso progetti pilota;
- sorveglianza e tutela
sanitaria dei soggetti richiedenti asilo, secondo il Protocollo operativo
regionale per il controllo delle malattie infettive e la profilassi
immunitaria in relazione all’afflusso di immigrati.
Inoltre, la Regione del Veneto si è dotata da
tempo di un’anagrafe vaccinale unica informatizzata (SIAVr) che
consente la gestione standardizzata dei processi organizzativi
dell’attività vaccinale, l’ottimizzazione di costi e
risorse, la diffusione delle migliori pratiche possibili e la
comparazione di informazioni omogenee nel rispetto della titolarità
dei dati degli utilizzatori.
Nella Regione del Veneto esiste un modello
organizzativo strutturato e consolidato capace di rispondere con elevato
profilo organizzativo e gestionale ad emergenze sanitarie, con
particolare riferimento a quelle di natura infettiva. Ogni Azienda ULSS
ha adottato un protocollo operativo per la preparazione e la risposta ad
emergenze di sanità pubblica con particolare riferimento alle
emergenze infettive. Sarà necessario implementare la rete
organizzativa sul territorio e una revisione dei protocolli operativi per
sviluppare piani per la gestione delle emergenze ambientali e migliorare
la formazione dei professionisti che potrebbero essere coinvolti in casi
di eventi emergenziali.
Interventi per ridurre il rischio
di malattie trasmesse da zanzare (West Nile e altre)
Gli interventi prevedono un approccio partecipato e
integrato con gli attori coinvolti:
- rafforzamento del Piano annuale regionale di
sorveglianza integrata e lotta ai vettori, con il coinvolgimento
capillare dei Comuni per gli interventi di disinfestazione, dei Consorzi
di Bonifica per la conoscenza e manutenzione del territorio;
- rafforzamento del sistema di sorveglianza umana
per casi clinici e positività nei donatori, sorveglianza veterinari
su casi in equidi ed avifauna selvatica, sorveglianza entomologica per il
controllo della densità e del tasso di positività virale nelle
zanzare;
- coinvolgimento della popolazione
nell’adozione di comportamenti che riducano la proliferazione dei
focolai larvali e per l’adozione di misure di protezione
individuale;
- attivazione di una Commissione Regionale
Permanente con il compito di coordinare le attività di tutti gli
attori coinvolti a diverso titolo nelle azioni di sorveglianza e
prevenzione delle suddette malattie e nella lotta al vettore.
Prevenire infortuni e malattie
professionali
La Regione del Veneto interviene nel campo della
tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro con compiti di
indirizzo, coordinamento e monitoraggio. Le funzioni operative sono
garantite sul territorio dai Servizi di Prevenzione Igiene e Sicurezza
negli Ambienti di Lavoro (SPISAL), istituiti presso il Dipartimento di
Prevenzione di ciascuna Azienda ULSS, col mandato istituzionale di
contribuire alla riduzione di infortuni sul lavoro e malattie
professionali e al miglioramento del benessere dei Lavoratori, integrando
attività di vigilanza, controllo, assistenza e promozione della
salute con i compiti propri della Polizia Giudiziaria e con le
attività di carattere sanitario. Il sistema istituzionale delineato
dalla normativa si fonda sulla partecipazione di Istituzioni e Parti
Sociali a livello nazionale, regionale e locale, sia nella fase di
programmazione strategica, sia nella fase di monitoraggio del
raggiungimento degli obiettivi, con la duplice finalità di
potenziare il coordinamento delle attività di prevenzione e
vigilanza e di garantire una maggiore efficacia all’azione pubblica
per il miglioramento dei livelli di tutela dei Lavoratori.
Le attività, programmate secondo le linee di
indirizzo strategiche nazionali del Piano Nazionale della Prevenzione, si
fondano prima di tutto sul perfezionamento dei sistemi di conoscenza e
sorveglianza di rischi professionali, infortuni sul lavoro e malattie
professionali e correlate al lavoro, e sull’analisi del contesto
economico, sociale ed epidemiologico, al fine di individuare le
priorità di intervento. In tale quadro, per il superamento delle
diseguaglianze di salute, risulta strategico migliorare l’efficacia
delle attività di controllo e l’omogeneità degli
interventi, mediante il potenziamento degli organici e del coordinamento
tra Servizi SPISAL delle Aziende ULSS e mediante la verifica della
qualità degli interventi anche con la metodologia
dell’audit.
In tale direzione si inserisce, inoltre,
l’implementazione del nuovo sistema informativo regionale per la
gestione dei Servizi SPISAL quale strumento per accrescere, su base
regionale, l’uniformità delle procedure di lavoro, registrare
il miglioramento dei livelli di sicurezza degli ambienti di lavoro,
monitorare la copertura dei livelli essenziali di assistenza, garantire
l’interfacciamento e l’integrazione con altre basi di dati e
facilitare la possibilità di sviluppare la cooperazione applicativa
con altri Enti.
Inoltre, quale strumento rafforzativo delle funzioni
previste dal mandato istituzionale e degli impegni assunti con i
sopracitati documenti programmatori, con DGR n. 1055 del 17 luglio 2018
è stato apportato il “Piano strategico 2018 – 2020 per
il consolidamento e il miglioramento delle attività a tutela della
salute e della sicurezza dei Lavoratori”, finalizzato
prioritariamente al contrasto del fenomeno infortunistico, anche in
considerazione dell’incremento assoluto di infortuni sul lavoro con
esito mortale registrato nel primo semestre 2018.
Le attività sanitarie sono orientate
principalmente alla ricerca attiva dei danni cronici da lavoro e alla
sorveglianza dei soggetti con pregressa esposizione professionale a
sostanze con effetti a lungo termine. In particolare,
l’attività di sorveglianza sanitaria degli ex-esposti ad
amianto è effettuata coerentemente con gli indirizzi operativi
approvati con Intesa tra Governo, Regioni e
Provincie Autonome del 22.02.2018, ai sensi dei
quali è garantita la sorveglianza attiva dei Lavoratori ex-esposti
ad amianto (in possesso della prevista certificazione da parte di INAIL o
individuati dall’integrazione di altre fonti informative), con
accertamenti clinici e strumentali non onerosi per gli
interessati.
Parallelamente all’attività di vigilanza
controllo e alle attività sanitarie (orientate essenzialmente alla
ricerca attiva dei danni cronici da lavoro e alla sorveglianza degli
ex-esposti a sostanze con effetti a lungo termine), assumono
un’importanza crescente la promozione della cultura della salute e
della sicurezza nei confronti di: Datori di Lavoro, Lavoratori e loro
Associazioni, mediante il sostegno dell’organizzazione e della
gestione della salute e sicurezza (con particolare attenzione a piccole e
micro-imprese) e, in senso più ampio, attraverso l’attivazione
di programmi di promozione di stili di vita sani nei luoghi di lavoro,
con il coinvolgimento del sistema della prevenzione delle Aziende e con
il potenziamento della comunicazione esterna rivolta a stakeholder
istituzionali e sociali, nonché ai professionisti e ai soggetti
attivi della prevenzione.
Potenziare i sistemi di
sorveglianza sullo stato di salute della popolazione
Si prevede di consolidare i Sistemi di Sorveglianza
della Popolazione (Passi, Passi D’Argento, OKkio, HBSC) al fine di
monitorare lo stato di salute percepita dalla popolazione, la percezione
della qualità e del sostegno fornito dai servizi sanitari alla
propria salute e per seguire i trend legati agli stili di vita. Tali
Sistemi di sorveglianza consentono il monitoraggio e la valutazione della
programmazione in tema di prevenzione ma, più in generale,
rappresentano un supporto per la programmazione sanitaria.
Per quanto riguarda la sorveglianza delle malattie
infettive in sanità pubblica, la Regione ha costituito una serie di
flussi informativi informatizzati interconnessi tra di loro il cui
livello di sintesi e approfondimento è diverso a seconda delle
caratteristiche della malattia, della rilevanza delle informazioni
necessarie e del tipo di programmi di controllo che vengono condotti.
Tali flussi permettono, nello loro capacità di lavorare in modo
inter-operabile, di segnalare eventuali emergenze in modo da avviare
tempestivamente indagini epidemiologiche necessarie per ogni caso
sospetto.
Garantire i sistemi di
sorveglianza sulla sicurezza alimentare
La Regione del Veneto è autorità
competente regionale per i controlli ufficiali in materia di igiene degli
alimenti e garantisce l’applicazione della normativa europea e
nazionale lungo l’intera filiera di produzione, lavorazione,
distribuzione e somministrazione degli alimenti, “dal campo alla
tavola”, per il territorio di propria competenza. La prospettiva
attraverso cui vanno inquadrate le azioni che incidono sulla sicurezza
alimentare è quella della “one health”, partendo
cioè dal riconoscimento che la salute dell’uomo dipende dalla
salute degli animali e dalle condizioni dell’ambiente in cui uomini
ed animali vivono e da cui traggono le risorse per alimentarsi e per
produrre alimenti, è necessario che il governo di questi tre ambiti
sia coordinato e superi la settorialità per garantire non solo un
risultato complessivo solido ed efficace a lungo termine, ma anche una
gestione economicamente vantaggiosa.
Il ruolo regionale è quello di fornire
indicazioni per l’applicazione della normativa di settore ai
diversi portatori di interesse e di indirizzare e coordinare le
attività di controllo effettuate dai Servizi (SIAN, SIAOA, SSA,
SIAPZ,) dei Dipartimenti di Prevenzione delle Aziende ULSS, autorità
competenti locali, e le funzioni di supporto ed analisi in capo ad ARPAV
e all’Istituto Zooprofilattico Sperimentale.
La pianificazione strategica regionale dei
controlli, che discende dal Piano Nazionale Integrato (PNI), prevede
l’adozione di azioni integrate sulla base della definizione di
procedure condivise e
coordinate tra i diversi enti coinvolti nei
controlli; la condivisione di procedure gestionali ed operative ha
inoltre l’obiettivo di assicurare che i controlli siano svolti in
modo più omogeneo da parte degli operatori. L’aggiornamento su
base annuale della programmazione specifica delle attività di
controllo è dettata dalla necessità di un monitoraggio
frequente e della rendicontazione annuale dei risultati ai livelli
superiori di gestione. La verifica della conformità organizzativa e
dell’efficacia delle attività in capo alle Aziende ULSS viene
garantita dal Sistema di audit attuato annualmente dalla Regione ai sensi
dell’art. 4(6) del regolamento (CE) n. 882/2004.
Gli ambiti di attività dei Servizi del
Dipartimento di Prevenzione che si occupano specificatamente di sicurezza
alimentare e di sanità pubblica veterinaria includono, oltre al
controllo ufficiale in materia di igiene degli alimenti e dei mangimi, di
salute e di benessere degli animali, di sottoprodotti di origine animale,
di farmaci veterinari e di prodotti fitosanitari, la sorveglianza e la
prevenzione nutrizionale e gli interventi atti ad assicurare
l’igiene urbana e degli allevamenti.
Sicurezza alimentare
Al fine di da attuare in maniera uniforme sul
territorio le normative europee e nazionali in materia di controlli
ufficiali, la Regione ritiene strategico gestire:
- la formazione di base
degli operatori addetti ai controlli, ed in particolare degli
auditor;
- la programmazione
pluriennale ed annuale dei controlli ed il coordinamento con i laboratori
di analisi;
- il coordinamento tra
autorità competenti e altri organi di controllo;
- la condivisione e
l’adozione di procedure e modalità di controllo
uniformi;
- lo sviluppo di
procedure informatiche per la gestione e rendicontazione delle
attività;
- la gestione delle
allerte alimentari e dei mangimi e delle relative emergenze;
- gli audit interni
sulle autorità competenti locali e la verifica dell’efficacia
delle attività.
Inoltre la Regione è impegnata
nell’attuazione degli indirizzi di semplificazione amministrativa
per gli operatori economici, con particolare riferimento alle imprese del
settore alimentare, anche in relazione all’agenda digitale.
Infine, altre attività che coinvolgono la
Regione e i Servizi delle Aziende ULSS sono finalizzate a promuovere
l’educazione e la promozione della salute in ambito alimentare,
attraverso iniziative per informare la popolazione sulle buone pratiche
igieniche relative alla sicurezza alimentare, a garantire il supporto
tecnico necessario alle imprese alimentari per l’esportazione degli
alimenti e a sviluppare azioni di coordinamento nell’ambito della
Politica Agricola Comune.
Sanità Animale e Igiene degli allevamenti
La Regione del Veneto rappresenta una delle
principali realtà zootecniche a livello nazionale, con particolare
riferimento al settore dei bovini da carne e alla filiera avicola.
E’ pertanto necessario dare attuazione ai piani di controllo delle
malattie infettive, al Piano Nazionale Alimentazione Animale, al Piano
Nazionale Residui e al piano di controllo dei farmaci veterinari.
Inoltre, stante la peculiarità della zootecnia regionale, è
necessario prevedere lo sviluppo delle seguenti priorità, anche
attraverso l’implementazione di specifiche piattaforme:
- rafforzare i piani di
controllo per l’individuazione precoce delle zoonosi, in
particolare per quelle emergenti;
- sviluppare e dare
attuazione ai piani per la gestione delle emergenze epidemiche e non
epidemiche;
- definire nuovi
livelli di biosicurezza, in particolare nelle aree ad elevata
densità di allevamenti avicoli;
- perseguire
l’accreditamento comunitario per le malattie degli animali
d’allevamento;
- rafforzare le misure
di gestione delle problematiche di igiene urbana veterinaria, ivi
comprese il controllo delle popolazioni animali sinantrope;
- strutturare in
maniera coordinata i diversi piani di monitoraggio sanitario delle
popolazioni animali selvatiche;
- sviluppare
attività finalizzate a contrastare il fenomeno
dell’antimicrobicoresistenza, quali ad esempio la formazione dei
veterinari prescrittori, e la programmazione dei controlli da parte
dell’Autorità competente;
- assicurare il
benessere animale attraverso la valutazione basata sull’analisi del
rischio. In particolare si dovrà razionalizzare, integrare e
semplificare i controlli ufficiali effettuati sugli operatori del
settore.
La Regione del Veneto, nell’ambito della
propria programmazione, può affidare all’Istituto
Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie la gestione di specifici
progetti di ricerca, la realizzazione o partecipazione a programmi di
Sanità Pubblica veterinaria, che possono prevedere anche
l’esecuzione di test di laboratorio nei settori di competenza
dell’Istituto.
Il Centro Regionale di Epidemiologia Veterinaria,
affidato all’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie,
è uno strumento operativo della Regione del Veneto per lo studio,
pianificazione e coordinamento delle azioni di prevenzione e controllo
nei settori della sicurezza degli alimenti, della salute umana e animale
e del benessere animale. Tali azioni trovano fondamento nel sistema
informativo regionale dei Servizi Veterinari e dei Servizi di Igiene
degli Alimenti e Nutrizione implementato e gestito dal Centro.
La comunicazione
La comunicazione rappresenta, insieme alla
formazione, una delle attività trasversali presenti sotto varie
tipologie in quasi la totalità dei Programmi di prevenzione e
promozione della salute.
Tale presenza variegata che va dal tradizionale
materiale informativo cartaceo, alle APP per promuovere stili di vita o
adesione a programmi di prevenzione individuale, passando attraverso siti
specifici, rivolti sia a cittadini che operatori, video messaggi per le
sale di attesa, risponde ad alcuni obiettivi specifici nell’ambito
della comunicazione della salute, quali:
- interventi per
migliorare le competenze comunicative dei professionisti della
salute;
- supporto alla
popolazione che cerca informazioni sulla salute e sui servizi
offerti;
- educazione dei
cittadini in merito a tematiche sanitarie, rischi, misure preventive e
modalità di accesso ai Servizi sanitari.
Dati tali obiettivi la comunicazione della salute
può essere definita come “lo studio e l’impiego delle
strategie di comunicazione per informare e influenzare, nei singoli
individui e nelle comunità,
decisioni finalizzate a incrementare lo stato di
salute”1. Lo spirito,
quindi, che anima la comunicazione all’interno di tale area è
quello non solo di produrre messaggi o materiali, ma anche di innescare
percezioni, convinzioni, atteggiamenti e stimolare cambiamenti per
l’adozione o il mantenimento di nuovi comportamenti di
salute.
La comunicazione in ambito vaccinale, ad esempio, ha
sempre avuto un ruolo cruciale per l’accettazione o meno delle
pratiche vaccinali, ma in questo ultimo decennio, con l'avvento del web,
abbiamo assistito ad un cambiamento radicale dei mezzi e delle strategie
comunicative, nonché all’aumento esponenziale della
quantità di informazioni con una diversificazione delle
modalità di fruizione e di impiego. Internet rappresenta attualmente
il principale mezzo di comunicazione: secondo i dati Istat, il 50% degli
utenti ricerca informazioni di tipo sanitario su internet. Tuttavia
l’elevata disponibilità di informazioni contrasta con la
qualità delle stesse: spesso le notizie, i dati, le conclusioni e i
giudizi diffusi sul web risultano inesatti e ingannevoli.
Inoltre, la comunicazione anche quale strumento
significativo per il confronto e lo scambio di buone prassi, di dati,
informazioni e linee di lavoro, sia tra operatori della sanità che
professionisti di altre agenzie, ad es. gli operatori della ristorazione
collettiva o tecnici urbanistici degli enti locali nell’ambito
della prevenzione degli incidenti stradali.
Nelle diverse forme di comunicazione ritroviamo,
infine, alcuni dei punti cardine della programmazione sopra elencati,
quali:
- Life course: una
comunicazione per ogni fase del ciclo della vita. La comunicazione segue
la persona nel suo arco di vita dal periodo preconcezionale, alla
maternità, ai primi anni di vita nell’ambito dei Programmi
specifici per argomento di salute garantendo continuità e
omogeneità al messaggio comunicativo;
- strumenti diversi per
setting diversi, al fine di raggiungere le persone là dove vivono -
la casa, la scuola, l’ambiente di lavoro, la comunità di
appartenenza. La scelta di comunicare alle persone nel loro setting di
vita è determinata dalla volontà di sottolineare
l’obiettivo ultimo che è quello di supportare le scelte di
salute delle persone nella loro quotidianità. Una comunicazione,
quindi, al servizio delle persone, basata anche sulla convinzione che
è inutile avere un buon sistema sanitario, prestazioni efficienti,
programmi di prevenzione e promozione della salute se i cittadini non
usufruiscono dei servizi disponibili o non vi aderiscono perché non
adeguatamente informati o persuasi, insomma, una prevenzione che è
vicina alle persone e che parla lo stesso linguaggio;
- comunicazione a
servizio dell’intersettorialità quando si propone di
raggiungere settori diversi da quello della sanità, rivolgendosi a
partner e stakeholder dei Programmi negli obiettivi di salute ad es.
amministratori di enti locali, professionisti di palestre territoriali
nel Programma prescrizione dell’esercizio fisico, leader gruppi di
cammino, ecc.;
- comunicazione quale
strumento per contrastare le diseguaglianze di salute, messaggi che
cercano di colmare, ad esempio, producendo materiali multilingue, le
difficoltà linguistiche che impediscono alle persone di altre
culture di accedere e comprendere i contenuti informativi relativi
all’accesso ed uso dei diversi fattori protettivi per la salute
forniti dai Servizi sanitari. Lo scopo è di rendere fruibili per
tutta la popolazione eleggibile gli interventi efficaci, superando le
differenze territoriali, con l’obiettivo di limitare le
diseguaglianze causate da condizioni sociali ed economiche che
influiscono sullo stato di salute.
1 U.S. Department of Health and
Human Services, Healthy People 2010, c. 11, Health
Communication.
Si intende sviluppare un piano di comunicazione
coordinato e multimodale capace di esprimere la vision e mission che
sottendono ai programmi di prevenzione e promozione della salute,
sviluppato con obiettivi ben definiti per garantire la partecipazione ed
il protagonismo dei cittadini alle scelte di salute. Ciò in sinergia
con gli obiettivi regionali di promuovere una capillare e trasparente
informazione ai cittadini sui servizi che erogano nelle strutture
socio-sanitarie, attraverso strumenti di comunicazione delle ULSS (carta
dei servizi, siti web, bollettini periodici), favorendo anche la
condivisione delle regole di funzionamento del SSSR.
La formazione
La formazione si articolerà in eventi formativi
rivolti al personale sanitario (Dirigenti delle Unità Organizzative
dei Distretti, Medici di Medicina Generale, Pediatri di Libera Scelta,
Dirigenti dei Dipartimenti di Prevenzione, Operatori dei Punti nascita;
Operatori dei Servizi Vaccinali, Operatori specialisti in materie
diverse, Operatori sanitari non meglio specificati, Operatori
appartenenti ai Gruppi di Guadagnare Salute) e a persone che non
rientrano tra il personale sanitario:
• Enti comunali: amministratori comunali,
tecnici urbanistici;
• Scuola: insegnanti, Dirigenti scolastici,
studenti, genitori;
• Ristorazione collettiva: addetti alla
ristorazione, componenti comitati mense scolastiche;
• Palestre: gestori, specialisti esercizio
fisico;
• Mondo dell’associazionismo e del
volontariato: volontari gruppi di cammino;
• Popolazione generale.
La formazione è uno strumento a supporto della
Sanità pubblica, al fine di aumentare le competenze necessarie per
un cambio culturale sia degli operatori sanitari sia della popolazione
generale, rispetto al nuovo modo di concepire la prevenzione e la
promozione della salute.
La Regione del Veneto intende, ad esempio
nell’ambito della prevenzione delle malattie trasmissibili,
continuare la formazione degli operatori dei servizi vaccinali, pediatri
di libera scelta e di personale sanitario ospedaliero e territoriale
coinvolto nelle attività di prevenzione delle malattie infettive e
dare ulteriore impulso ad una campagna di informazione rivolta alla
popolazione generale, al fine di sensibilizzare sull’importanza
delle vaccinazioni per la tutela della salute del singolo e della
collettività. L'impiego di nuove tecnologie - social network,
portale internet vaccinarsinveneto.org - affiancherà gli strumenti
più tradizionali quali opuscoli cartacei, poster etc.
La finalità generale che si vuole perseguire
con la formazione è di promuovere una nuova modalità di lavoro,
cioè la trasversalità di intervento come punto di forza di
questa area. Nello specifico, attraverso un sistema di aggiornamento
continuo e accreditato, si intende favorire la condivisione di linguaggi
e di competenze, l’omogeneizzazione di procedure e protocolli, lo
sviluppo di nuove linee di lavoro, la creazione e il consolidamento delle
reti di collaborazioni.
Un modello importante di riferimento per la
strutturazione dei percorsi di formazione, aggiornamento e supporto alle
linee di intervento sono le “Competenze Chiave”
(CompHP2)
2 The CompHP Project Handbooks.
2012
definite come “l'insieme minimo delle
competenze che costituiscono una base comune per tutti i ruoli della
promozione della salute, ossia ciò che ci si aspetta che tutti i
professionisti della promozione della salute siano capaci di fare per
lavorare sul campo in modo efficiente, efficace e
appropriato”.
Lo sviluppo di competenze avanzate è rivolto
soprattutto ai professionisti della promozione della salute, intesa come
ambito di pratica specialistico e di crescente qualità, con il fine
di incrementare l’efficacia e la ricaduta dei propri interventi
anche nei confronti della cultura e dei valori di salute del contesto
d’azione.
Lo sviluppo di competenze chiave si basa
sull’aggiornamento continuo degli operatori e sulla revisione delle
pratiche già in essere ed è correlato ad una vasta gamma di
potenziali applicazioni nei diversi settori.
Alla luce della riorganizzazione aziendale e in
risposta alla programmazione nazionale e regionale, che definisce e
normalizza ambiti di attività nuovi, anche in risposta al crescente
peso della cronicità, è necessario rivedere i carichi di lavoro
del personale dei Dipartimenti di Prevenzione, in una logica di
razionalizzazione delle risorse al fine di garantire maggiore
intersettorialità tra i Servizi, ridefinire le competenze
necessarie, e sperimentare un modello di intercambiabilità (task-
shifting) per il personale. Tale approccio dovrà portare alla
definizione di dotazioni standard del Dipartimento di Prevenzione.
3. LA PROMOZIONE SOCIO SANITARIA
DELLA REGIONE
VENETO
|
|
Analisi bisogni e gestioni
con standard, modelli organizzativi, reti, percorsi, centri di
riferimento, accessibilità, sistemi di qualità, governo
clinico
|
Obiettivi
strategici
|
OS1. Potenziare
l’analisi dei bisogni e la gestione con gli standard
OS2. Organizzare il
sistema di offerta con modelli integrati che garantiscano
continuità nel percorso assistenziale OS3. Garantire ai
cittadini l’accessibilità e l’appropriatezza dei
servizi attraverso anche la gestione dei tempi di attesa OS4.
Sperimentare forme di collaborazione pubblico –
privato
OS5. Sviluppare un
sistema qualità integrato
OS6. Gestire il
rischio all’interno del governo clinico
|
Programmare dall’analisi dei bisogni
La ricerca dei fattori eziologici e di rischio delle
malattie rappresenta il primo e indispensabile passo verso la prevenzione
e il controllo delle malattie stesse.
Negli ultimi anni lo sviluppo di raccolte
sistematiche di dati associati all’erogazione di assistenza
sanitaria (Fascicolo Sanitario Elettronico, registri di malattia, banche
dati assistito) ha permesso ad contribuire ad accrescere la conoscenza
dei fenomeni legati alla salute dell’individuo e in particolare
consente:
- di avere a
disposizione di tutti gli attori del sistema più elementi per
definire la diagnosi e la cura più adeguata, agevolando scelte
consapevoli e informate con potenziale vantaggio in esiti di
salute;
- di transitare da una
medicina di attesa dell’evento patologico ad una medicina di
iniziativa, che va dall’anticipazione alla diagnosi precoce, allo
screening e alla prevenzione attuata anche con l’identificazione e,
ove possibile, il trattamento dei fattori di rischio;
- di acquisire tutti
gli elementi per fare analisi epidemiologiche dettagliate che integrino
le informazioni sulla mortalità con gli altri elementi provenienti
dagli archivi clinici elettronici del paziente;
- di organizzare in
maniera più efficiente i servizi avendo la possibilità di
differenziare le tipologie di utenti di servizi sanitari e quindi la loro
frequenza di acceso al sistema.
Il sistema di segmentazione della popolazione basato
sui diversi profili di rischio (come è ACG) consente di mappare i
bisogni di salute, l’utilizzo di risorse della popolazione e di
profilare la popolazione sulla base di criteri prognostici e non solo
diagnostici; detto sistema di segmentazione costituirà il supporto
primario per la programmazione degli interventi per
l’organizzazione del SSSR.
Misurare e gestire con gli standard
L’obiettivo prioritario che viene monitorato
attraverso i sistemi di valutazione della qualità che vengono
descritti nei paragrafi successivi è la valutazione
dell’efficacia, appropriatezza e qualità degli esiti delle
cure e dei servizi erogati dal SSSR secondo il modello organizzativo
determinato dalla Regione.
È inoltre importante pensare, misurare e
gestire in termini di efficienza allocativa anche l’organizzazione
dei servizi sanitari e socio sanitari.
Ai fini di determinare condizioni di
economicità e appropriatezza nell’impiego delle risorse deve
essere costantemente monitorata l’analisi di dettaglio e la
valutazione composta di indicatori dell’utilizzo dei fattori
produttivi, di processo e di efficienza, in relazione agli esiti e
risultati da raggiungere per un determinato servizio.
Solo in condizioni di efficienza allocativa è
possibile determinare standard di costo.
È in questo quadro che la Regione del Veneto ha
avviato, ed intende proseguire, un percorso di determinazione di costi e
fabbisogni standard, che verrà progressivamente esteso a tutti gli
ambiti e che prevede:
- la determinazione
precisa del processo erogativo/assistenziale;
- la programmazione
della copertura del fabbisogno di personale relativa a ciascuna Azienda
ULSS sia per le strutture ospedaliere che per quelle territoriali;
- l’utilizzo di
sistemi di misurazione degli indicatori che permettano di confrontare
processi erogativi/ assistenziali complessi nel tempo;
- l’utilizzo di
sistemi di rilevazione dei costi omogenei, con regole di codifica chiare
e condivise;
- la determinazione a
priori di condizioni di inefficienza che possono essere accettate in
ottica di governo del sistema e che motivano scostamenti accettati
rispetto allo standard.
3.1. L’ORGANIZZAZIONE DEL SISTEMA SOCIO SANITARIO DEL
VENETO
Diritto di
scelta del luogo di cura
Il Sistema delle cure in veneto è articolato
per livelli di intensità crescente e prevede che devono essere
garantite ai cittadini le cure a media e bassa complessità secondo
il criterio di prossimità e quella ad alta complessità secondo
il criterio di centralizzazione.
Le schede di dotazione ospedaliera e di dotazione
territoriale, che attuano la programmazione sanitaria, definiscono il
ruolo di ciascuna struttura nella rete regionale assistenziale, nel
sistema delle reti tempo-dipendenti e delle reti cliniche.
Per garantire un ulteriore miglioramento della
qualità delle cure, in particolare per le patologie di maggiore
rilevanza, è necessario potenziare l’identificazione dei
Centri di riferimento.
Tale identificazione, da effettuarsi sia a livello
aziendale che a livello regionale, assicura, oltre che la massima
sicurezza possibile delle cure, la migliore allocazione possibile delle
risorse professionali e strumentali.
I centri identificati, oltre a valorizzare i livelli
di competenza tradizionalmente presenti, devono essere individuati sulla
base dei risultati del Piano Nazionale Esiti (PNE) e devono essere
oggetto di costante aggiornamento e monitoraggio in particolare per
quanto riguarda i volumi di attività e gli esiti della stessa, ma
anche per quanto attiene al ruolo svolto nella formazione ed al
contributo alla ricerca.
Spetta alla Giunta Regionale introdurre il sistema
di qualità delle cure che, definendo i criteri di individuazione dei
centri attraverso la coniugazione del ruolo assegnato dalla
programmazione con la flessibilità connessa agli sviluppi anche
tecnologici nell’erogazione delle cure, renda possibile sia
agli operatori del sistema sanitario che ai
cittadini l’identificazione dei luoghi in cui sono concentrate le
massime competenze e conoscenze per una determinata patologia.
Spetta ad Azienda Zero strutturare un sistema
informativo, costantemente aggiornato e facilmente consultabile, che
permetta a tutti di operare una scelta consapevole del luogo di
cura.
I luoghi di cura
A fronte della complessità dei bisogni delle
persone, della molteplicità delle relazioni, delle specificità
territoriali e della pluralità delle competenze necessarie per una
cura appropriata e sicura, assume sempre più importanza delineare
chiaramente il ruolo di ciascun luogo di cura e di assistenza, oltre al
percorso che il paziente intraprende e le modalità/criteri di
accesso ai servizi sanitari e socio sanitari. Il sistema di offerta
regionale, modulato su un’offerta distinta per intensità di
cura, comprende:
- strutture
ospedaliere, sviluppate secondo il modello “Hub in Spoke”,
distinte in: Hub, presidi ospedalieri (Spoke legati al Hub di
riferimento), nodi di rete e strutture integrative della rete;
- strutture sanitarie
di cure intermedie: Ospedali di Comunità e Unità riabilitative
territoriali, Hospice, strutture riabilitative extra ospedaliere (ex art.
26 legge 833/1978), comunità terapeutiche riabilitative protette di
tipo A e altre strutture sanitarie caratterizzate dalla temporaneità
della permanenza;
- strutture
socio-sanitarie residenziali e semiresidenziali, che si articolano in
centri di servizio per anziani, per disabili, per le dipendenze, età
evolutiva e la salute mentale.
Trovano coordinamento presso il Distretto ulteriori
unità di offerta: Medicine di Gruppo, e team di assistenza primaria
diversamente organizzati, le equipe di cure palliative e di cure
domiciliari.
Le strutture sanitarie e socio sanitarie concorrono
a determinare la rete dell’offerta assistenziale del sistema della
cure della Regione del Veneto nel rispetto dei seguenti vincoli
programmatori:
- fino a 3 posti letto
acuti ospedalieri ogni 1000 abitanti;
- fino a 0,5 posti
letto di riabilitazione ospedaliera ogni 1000 abitanti;
- minimo 0,6 per mille
della popolazione di età superiore ai 45 anni presente
nell’Azienda ULSS di appartenenza per tutte le tipologie di
strutture intermedie. Le specificità del territorio bellunese, del
Polesine, delle aree montane e lagunari, delle aree a bassa densità
abitativa possono dotarsi di un incremento dei posti letto delle
strutture previste nelle schede territoriali dello 0,2 per mille.
La sfida è rappresentata dal creare le
condizioni di sistema affinché l’organizzazione del SSSR
realizzi l’integrazione di questi luoghi di cura, creando così
una rete che soddisfi le reali esigenze di cura del paziente nel
territorio di riferimento garantendo l’equità di accesso ed
una uniformità assistenziale.
È compito della programmazione regionale
pianificare il SSR del Veneto in modo tale che vengano garantite la cura
e l’assistenza in modo uniforme, appropriato e responsabile su
tutto il territorio regionale, definendo il ruolo, le funzioni
strategiche, nonché le relazioni delle singole strutture sanitarie
all’interno del modello dei luoghi di cura e la conseguente
dotazione di posti letto della singola struttura, declinati per
disciplina/specialità nel caso delle strutture ospedaliere, definite
su valutazioni dei bisogni assistenziali, bacini di riferimento e
diffusione delle specialità, complessità dei casi
trattati.
La programmazione deve altresì promuovere la
maggior flessibilità organizzativa nella gestione dei posti letto
rispetto alla domanda appropriata di ricovero per le necessità
provenienti dal Pronto Soccorso.
Il
sistema a rete
Il Sistema Sanitario veneto è caratterizzato da
un’alta integrazione dei luoghi di cura, dei servizi e dei
professionisti e ha tra gli obiettivi prioritari quello di assicurare al
paziente un accesso alle cure migliori, appropriate e tempestive e di
garantire continuità di cura attraverso il superamento della
frammentazione dei percorsi, facilitando la ricomposizione dei servizi
intorno alla persona.
Devono essere sviluppati modelli di integrazione con
il territorio per la gestione e la presa in carico integrata dei pazienti
cronici ed elevato grado di complessità assistenziale, anche
attraverso l’introduzione di modelli innovativi.
Per i luoghi di cura, è stato definito un
modello di rete “Hub and Spoke” che ha consentito di
assegnare, a tutti gli erogatori, ruolo, funzioni e dotazione
strutturale, parametrati sulla base di standard assistenziali.
Le reti cliniche, organizzate all’interno
della rete Hub and Spoke, si sviluppano nel rispetto della logica dei
bacini di popolazione e della diffusione delle specialità previste
anche dal DM 70/2015 “Regolamento recante definizione degli
standard qualitativi, strutturali, tecnologici e quantitativi relativi
all'assistenza ospedaliera.”.
L’insieme dei Centri di riferimento , che deve
essere fortemente integrato con il sistema delle reti, deve essere
sottoposto a revisione ogni tre anni.
Hub
and Spoke
Negli ultimi anni in Veneto l’ospedale è
diventato sempre di più il luogo di cura dedicato alla sola fase
acuta del percorso assistenziale e questo risultato è stato il
frutto di un lungo processo di cambiamento organizzativo, testimoniato
tra l’altro da un tasso di ospedalizzazione tra i più bassi in
Italia.
A livello nazionale è stata confermata la piena
coerenza di questa strategia con quanto previsto dagli “Standard
qualitativi, strutturali, tecnologici e quantitativi relativi
all’assistenza ospedaliera” previsti nel DM 70/2015;
l’elevato livello qualitativo delle prestazioni erogate e delle
modalità organizzative, inoltre, è stato riconosciuto negli
ultimi anni dai diversi sistemi di valutazione di sistemi sanitari, sia
nazionali che internazionali.
La dotazione dei posti letto ospedalieri prevista
con la L.R. 23/2012 di 3,5 posti letto per mille abitanti, di cui 3 per
mille per acuti e 0,5 per riabilitazione, ha consentito di dare
appropriata risposta alle necessità assistenziali di ricovero per i
cittadini veneti; inoltre, il parametro aggiuntivo di 0,2 posti letto per
mille abitanti dedicato ai pazienti provenienti da fuori regione, in un
contesto di costante e progressivo aumento della mobilità attiva, ha
consentito di assistere adeguatamente anche tali tipologie di
utenti.
Si conferma quindi il parametro massimo complessivo
di 3,7 posti letto per mille abitanti previsto anche dalla normativa
nazionale, di cui 0,7 dedicati alla riabilitazione.
La definizione dei luoghi di cura per
l’assistenza ospedaliera, articolati secondo un modello di rete
“Hub and Spoke” è definita con provvedimento giuntale
previo parere della Commissione Consiliare ed è sviluppata in
coerenza con quanto previsto dal DM 70/2015 che stabilisce tra
l’altro, che il ruolo dell’Ospedale e le Specialità
assegnate siano individuate in riferimento ai bacini di popolazione
serviti.
Pertanto le tipologie di strutture ospedaliere che
caratterizzano la rete dei luoghi di cura regionale sono:
- 5 Ospedali Hub con
bacino di popolazione di circa 1 milione di abitanti;
- 2 Ospedali di rilievo
provinciale identificati come Hub (Rovigo e Belluno) per le
specialità assegnate in coerenza con il citato DM 70/2015.
Tra i 5 Hub previsti, l’Azienda
Ospedale-Università di Padova e l’Azienda Ospedaliera-
Universitaria Integrata di Verona sono individuate come Hub di eccellenza
di rilievo regionale.
L’Istituto Oncologico Veneto è
individuato come Hub di riferimento regionale per quanto riguarda la
patologia oncologica;
- Ospedali presidi di rete – Spoke, con bacino
di popolazione di circa 200.000 abitanti o comunque presidi territoriali
fondamentali laddove ci siano evidenti difficoltà infrastrutturali
per raggiungere l’hub di riferimento da parte della popolazione e/o
diventino durante la stagione turistica (come ad esempio lo spoke di
Chioggia) indispensabili per l’attività di emergenza e
assistenza;
- Ospedali nodi di rete e strutture integrative di
rete.
Gli Hub di eccellenza sono qualificati dalla
presenza di alte specializzazioni e garantiscono la competenza necessaria
per la gestione delle casistiche più complesse, anche grazie alla
presenza delle tecnologie più innovative. Sono caratterizzati dalla
sinergica cooperazione istituzionale con le Università di Padova e
Verona, dall’integrazione dell'attività assistenziale,
didattico/formativa e di ricerca, e dalla partecipazione alle reti
nazionali oltre che dalla cooperazione con i centri ospedalieri di
maggior prestigio internazionale.
Va realizzata, presso il sito di Padova Est –
S. Lazzaro, la nuova struttura ospedaliera Nuovo Polo della Salute di
Padova, come da Accordo siglato il 21 dicembre 2017 tra Regione del
Veneto e Comune di Padova ed inserito nella programmazione regionale come
Hub a valenza regionale e sovraregionale.
Gli Hub garantiscono lo sviluppo delle pratiche
cliniche e l’introduzione delle innovazioni derivate dalla ricerca
nella pratica ospedaliera, contribuendo al miglioramento continuo dei
livelli di assistenza della rete ospedaliera regionale. Supportano le
strutture della rete ospedaliera regionale nella gestione delle
casistiche complesse sia attraverso modelli di centralizzazione dei
pazienti, anche per la sola fase acuta del percorso assistenziale
(facilitando poi una presa in carico da parte delle strutture ospedaliere
di prossimità per la gestione della fase post-acuta), sia attraverso
lo sviluppo di modelli di consulenza da garantire anche con strumenti
informatici.
Gli ospedali Hub rappresentano il vertice della
piramide organizzativa per il territorio di riferimento.
Gli Ospedali Spoke e Nodi di rete assumono la
funzione di Ospedali di riferimento territoriale per le patologie a media
e bassa complessità; in considerazione della definizione
territoriale delle ULSS è necessario sviluppare un maggior
coordinamento tra le strutture ospedaliere delle Aziende Sanitarie, per
garantire un’offerta uniforme ed accessibile, che riduca le
inefficienze di sistema e migliori i livelli di integrazione con le
strutture territoriali, anche in considerazione di quanto previsto dal
Programma Nazionale Esiti, circa i volumi minimi e gli esiti per
tipologia di prestazioni.
Si rende dunque necessario, nella rete così
delineata, rafforzare il ruolo delle strutture classificate come Spoke e
Nodi di rete, in ragione della maggiore importanza che rivestono nei
rispettivi ambiti territoriali, per le altre strutture che concorrono a
erogare prestazioni di bassa e media
intensità, nel rispetto del concetto di
prossimità delle cure per tali tipologie di prestazioni pur
centralizzando, come detto, le prestazioni di alta
complessità.
In definitiva viene confermato il modello “Hub
and Spoke” quale struttura portante dell’organizzazione
dell’assistenza ospedaliera, sulla quale vanno definite e
strutturate le reti cliniche che devono prevedere la valorizzazione delle
strutture partecipanti alla rete. In riferimento agli ospedali
classificati come “Spoke”, sarà mantenuta la funzione di
ospedali per acuti con i relativi servizi esistenti, valutando il loro
potenziamento e prevedendo altresì interventi di efficientamento,
ammodernamento e riqualificazione delle strutture attingendo dai fondi
nazionali e regionali per gli investimenti.
Nell’ambito della medesima AULSS possono
essere organizzati degli Ospedali riuniti, secondo un modello di gestione
operativa delle attività sanitarie ed assistenziali configurato sul
Dipartimento ad Attività Integrata, al fine di perseguire
l’ottimale realizzazione del percorso diagnostico- terapeutico e
riabilitativo ed esercitare in forma unitaria e coordinata le
attività assistenziali. Il Dipartimento, così configurato,
garantirà una migliore integrazione con i diversi territori, grazie
alla gestione unitaria delle risorse economiche, umane e strumentali
assegnate. Tale modello consentirà, inoltre, una migliore e uniforme
erogazione dei servizi sanitari, nonché di rendere più
competitiva l’offerta sanitaria territoriale. Il modello è
definito dalla Giunta regionale ed è impiegato principalmente nelle
aree in cui i servizi sono erogati da più presidi
ospedalieri.
Si ribadisce quindi che va salvaguardata la
specificità del territorio montano, lagunare, del polesine e delle
aree a bassa densità abitativa, anche in considerazione di quanto
previsto dall’articolo 15 dello Statuto, al fine di garantire
l’equo accesso di tutti gli utenti ai servizi, nel rispetto delle
specialità assegnate in coerenza con il DM 70/2015 e dei tempi di
attesa, in una logica di area vasta; nel salvaguardare la
specificità dei territori alpini, o disagiati, si terrà
altresì conto di alcuni indicatori specifici di fabbisogno calibrati
sulle peculiarità dei territori interessati. In particolare
nell’erogazione dei servizi in emergenza e urgenza, nelle reti
tempo dipendenti va garantita la rapidità dell’intervento
secondo lo standard “golden hour”.
Va altresì assicurata l’offerta di
adeguati servizi nelle località ad alta densità turistica, con
cadenza stagionale, nei periodi di maggiore presenza in modo da garantire
le prestazioni appropriate ai turisti, senza che ci siano conseguenze
sull’erogazione dei servizi programmati alla popolazione
residente.
Le reti cliniche
Le reti per patologia sono organizzate
all’interno del modello hub and spoke e devono essere sviluppate in
modo da garantire al territorio di riferimento risposte per tutti i
livelli delle cure, compatibilmente con quanto previsto dal DM 70/2015
relativamente alla distribuzione delle alte specialità, la cui
diffusione è prevista per bacini di riferimento più ampio per
cui la rete assume una dimensione regionale.
All’interno del territorio di riferimento dei
5 Hub infatti deve essere organizzata un’offerta assistenziale
appropriata, vicina al paziente (secondo il concetto di prossimità
relativa), che assicura un elevato livello qualitativo delle prestazioni
ed un efficiente ed efficace livello di allocazione delle risorse,
garantendo della definizione di ruoli chiari per ciascun erogatore,
definiti “ex ante”.
La necessità di ricomporre l’offerta dei
servizi intorno alla persona rende infatti necessario sviluppare le reti
cliniche in modo da garantire per ciascun bacino di riferimento la
possibilità di erogare i servizi in modo flessibile e con maggior
grado di “personalizzazione”, avvantaggiandosi rapidamente
delle innovazioni cliniche, tecniche e tecnologiche e consentendo di
prevedere
percorsi per pazienti complessi pluri-patologici,
sviluppati sulla base dei bisogni, secondo il criterio di una risposta
appropriata, personalizzata ed efficace, nei luoghi di maggior
prossimità del paziente e del contesto familiare.
All’interno delle reti cliniche deve essere
garantita la mobilità dei professionisti, per facilitare la crescita
professionale e sviluppare un maggior grado di integrazione tra i
professionisti.
Le reti cliniche così delineate, rappresentando
una modalità organizzativa ed un sistema di relazioni che
esplicitano, in riferimento alla patologia/specialità descritta,
quanto già previsto nei provvedimenti di programmazione per quanto
riguarda il modello dei luoghi di cura della rete ospedaliera e sono
definite con provvedimenti giuntali.
Nella definizione della reti cliniche dovranno
essere previsti:
- bacini di riferimento
e valenza della patologia anche in relazione alla tempodipendenza;
- ruoli delle strutture
coinvolte, definiti anche sulla base di “volumi” ed
“esiti”;
- funzioni definite per
livelli;
- requisiti previsti
per ciascun livello;
- coordinatore clinico
funzionale (con ruolo di “primus inter pares”).
Nella definizione delle rete devono essere
chiaramente evidenziati i luoghi di presa in carico dei pazienti e i
livelli previsti per dare le risposte più appropriate ai bisogni dei
pazienti e deve essere previsto di dare massima informazione ai
professionisti ed ai cittadini.
Per gli aspetti tecnico-organizzativi ed
amministrativi le reti cliniche dovranno prevedere come punto di
riferimento l’Azienda Zero, in particolare per le seguenti
attività:
- integrazione
organizzativa e professionale di tutte le componenti e i professionisti
coinvolti nella rete;
- proposta alle
strutture regionali dei vari PDTA che si sviluppano all’interno
della rete;
- verifica della
coerenza di protocolli e procedure all’interno della rete e
validazione degli strumenti organizzativi previsti;
- monitoraggio e
verifica dei risultati e del raggiungimento degli obiettivi posti per la
rete e per i PDTA collegati;
- raccordo delle
specifiche di attività formative proposte dal coordinatore clinico
con la Fondazione SSP;
- definizione di un
sistema informativo funzionale alla filiera dell’assistenza, che
supporti le diverse fasi assistenziali, nell’ottica di integrazione
informativa e di continuità dell’assistenza;
- definizione e
sviluppo di modalità di collegamento in rete con l’assistenza
primaria e con le strutture distrettuali, territoriali ed ospedaliere e
prevenzione.
L’organizzazione regionale definisce ulteriori
reti cliniche rispetto a quelle previste dai provvedimenti nazionali e si
continuerà a implementare le reti per patologia sopratutto quelle
con particolare rilievo epidemiologico; attualmente in Veneto sono attive
le seguenti reti:
Reti per patologie tempo dipendenti come definite
nel DM 70/2015
- Rete
emergenza/urgenza
- Rete per le emergenze
cardiologiche
- Rete per il
Trauma
- Rete Ictus Altre
reti
- Trapianti di organi e
tessuti
- Trasfusionale
- Malattie Rare
- Gestione del neonato
critico e del bambino in emergenza e urgenza
- Urgenze endoscopiche
gastroenterologiche
- Paziente con
neurolesione grave
- Riabilitazione
- Oncologica
- Oncoematologia
pediatrica
- Anatomia
patologica
- Breast unit
- Diabetologia
- Endocrinologia
- Reumatologia
- Cure palliative e
terapia del dolore (rete territoriale)
- Terapia del dolore
(rete ospedaliera)
- Obesità
- Punti nascita
- Ematologia
- Endocrinologia
- Allergie alimentari e
Allergologia
- Medicina dello sport e
dell’Esercizio Fisico
- Disturbi del
Comportamento Alimentare
- Declino cognitivo e
demenze
- Sclerosi
multipla
- Asma grave
- Pediatrica
Rete Emergenza e Urgenza: la gestione dei percorsi
dei pazienti in emergenza/urgenza è un momento particolarmente
delicato nell’ambito di un sistema sanitario, che mette alla prova,
continuamente, la tenuta dell’organizzazione e il livello
qualitativo delle prestazioni erogate.
Infatti, la difficoltà di tale gestione è
aggravata ulteriormente nella Regione del Veneto dalla presenza di
territori sia montani, che pianeggianti e lagunari che rende necessario
prendere in
carico in qualsiasi momento e in tempi strettissimi
uno o più pazienti contemporaneamente, che si trovino in situazione
critiche o in pericolo di vita e devono essere sottoposti ad accertamenti
e terapie non programmabili.
Questo compito richiede una capacità di governo
forte ed efficace, a garanzia dell’omogeneità distributiva e
qualitativa dei servizi erogati, oltre che un sistema capillare, in grado
di stabilizzare il paziente, formulare una prima diagnosi e avviarlo in
modo corretto al centro più appropriato dove sia possibile
effettuare gli approfondimenti diagnostici necessari e le terapie
più appropriate.
La rete dell’emergenza-urgenza, pertanto oltre
ad assicurare al paziente la gestione della fase critica del percorso di
cura, rappresenta anche il sensore dell’intero sistema, in grado di
fornire informazioni preziose per la manutenzione/aggiornamento sia della
programmazione regionale che del livello attuativo aziendale.
Il monitoraggio di tali informazioni (che deve
essere anche esteso a tutto l’ambito delle reti tempo dipendenti),
deve consentire una gestione “elastica” dei percorsi dei
pazienti, secondo un modello di rete clinica che consenta di utilizzare
al meglio le strutture di offerta del Sistema Sanitario, superandone le
rigidità strutturali.
Infatti il Sistema dell’Emergenza-Urgenza, che
ha a disposizione le informazioni della rete ospedaliera strutturata per
Hub and Spoke (strutture, funzioni, ruoli etc.), deve utilizzare anche
tutte le informazioni disponibili per indirizzare rapidamente pazienti
nel luogo giusto, in caso di indisponibilità temporanea delle
risorse necessarie (ad esempio delle sale operatorie o terapie
intensive), di distanza del luogo appropriato di cura incompatibile con
la situazione di instabilità clinica.
Nel sistema di reti cliniche vengono pertanto
sviluppate soluzioni organizzative che consentano l’erogazione di
servizi in modo “flessibile” e che migliorino l’accesso
alle strutture più appropriate e la gestione ottimale dei tempi
intraospedalieri.
Diventano quindi obiettivi da perseguire:
- Aggiornamento e
manutenzione costante delle reti tempo dipendenti in base
all’evoluzione delle acquisizioni scientifiche e tecnologiche e
delle verifiche degli indicatori di processo e di esito.
- Definizione condivisa
dei criteri di utilizzo dell’ospedale per prestazioni a valenza
interaziendale attraverso la declinazione di elementi di
inclusione/esclusione con relativi protocolli di accesso.
- Implementazione di
soluzioni organizzative funzionali per la gestione del pronto soccorso
(osservazione breve intensiva, percorsi veloci per accessi specialistici,
percorso pediatrico)
Si ritiene anche sia necessario sviluppare un
sistema di rilevazione in tempo reale e informatizzata dell'utilizzo dei
posti letto che consenta al Suem una gestione efficiente dei pazienti
all'interno delle reti tempo dipendenti.
Tale monitoraggio consentirà di potenziare il
livello organizzativo all'interno della rete ospedaliera e di migliorare
ulteriormente il livello qualitativo delle prestazioni, consentendo di
trasportare i pazienti nel minor tempo possibile nei centri
appropriati.
Il sistema di rilevazione e monitoraggio deve essere
strutturato in modo specifico anche per i pazienti pediatrici per i quali
l’attuale sistema di trasporto neonatale ha già consentito il
raggiungimento di elevati standard assistenziali ma è tuttavia
necessario prevedere per questa particolare categoria di pazienti, nelle
strutture dell'emergenza e urgenza , idonei spazi e percorsi
dedicati per la gestione dei piccoli pazienti, per
rendere meno traumatica possibile l'esperienza del contatto con le
strutture sanitarie.
Si conferma il disegno organizzativo complessivo del
Dipartimento funzionale di Riabilitazione Ospedale - Territorio ex DGR
2634/2013. La Riabilitazione è attività complessa, deve
essere interconnessa tra le strutture ospedaliere e territoriali, anche
interaziendali. Il Dipartimento dovrà mettere in rete le strutture
pubbliche e private accreditate del medesimo Territorio e disegnare la
propria specifica rete della degenza riabilitativa specificando livelli e
ruoli delle diverse strutture di offerta. Nello stesso ambito dovranno
essere definiti i soggetti cui prioritariamente si rivolge
l'attività del Dipartimento. Proprio infatti il paziente complesso,
così come definito dal Piano di Indirizzo per la Riabilitazione
(2011), richiede un approccio multi-professionale, e pertanto deve avere
un percorso di presa in carico basato su criteri di appropriatezza, di
governo clinico e di verifica degli esiti, compito del Dipartimento
funzionale di Riabilitazione. I LEA approvati con DPCM 12 gennaio 2017,
nell'ambito dell'assistenza protesica accrescono notevolmente con
possibilità prescrittive per ausili di comunicazione e domotica.
Queste soluzioni avanzate per l'autonomia della persona disabile
richiedono specifiche e innovative professionalità. Anche per la
riabilitazione in età evolutiva, il Dipartimento funzionale di
Riabilitazione, deve coordinare il percorso con protocolli specifici per
garantire standard qualitativi di assistenza e per favorire il percorso
in una rete riabilitativa estesa a tutto il territorio di ogni Azienda
Ulss.
Rete Oncologica: il modello di rete oncologica,
così come definito dalla L.R. 23/2012 e dai conseguenti
provvedimenti attuativi, ha dimostrato la sua efficacia consentendo di
elevare ed uniformare il livello delle prestazioni oncologiche nelle sue
diverse fasi. L’obiettivo da perseguire è
l’aggiornamento costante e puntuale del Registro Tumori entro i 6
mesi successivi.
Importante inoltre è stato il miglioramento
assistenziale nell’ambito della presa in carico dei pazienti e
nell’elaborazione e definizione dei PDTA, con particolare
attenzione alla personalizzazione delle cure.
Si conferma pertanto l’impostazione attuale,
che riconosce nell’Istituto Oncologico Veneto la sede di
coordinamento della Rete Oncologica Veneta, articolata a livello
operativo nei 5 poli oncologici, nei Dipartimenti Oncologici e nei Gruppi
Oncologici Multidisciplinari.
La rete oncologica contribuirà a sviluppare e
rendere strutturali sistemi di valutazione/raccomandazioni
sull’utilizzo di nuovi farmaci e nuovi dispositivi, nonché ad
individuare e rilevare indicatori di appropriatezza, efficacia ed esito
dei percorsi assistenziali.
La Rete oncologica fornirà altresì alla
programmazione regionale i criteri per l’individuazione dei Centri
di Riferimento regionali per le patologie oncologiche complesse e
garantirà il supporto tecnico per l’aggiornamento ed il
monitoraggio degli indicatori di attività e di esito.
La Rete Trapianti: il trapianto di organi o tessuti
è un atto di cura con effetto sulla sopravvivenza e sulla
qualità di vita che diventa indispensabile nelle gravi insufficienze
d’organo. La programmazione regionale, a fronte dei positivi
risultati conseguiti, intende confermare l’attuale assetto della
rete trapiantologica regionale confermando il Coordinamento regionale e i
Coordinamenti locali per i trapianti collocati in ciascuna Azienda
Sanitaria.
È indispensabile mantenere e rafforzare il
settore della donazione mediante un consolidamento della attività di
governance del Sistema Regionale Trapianti mediante: il controllo
retrospettivo dell’attività svolta rilevato dal flusso delle
Schede di Dimissione Ospedaliera e azioni di audit sistematico; la
stesura di raccomandazioni regionali per la gestione/monitoraggio del
paziente
ospedalizzato con cerebro-lesione acuta; la
diffusione dei programmi di donazione di organi da donatore “a
cuore fermo”; l’incentivazione all’impiego dei sistemi
di perfusione “ex vivo” degli organi; sviluppare presso un
laboratorio regionale di riferimento nuovi percorsi per la diagnostica
immunologica del candidato al trapianto.
Si intende potenziare la possibilità di
effettuare scelte di donazione anche al di fuori delle strutture
sanitarie attuando campagne di sensibilizzazione dei cittadini e offrendo
la possibilità di effettuare tali scelte anche nei nodi della
pubblica amministrazione. Devono essere incentivati e resi operativi
programmi di ricerca trazionale per individuare nuove soluzioni
tecnologiche innovative, anche nell'ambito della medicina rigenerativa,
alternative al trapianto. Anche sul versante organizzativo deve essere
sviluppata una maggiore integrazione dei centri trapianto, secondo
modelli che integrano i centri in "Programmi di trapianto" per tipologia
di organo e con modalità organizzative che prevedano la gestione
unitaria delle liste di attesa e specializzino i poli presenti nella
rete.
La Rete Di Medicina Trasfusionale: la Rete di
Medicina Trasfusionale (RMT) della Regione del Veneto, articolata in un
Organismo di Coordinamento (CRAT) e in Dipartimenti Interaziendali di
Medicina Trasfusionale (DIMT), ha costruito un contesto organizzativo,
già rispondente ai contenuti del DM 70/2015, che ha garantito le
funzioni clinico-assistenziali di medicina trasfusionale, in coerenza con
gli indirizzi e gli obiettivi nazionali, assicurando i Livelli Essenziali
di Assistenza in materia trasfusionale.
L’impegnativo programma richiesto per la
trasformazione delle strutture trasfusionali in un assetto operativo
aderente all’approccio europeo necessita di una ulteriore
evoluzione sia verso una rivisitazione degli ambiti dipartimentali e
delle attività loro assegnate per un omogeneo modello organizzativo
regionale, sia in termini di adeguamento strutturale e
tecnologico.
I processi delle strutture trasfusionali devono
essere infatti conformi alle vigenti prescrizioni normative nazionali ed
europee che saranno integrate dalla imminente introduzione dei più
stringenti requisiti minimi di funzionamento facenti riferimento alle
buone prassi di fabbricazione di cui all’art. 47 della Direttiva
2001/83/CE, come previsto dalla Direttiva 2016/1214/CE, recante modifica
della Direttiva 2005/62/CE per quanto riguarda le norme e le specifiche
del sistema qualità per i servizi trasfusionali.
La Rete di riabilitazione: è necessario
attivare sia delle strutture di primo livello (ambulatori e strutture ex
art. 26) sia strutture di secondo livello (spoke) e terzo livello (hub)
con funzioni di coordinamento degli spoke, secondo il noto modello
“Hub and Spoke”. La rete spoke è indispensabile per
attuare una azione di filtro a seconda dei diversi interventi di
riabilitazione e sviluppare un’integrazione fra Territorio e
Ospedale; i centri hub invece sono necessari per concentrare risorse
economiche, competenze specialistiche ed organizzative a cui far afferire
il paziente non trattabile nelle strutture c.d. spoke.
I centri hub per la riabilitazione si
caratterizzano, tra l’altro, per:
- Il recupero di gravi patologie cardiologiche
disabilitanti in pazienti ad alta complessità;
- Il recupero, la cura e la gestione delle maggiori
patologie respiratorie;
- Recupero e cura dei pazienti con sarcopenia
grave;
- offrire un panel di attività interventistiche
di alto livello per la riabilitazione;
- ottimizzare le risorse economiche concentrando
quelle esistenti per sviluppare strutture organizzative con funzioni
medico-chirurgiche multidisciplinari;
- consolidare e coordinare una valutazione
sistematica di appropriatezza clinica e scientifica delle attività
interventistiche nell’ambito riabilitazione;
- coordinare e dare indirizzi
sull’attività della rete territoriale degli spoke;
Tra le reti cliniche a forte integrazione anche con
il territorio va sviluppata, in continuità con i vigenti atti
programmatori, la Rete clinica della Medicina dello Sport.
L’organizzazione in rete di questa disciplina garantisce la tutela
sanitaria dell’attività sportiva, anche con la collaborazione
della FSMI del CONI di cui all’articolo 3 della legge regionale 3 agosto
1982, n. 25 e all’articolo 10septies della legge 30 ottobre
2013, n. 125. La rete della Medicina dello Sport si pone, inoltre, come
organizzazione efficace per la realizzazione di ogni intervento
preventivo e terapeutico in cui la prescrizione dell’esercizio
fisico strutturato (EFS) venga utilizzata per contrastare le malattie
croniche e ridurre il carico di morbilità e disabilità nei
soggetti affetti da patologie e a rischio, in un’ottica di sinergie
e intersettorialità necessarie e già previste anche dalla
legge regionale 11
maggio 2015, n. 8 . La rete della Medicina dello Sport è
articolata in nodi polifunzionali con connessione di tipo “Hub and
Spoke” per certe tipologie di funzione (accertamenti con alto
livello di complessità) e connessioni “Spoke and Spoke”
per altre funzioni (es. collegamenti per certificazioni). I nodi sono
classificati su più livelli: nodi privati, nodi di base, nodi di
primo livello, nodi di secondo livello e nodi di terzo livello con
maggiori complessità.
Rete Disturbi del Comportamento Alimentare: i DCA
sono molto diffusi nella popolazione giovanile, soprattutto di sesso
femminile: nelle ragazze di età compresa tra i 14 e i 25 anni la
loro diffusione arriva ad interessare il 10% delle persone. In
particolare l’anoressia nervosa è il disturbo psichiatrico con
la più alta mortalità (10- 20%).
Il trattamento di queste patologie richiede una
collaborazione continuativa tra gli specialisti di area psichiatrica e
psicologica e gli specialisti di area medica
È indispensabile quindi rafforzare
l’attività dei Centri con una programmazione che preveda
l’adozione di protocolli di collaborazione durante i ricoveri tra
centri per i DCA e reparti di medicina e pediatria, così come
stabilire, almeno una volta l’anno, momenti di confronto con i
rappresentanti delle associazioni facenti parte, nelle nostre Province,
del coordinamento nazionale DCA per un monitoraggio dell’efficacia
della attività di assistenza e cura dei pazienti.
Particolare attenzione sarà da destinarsi alla
gestione e prevenzione delle malattie allergiche in considerazione del
costante incremento nella popolazione dell’incidenza, in
particolare delle forme gravi di allergia alimentare, sia nell'età
adulta sia nell’età pediatrica, nonché delle complicanze
legate alla cronicizzazione delle varie manifestazioni cliniche.
Si rende pertanto opportuna per il tramite della
rete per un tempestivo trattamento e prevenzione delle emergenze
allergologiche e delle reazioni anafilattiche che consideri anche
l’aspetto educazionale dei vari operatori, incluse le scuole ed i
ristoratori. Nei Centri HUB della rete dovranno essere anche sviluppate
terapie innovative delle malattie allergiche che possano poi essere
traslate a livello di assistenza primaria in biunivoco flusso di
informazioni.
I Centri di riferimento
regionali
L’integrazione dei luoghi di cura, perseguita
attraverso l’utilizzo di modelli di rete, richiede per le patologie
a maggiore complessità - anche in considerazione di quanto previsto
dal programma nazionale esiti – l’individuazione di Centri di
riferimento regionali per patologia.
I Centri individuati, che devono essere coerenti con
l’organizzazione della rete ospedaliera, consentono infatti di
strutturare PDTA che meglio rispondono ai bisogni dei pazienti in
quanto
permettendo di concentrare le casistiche sulla base
di criteri di complessità, rendono possibile lo sviluppo di
competenze, contribuendo ad aumentare il livello qualitativo delle
prestazioni.
I Centri di riferimento regionali sono aggregati
all’interno delle Unità complesse aziendali e per dare
garanzia di continuità di integrazione e anche a garanzia degli
investimenti strutturali e della dotazione organica, il Direttore della
struttura complessa, cui è incardinato il centro, è individuato
come responsabile "strutturale" del centro e deve garantire il necessario
supporto al funzionamento del Centro specializzato.
Rivestono inoltre il ruolo di riferimento regionale
per le patologie specifiche, oltre che per le attività di diagnosi e
cura, anche per quanto riguarda le attività di ricerca.
Svolgono inoltre attività formativa e di
aggiornamento rivolta al personale sanitario interno alla propria azienda
ovvero di altre aziende sanitarie al fine di sviluppare conoscenze e
competenze, garantendo nel tempo la continuità e la qualità
delle attività svolte.
Tra i centri di riferimento regionali è
opportuno richiamare la Fondazione Banca degli Occhi del Veneto con sede
a Mestre, che è la prima banca in Europa per numero di cornee
raccolte e distribuite. Fondata nel1987, è il centro di riferimento
regionale per i trapianti di cornea del Veneto ed è tra le più
importanti strutture organizzate in Italia per la promozione della
cultura di donazione, raccolta, lavorazione e distribuzione di tessuti
corneali per i trapianti, nonché per la cura di patologie del
segmento anteriore dell'occhio. Tra i suoi compiti vi è, inoltre, il
costante impegno nella ricerca per migliorare le tecniche di trapianto e
la cura di altre malattie della vista. La Fondazione è orientata a
crescere professionalmente, impegnandosi nella ricerca di soluzioni
innovative ai problemi legati alle malattie della cornea, continuando
incessantemente a migliorare le possibilità di cura delle malattie
dell'apparato visivo attraverso un'attività di ricerca eticamente
responsabile. È una tra le prime strutture in grado di distribuire
lembi di cellule staminali corneali per la cura di patologie oculari non
curabili con il solo trapianto di cornea e offre servizi di diagnosi e
consulenza ai chirurghi oftalmologi per i pazienti affetti da gravi
malattie difficilmente diagnosticabili. La Fondazione è la prima
Banca italiana iscritta nell'elenco delle Banche di Tessuti certificate
dal Centro Nazionale Trapianti che operano in conformità alla Linee
Guida per il prelievo, la processazione e la distribuzione di tessuti a
scopo di trapianto.
I percorsi diagnostico
terapeutici assistenziali
La sfida nella costruzione del modello di presa in
carico consiste nell’organizzare servizi sempre più complessi
ed integrati rispetto al passato, laddove la complessità è il
risultato di processi di integrazione di diversa natura: di contenuto, di
ambiti, di saperi, di modalità di fruizione.
Il PDTA rappresenta il percorso del paziente
all’interno delle reti cliniche, più razionale finalizzato al
miglior esito delle cure.
Il PDTA è uno strumento trasversale, che
consente di creare collegamenti tra i ruoli e le funzioni individuate
nella rete garantendo continuità nell’assistenza.
Attraverso lo strumento del PDTA si garantiscono la
riproducibilità delle azioni e l’uniformità delle
prestazioni erogate e per questo motivo diventa uno strumento importante
del controllo dell’appropriatezza erogativa e della tutela del
professionista.
Il PDTA è lo strumento che definisce per la
specifica situazione patologica individuata:
- gli
interventi/prestazioni sanitarie più appropriati per la diagnosi,
terapia e l’assistenza;
- la tipologia di nodi
della rete dove gli interventi/prestazioni possono essere erogati;
- i tempi entro cui
devono essere erogati gli interventi/prestazioni;
- il livello di
coinvolgimento dei professionisti nelle fasi del percorso;
- I risultati e gli
esiti da verificare.
La stesura del PDTA è:
- affidata a un gruppo
multidisciplinare, preferibilmente coordinato dal responsabile della rete
clinico assistenziale;
- definita attraverso
l’analisi delle buone pratiche, di linee guida di riferimento e
dalla letteratura;
- adottata con decreto
del direttore dell’Area Sanità e Sociale.
Il supporto tecnico ai gruppi di lavoro per la
stesura dei PDTA è fornito da Azienda Zero.
Nella definizione dei PDTA dovrà essere chiaro
il ruolo delle strutture ospedaliere nella fase acuta del percorso
assistenziale, anche in considerazione di un percorso di cura centrato
sempre più sul territorio. Prevedere la possibilità di
sviluppare uno specifico PDTA per le emoglobinopatie (talassemie,
drepanocitosi e altre anemie rare).
Il Comitato Regionale per la
Bioetica e i Comitati Etici locali
Nella prospettiva di attenzione e di tutela dei
valori della persona, la Regione del Veneto, da sempre sensibile alle
tematiche di bioetica, ha disegnato la rete dei Comitati etici del
Veneto, comprendente un Comitato regionale per la Bioetica e Comitati
etici a livello locale distinti in due tipologie: i Comitati Etici per la
Sperimentazione Clinica e i Comitati Etici per la Pratica Clinica.
Il Comitato Regionale per la Bioetica è
organismo consultivo preposto all'approfondimento degli aspetti bioetici
correlati alle attività sanitarie e socio-sanitarie e alla ricerca,
con particolare riguardo alla programmazione regionale, ai principi
organizzativi del servizio socio-sanitario regionale, all'allocazione e
uso delle risorse, al controllo della qualità dei servizi con
riferimento ai processi di umanizzazione della medicina e
dell'assistenza.
l Comitati Etici per la Pratica Clinica operano a
livello locale all'interno delle Aziende Sanitarie e hanno come obiettivo
primario quello di favorire e custodire la dimensione etica all'interno
della istituzione sanitaria contribuendo in tal modo a garantire una cura
centrata sulla persona e sulla sua dignità.
l Comitati Etici per la Sperimentazione Clinica,
operanti nelle strutture sanitarie della Regione del Veneto, hanno il
compito di garantire la tutela dei diritti, della sicurezza e del
benessere delle persone sottoposte a sperimentazione nonché di
fornire pubblica garanzia di tale tutela.
3.2. ACCESSIBILITÀ AL
SSSR
Il sistema sanitario veneto si fonda
sull’universalità e equità e assicura i LEA in modo
uniforme su tutto il territorio regionale secondo il principio
dell’appropriatezza.
A fronte di una domanda di servizi sempre crescente,
negli ultimi anni si è rilevata la necessità di migliorare
appropriatezza nell’erogazione delle prestazioni e di porre
maggiore attenzione all’individuazione di bisogni inespressi o
difficoltà che limitano l’accessibilità ai
servizi.
È necessario quindi un governo della domanda
basato su principi di appropriatezza clinica e organizzativa che abbia
come strategia fondamentale la gestione delle liste d’attesa e il
corretto utilizzo delle classi di priorità.
La definizione di priorità, attualmente
utilizzata nella gestione dei ricoveri ospedalieri, delle cure
specialistiche ambulatoriali, degli interventi chirurgici programmati
nonché degli accessi di Pronto Soccorso, è finalizzata a
aumentare il livello di appropriatezza.
In particolare, per quanto riguarda
l’appropriatezza prescrittiva della specialistica ambulatoriale,
come disposto dalla normativa nazionale, ogni prescrizione dovrà
riportare obbligatoriamente il quesito diagnostico per la buona pratica
clinica e, altresì, la opportuna classe di priorità.
Le classi di priorità sono un valido strumento
per assegnare, sulla base di corrette indicazioni cliniche, il corretto
tempo di accesso alle prestazioni sanitarie e il regime organizzativo
più adatto.
Tutti gli erogatori devono necessariamente
rispettare nei confronti degli assistiti i tempi massimi di attesa per
l’accesso alle prestazioni sanitarie, secondo quanto previsto dalla
normativa nazionale e regionale, e nell’osservanza delle
disposizioni e degli adempimenti impartiti dall’Autorità
Nazionale AntiCorruzione sul rispetto degli obblighi in tema di
anticorruzione e trasparenza.
In coerenza con quanto sopra descritto quindi deve
essere rafforzata la promozione del governo della gestione delle liste di
attesa e dei relativi tempi, anche individuando e mettendo in atto
strategie per la gestione delle eventuali criticità al fine di
garantire a tutti gli assistiti un accesso equo alle prestazioni
sanitarie, erogate nelle sedi e con tempistica adeguate, nonché la
qualità e sicurezza delle stesse. In ogni caso, già a partire
dal primo anno di vigenza del presente Piano Socio-Sanitario Regionale,
sarà organizzato ed effettuato un controllo straordinario sulla
concreta gestione delle classi di priorità effettuata dagli
erogatori pubblici e privati.
Per migliorare l’appropriatezza prescrittiva
deve essere promosso l’utilizzo dei PDTA come strumenti per
standardizzare la prescrizione e l’erogazione.
Uno strumento di responsabilizzazione
nell’accesso al SSSR è dato dalla compartecipazione alla spesa
che mira a ridurre il consumo non appropriato, incentivando una domanda
ottimale della prestazione.
La quota della compartecipazione (ticket o quota di
compartecipazione) però non deve condurre a effetti distorsivi, come
la limitazione e la diseguaglianza all’accesso.
Si intende quindi limitare, per quanto di
competenza, la compartecipazione alla spesa del cittadino, che resta
titolare del diritto all’accesso del sistema sanitario e alle
prestazioni appropriate.
Per quanto riguarda invece l’appropriatezza
erogativa, tramite Azienda Zero, deve essere sviluppato il sistema di
monitoraggio e controllo su appropriatezza e congruità delle
prestazioni sanitarie erogate dalle strutture pubbliche e private
accreditate.
I privati accreditati, erogatori di prestazioni,
devono uniformarsi al livello d’eccellenza del SSSR affinché
sia garantito all’utente lo stesso livello qualitativo.
Deve quindi essere garantita sia la piena
integrazione e interoperabilità con i sistemi informativi presenti
nelle aziende sanitarie, sia un costante aggiornamento delle dotazioni
tecnologiche, in particolare di quelle diagnostiche e strumentali.
In caso di mancato rispetto di quanto previsto dalla
normativa regionale, si provvederà ad applicare le procedure e le
sanzioni previste dagli istituti contrattuali vigenti.
Infine, rispetto alla possibilità di ridurre le
liste d’attesa attraverso l’acquisizione di prestazioni da
parte di soggetti diversi dall’azienda sanitaria stessa, si
evidenzia che è indispensabile saturare la capacità produttiva
dell’azienda sanitaria, in particolare attraverso l’utilizzo
ottimale delle apparecchiature e del personale dipendente e solo
successivamente valutare le alternative come
l’esternalizzazione del servizio, la libera
professione e l’acquisto di prestazioni tramite accordi
contrattuali.
Per quanto riguarda le analisi di appropriatezza
erogativa, nell’attuale sistema di governo multilivello, la Regione
continuerà a definire linee guida per la codifica delle schede di
dimissione ospedaliera e di atri flussi informativi e appropriatezza
clinica e organizzativa.
Azienda Zero coordinerà i controlli aziendali e
effettuerà approfondite analisi periodiche sulle singole
attività per verificare l’uniformità di applicazione
delle indicazioni supportata, in materia di sanità pubblica
veterinaria e sicurezza alimentare, dalla competente struttura regionale,
alla quale spetta la supervisione dei controlli aziendali tramite il
sistema di audit.
In particolare, Azienda Zero garantirà la
massima diffusione della conoscenza dello stato dell’arte in
termini di performance ottenute dalle singole Aziende/Distretti e la
più efficiente estensione delle prestazioni oggetto di monitoraggio,
anche svolgendo le seguenti attività:
- monitoraggio e
controllo continuo dell’intero processo di erogazione delle
prestazioni sanitarie e socio-sanitarie nelle Aziende sanitarie pubbliche
e private del Veneto, anche elaborando i dati della mobilità
intraregionale, interregionale e internazionale delle prestazioni;
- perseguimento di
tutte le possibili azioni finalizzate ad una omogeneizzazione a livello
regionale dei servizi offerti dalle Aziende;
- attività
ispettiva programmata o straordinaria derivante da eventuali
criticità emerse nella erogazione delle prestazioni sanitarie e
socio-sanitarie delle strutture pubbliche e private della Regione;
- coordinamento dei
nuclei aziendali di controllo, al fine di operare attività di
verifica omogenee e confrontabili all’interno del territorio
regionale.
Il governo dei tempi di
attesa
Il governo della gestione delle liste e dei tempi di
attesa rappresenta una delle principali attività finalizzate ad
assicurare al cittadino la migliore performance possibile nella
erogazione delle prestazioni sanitarie e socio-sanitarie; tra le
principali tipologie di prestazione oggetto di monitoraggio e controllo
si ricordano:
- gli
accessi al Pronto Soccorso;
- le
prestazioni di specialistica ambulatoriale;
- gli
interventi chirurgici;
- i ricoveri
ospedalieri;
- l’accesso in strutture residenziali.
È riservata inoltre particolare attenzione alle
prestazioni diagnostiche, terapeutiche e riabilitative rivolte a pazienti
con patologia neoplastica.
Più in dettaglio, il processo di buon governo
delle liste e dei tempi d’attesa deve definire e
controllare:
- le
prestazioni da monitorare e le indicazioni cliniche di
appropriatezza;
- i criteri
di classificazione delle classi di priorità;
- i tempi
massimi di erogazione;
- i
responsabili per le politiche per il miglioramento delle liste
d’attesa;
- gli
strumenti per il monitoraggio e controllo delle performance;
- i
responsabili dell’organizzazione e del monitoraggio dei processi di
prenotazione.
I responsabili aziendali delle liste d’attesa
che a fronte dell’analisi dei fabbisogni, dell’appropriatezza
della domanda e delle risorse disponibili devono studiare e attuare
politiche di miglioramento del soddisfacimento della domanda sono:
- per gli
accessi in Pronto Soccorso: il direttore della funzione ospedaliera e il
direttore dell’Unità Operativa complessa di Pronto Soccorso:
il Direttore di Distretto è figura fondamentale nell’avviare
processi di gestione della domanda in collaborazione con MMG e PLS, in
particolare per contenere l’accesso al PS di situazioni non di
emergenza classificate come codici bianchi;
- per le
prestazioni specialistiche: il direttore di Distretto;
- per i
ricoveri e gli interventi chirurgici: il direttore della funzione
ospedaliera;
- per
l’accesso in strutture residenziali: il direttore di
Distretto.
In questo sistema di responsabilità è
importante ribadire anche il ruolo del Direttore Sanitario che ha il
compito di garantire il buon governo dell’offerta di prestazioni in
relazione alla domanda, facendo sintesi tra le richieste e le proposte
dei direttori di funzione ospedaliera e territoriale, attivando
meccanismi trasversali tra ospedale e territorio.
Per garantire la migliore performance possibile a
livello regionale, è necessario assicurare una gestione omogenea dei
processi di prenotazione ed erogazione, accompagnata da un percorso
unitario e ben definito di monitoraggio e controllo, attraverso
l’impiego di strumenti e tecnologie informatiche integrate e
interoperabili finalizzate tra l’altro alla gestione di:
- presenze e
tempi di attesa in Pronto Soccorso;
- centro
prenotazioni unico con accessibilità a tutte le agende;
- registro
operatorio unico;
- registro
dei ricoveri;
- registro
delle domande di residenzialità.
Le figure di riferimento indicate come responsabili
dell’organizzazione e del monitoraggio dei processi di
registrazione e prenotazione:
- per gli
accessi in Pronto Soccorso: Dirigente professioni sanitarie area
emergenza urgenza;
- per le
prestazioni specialistiche: CUP manager;
- per gli
interventi chirurgici: Dirigente professioni sanitarie area chirurgica e
blocchi operatori;
- per i
ricoveri: Responsabile presso la direzione della funzione
ospedaliera;
- per le
impegnative di cure e l’accesso in strutture residenziali:
Responsabile della graduatoria unica di residenzialità.
È istituito il “Tavolo di monitoraggio
delle liste di attesa”, aperto a tutti i portatori di interesse, al
fine della verifica e del controllo del buon governo delle liste.
Attività
specialistiche
L’attività specialistica è una
funzione fondamentale governata dal Distretto e che si colloca in maniera
trasversale ai diversi nodi che compongono la filiera assistenziale.
L’attività specialistica ambulatoriale garantita dal SSSR
può essere erogata in ambiente ospedaliero pubblico o privato
accreditato e in strutture extraospedaliere pubbliche o private
accreditate.
Spetta al direttore di Distretto valutare il
fabbisogno, avvalendosi anche delle elaborazioni prodotte da Azienda
Zero, e definire attraverso quali erogatori soddisfare la domanda
proponendo la stipula di accordi contrattuali con le strutture private
accreditate o con altre strutture del SSSR in rapporto al fabbisogno
complessivo e alla capacità produttiva dell’ULSS
stessa.
La strutture private per poter erogare prestazioni
per conto del SSSR devono essere autorizzate, accreditate e avere
stipulato un accordo contrattuale.
L’accreditamento è un sistema di garanzia
della qualità del servizio erogato secondo gli standard definiti a
livello nazionale e regionale.
Negli accordi contrattuali devono essere definiti la
tipologia, la branca e il numero di prestazioni necessarie all’ULSS
e la previsione di rispetto dei tempi di attesa.
Il ruolo del Distretto sarà quindi fondamentale
per attuare i seguenti obiettivi strategici
- garantire le
prestazioni specialistiche presso le sedi distrettuali, a domicilio,
presso le strutture di ricovero intermedie, presso le strutture
semiresidenziali e residenziali attraverso il coordinamento degli
specialisti (convenzionati e dipendenti);
- prevedere un
coordinamento dell’attività ambulatoriale erogata presso le
sedi distrettuali, ospedaliere e le strutture private accreditate
nell’ambito del territorio di ciascuna Azienda sanitaria, nel
rispetto di criteri di accessibilità per l’assistito e
qualità delle prestazioni;
- potenziare la
programmazione ed il coordinamento dell’attività del Centro
Unico di Prenotazione (CUP) aziendale, quale strumento gestionale e punto
di sincronizzazione dell’attività delle strutture aziendali e
del privato accreditato;
- garantire il
monitoraggio dell’appropriatezza prescrittiva e del governo delle
liste d’attesa, coinvolgendo i medici/pediatri di famiglia, gli
specialisti ambulatoriali interni e gli specialisti ospedalieri nella
condivisione ed applicazione estesa delle classi di priorità,
implementando un monitoraggio sistematico dell’aderenza dei profili
prescrittivi ai criteri concordati;
- mettere a sistema il
monitoraggio delle attività svolte dalle strutture e dai soggetti
convenzionati in termini di quantità e qualità delle
prestazioni erogate rispetto a quanto programmato.
La gestione delle attività specialistiche
sarà oggetto della valutazione per la conferma dell’incarico
di Direttore del Distretto.
3.3. COLLABORAZIONE PUBBLICO
PRIVATO
Nel chiarire i rapporti esistenti tra pubblico e
privato può essere utile definire gli ambiti nei quali tali rapporti
si sviluppano. In ambito sanitario si possono infatti distinguere
tipologie diverse di servizio erogato, erogatore del servizio stesso e
finanziatore, nel dettaglio:
- tipologia di
prestazioni erogate: prestazioni Lea o non LEA;
- tipologia di
erogatori di prestazioni: a gestione diretta di strutture pubbliche, per
conto del SSSR, private non accreditate;
- tipologie di spesa:
pubblica, privata (una categoria della spesa privata è quella
intermediata).
Nelle combinazioni delle tipologie sopra descritte
si inquadra la sfida dei prossimi anni che mira da una parte a
regolamentare e chiarire il ruolo della sanità privata e integrativa
a tutela del cittadino, dall’altra a valutare la possibilità
di reperire risorse dalla sanità privata con modalità che non
compromettano il modello di SSN pubblico ma ne rafforzino il
ruolo.
Tipologie di prestazioni
erogate
Il DPCM del 12 gennaio 2017 ha definito le
prestazioni che devono essere garantite a tutti i cittadini italiani.
Nell’elenco di queste prestazioni sono state ricomprese anche
alcune prestazioni aggiuntive precedentemente garantite ai cittadini
residenti nel veneto come “extraLEA” e pertanto remunerate a
carico del bilancio regionale.
Con l’aggiornamento dei Livelli Essenziali di
Assistenza, pertanto, saranno garantite a carico del SSSR le sole
prestazioni ricomprese nei nuovi Lea e si ritiene utile richiamare che
qualsiasi altra prestazione, che si preveda garantire ai cittadini
residenti nel veneto, al di fuori dei citati LEA, dovrà anche
prevedere una copertura annua da individuare.
Tipologie di
erogatori
Le strutture che possono erogare prestazioni LEA per
conto del SSN sono distinguibili in tre categorie: strutture pubbliche a
gestione diretta, strutture private accreditate e società
partecipate a capitale interamente pubblico.
Nel sistema sanitario regionale, quindi, oltre alle
strutture che erogano prestazioni sanitarie e socio-sanitarie pubbliche
ed ai soggetti privati accreditati, sono previsti pertanto anche soggetti
rappresentati da “società a capitale interamente
pubblico”.
Infatti, ai sensi del D.lgs. 502/1992, in Veneto
sono state attivate sperimentazione gestionali allo scopo di introdurre
modelli assistenziali innovativi. A conclusione dei programmi di
sperimentazione, nel panorama delle strutture erogatrici di prestazioni
sanitarie, è entrata una società a capitale interamente
pubblico, con compiti di assistenza e di ricerca nel campo della
riabilitazione.
Tale struttura “Ospedale Riabilitativo di Alta
Specializzazione” (ORAS) che è una società partecipata da
aziende del servizio sanitario, enti pubblici territoriali ed enti
pubblici regionali e statali, visti i risultati conseguiti, è stata
stabilizzata ed è stata inserita definitivamente nel sistema di
offerta sanitaria regionale.
Negli ultimi anni gli erogatori privati accreditati
sono stati inseriti completamente nel sistema di offerta regionale
garantendo una perfetta integrazione con le strutture pubbliche e nel
contempo sono state mantenute e sviluppate le differenziazione tra le
strutture, mantenendone ove presenti le specializzazioni e le
eccellenze.
Per le strutture private accreditate la chiarezza e
la definizione dei ruoli, insieme alla previsione di tetti di spesa
pluriennali, ha consentito una puntuale programmazione delle
attività da parte delle stesse e ha portato ad un miglioramento del
servizio reso ai cittadini e ad una riduzione delle criticità e dei
contenziosi.
Dunque, obiettivo della programmazione è quello
di assicurare il completamento del processo di integrazione e di
specializzazione nella rete ospedaliera, governarne le integrazioni e le
sinergie in particolare per le strutture private accreditate identificate
come “Presidi ospedalieri di rete regionale” al fine di
aumentare l’accessibilità e l’universalità del
sistema sanitario.
La Regione, con il processo di accreditamento,
garantisce che le strutture che andranno ad erogare prestazioni per conto
e a carico del SSSR, una volta autorizzate all’esercizio,
rispondano a definiti requisiti di qualità in coerenza alla
programmazione/fabbisogno locale e regionale. Infine, con gli accordi
contrattuali tra Aziende ULSS ed erogatori privati accreditati, la
Regione definisce criteri di responsabilizzazione economico-finanziaria a
garanzia della sostenibilità del sistema nel suo complesso.
Ai sensi del Dlg.502/92 con la L.R. 22/2002,
l’erogazione di prestazioni anche in regime privato prevede il
possesso dell’autorizzazione all’esercizio a garanzia della
rispondenza, da parte della struttura, ai requisiti strutturali,
tecnologici ed organizzativi minimi.
Tipologia di
finanziamento
Oltre alla spesa pubblica che copre
l’erogazione dei Livelli Essenziali di Assistenza, negli ultimi
anni è cresciuta molto la spesa sanitaria privata che si può
differenziare in
- spesa sanitaria
privata (out of pocket);
- spesa sanitaria
privata intermediata.
La spesa sanitaria “out of pocket”
è la spesa che il cittadino si determina a sostenere in proprio
attingendo dalla propria capacità economica.
La spesa sanitaria privata intermediata può
inoltre essere distinta tra quella sostenuta dalle compagnie assicurative
o quella dei fondi sanitari integrativi.
Fondi sanitari integrativi
La costante e progressiva riduzione del
finanziamento pubblico agli enti periferici impone ai decisori la
necessità di individuare le priorità cui dedicare le risorse
esistenti e determinando gli effettivi bisogni sia rispetto ai servizi
che alle prestazioni da erogare, al fine di garantire l’equità
nell’accesso alle cure, principio che deve improntare un servizio
pubblico universalistico.
Dato il momento di difficile sostenibilità che
attraversa il modello tradizionale di SSN e atteso che è realistico
ritenere che il finanziamento pubblico continuerà ad essere
contratto nei prossimi anni, appare necessario che si pensi a nuove
modalità di gestione e soluzioni che non compromettano il SSN,
promuovendo forme integrative di assistenza sanitaria e socio-sanitaria
sostenibili.
Il termine “Fondi sanitari integrativi del
SSN”, istituiti o adeguati ai sensi dell'articolo 9 del D.lgs
502/1992, indica i fondi sanitari che erogano prestazioni aggiuntive,
erogate da professionisti e da strutture accreditate, prestazioni erogate
dal SSN per la sola quota posta a carico dell'assistito e quelle socio
sanitarie erogate in forma domiciliare.
Una delle finalità che dovrebbero perseguire i
fondi integrativi è proprio quella di concentrarsi su settori
attualmente privi di copertura prevedendo, ad esempio, il rimborso del
ticket e sul lungo periodo anche delle rendite quando venga a mancare
l'autosufficienza.
Tali fondi integrativi andranno utilizzati in una
logica propositiva, anche auspicando un intervento del legislatore
nazionale che pianifichi azioni future e razionalizzi la materia,
costruendo cioè strumenti utili al sistema per evitare il rischio di
un’involuzione della sanità pubblica e anche ai cittadini che
potranno in tal modo avvalersi di una piattaforma di offerta maggiormente
competitiva.
La Regione del Veneto nell’ambito delle
competenze previste dalla normativa in materia, è chiamata a
istituire un’anagrafe dei fondi istituiti e gestiti a livello
regionale o infraregionale, effettuando poi la vigilanza su di
essi.
Si ritiene inoltre opportuno istituire presso
l’Ente di governance - Azienda Zero, un Osservatorio regionale cui
affidare funzioni di monitoraggio e vigilanza su tutte le forme di
sanità integrative con l’importante finalità di attuare
un raccordo tra sanità pubblica e sanità privata.
La
libera professione
Negli anni si sono succedute numerose disposizioni
in materia. La Regione è intervenuta, tra l’altro, fornendo
direttive alle Aziende ed Enti del SSSR per l’organizzazione
dell’attività libero professionale in conformità al
principio generale che l’attività istituzionale è
prevalente rispetto a quella libero professionale, la quale viene
esercitata nella salvaguardia delle esigenze di servizio e della
prevalenza dei volumi orari di attività necessari per i compiti
istituzionali.
A tal proposito la recente L.R. 30/2016 ha stabilito
che il volume delle prestazioni ambulatoriali erogate dal professionista
in regime libero professionale, non può essere superiore al volume
delle prestazioni erogate in regime istituzionale.
Ciascuna Azienda in caso di superamento del rapporto
tra attività in libera professione e in istituzionale sulle
prestazioni erogate, anche con riferimento al rapporto individuale sopra
richiamato, e di sforamento dei tempi di attesa massimi già
individuati nel presente documento, attua il blocco immediato
dell’attività libero professionale. Altre azioni possono
essere previste, ivi compresa la sospensione del diritto
all’esercizio della libera professione, a seguito di accertamento
da parte degli Organismi preposti di violazioni delle disposizioni
normative e contrattuali.
Infine va richiamato l’obbligo della
distinzione dei percorsi tra pazienti che accedono alle prestazioni in
regime libero professionale e quelli in regime
“istituzionale”, come già stabilito dalle disposizioni
in materia, nazionali e regionali, con particolare riferimento alla
richiamata L.R. 30/2016. Infatti i professionisti che erogano prestazioni
in regime libero professionale non possono prescrivere, per proseguire
l’iter diagnostico-terapeutico, con oneri a carico del Servizio
Sanitario Regionale.
Va infine posto il tema di un riorientamento
dell'istituto della libera professione. Da questo punto di vista, si
ritiene necessario rendere lo stesso più funzionale alle
necessità delle aziende, dando la possibilità di prevedere
strumenti per gestire “progettualità”, cui potrebbero
accedere su base volontaria i dirigenti medici in alternativa
all’esercizio della libera professione intramuraria, che prevedano
resa oraria aggiuntiva degli stessi in funzione della riduzione delle
liste di attesa. Tali attività potrebbero essere in parte finanziate
con una diversa finalizzazione del fondo di perequazione.
3.4. LA QUALITÀ DEL
SSSR
Valutazione
della qualità dal punto di vista degli esiti
Il monitoraggio continuo della qualità delle
cure attraverso indicatori di volume, di processo e di esito rappresenta
uno strumento indispensabile per valutare il grado di rispondenza del
sistema di offerta ai bisogni di salute della popolazione e per attivare
un percorso virtuoso di miglioramento.
Da alcuni anni l’Agenzia Nazionale per i
Servizi Sanitari Regionali (Agenas) mette a disposizione delle Regioni il
Programma Nazionale Esiti (PNE), attività istituzionale che fornisce
valutazioni comparative, sull’efficacia, la sicurezza,
l’efficienza e la qualità delle cure prodotte
nell’ambito del SSSN.
Gli indicatori prodotti dal PNE coprono diversi
segmenti dell’assistenza ospedaliera e consentono di confrontare la
qualità dell’assistenza erogata dalle strutture ospedaliere
tenendo in considerazione, con metodologie di rischio aggiustato le
caratteristiche anagrafiche e cliniche della casistica trattata.
Dall’edizione 2016 del PNE è stata introdotta una nuova
metodologia di
valutazione sintetica delle strutture, il cosiddetto
“Treemap”, con il quale è possibile fornire una misura
del grado di aderenza della singola struttura agli standard di
qualità considerando alcuni indicatori traccianti riferiti a sette
aree cliniche (cardiocircolatorio, nervoso, respiratorio, chirurgia
generale, oncologica, gravidanza e parto, osteomuscolare).
La valutazione “Treemap” consente alla
programmazione regionale di individuare e monitorare le strutture da
sottoporre ad audit clinici e organizzativi, come previsto anche dal DM
del 21 giugno 2016 sui “Piani di efficientamento e
riqualificazione” attuativo della legge di stabilità 2016. I
risultati degli indicatori sulla qualità delle cure devono essere
inquadrati in un sistema più ampio di valutazione e per questo
motivo il PNE è stato assunto dalla Regione del Veneto uno strumento
di valutazione delle performance delle aziende sanitarie ma anche dei
direttori delle Unità Operative Complesse.
Una delle indicazioni che emerge dalle valutazioni
degli indicatori di esito è la necessità di assicurare un
adeguato volume di interventi in una singola struttura operativa per
garantire la necessaria esperienza che fornisca standard di sicurezza, a
questo proposito è necessario considerare le seguenti azioni:
- accorpare le
unità operative che non raggiungano la soglia minima di sicurezza
del numero di interventi;
- organizzare
l’attività delle equipe mediche in modo che, se le condizioni
di efficienza dell’uso delle sale operatorie e
dell’organizzazione del reparto lo permette, possano essere
utilizzate le medesime equipe in più sedi ospedaliere.
Tenendo conto costantemente degli aggiornamenti
delle conoscenze scientifiche sia in termini di soglie di volumi minimi
che di tipologia di intervento per i quali c’è evidenza di
un’associazione tra volumi e esiti, si intende continuare il
percorso di monitoraggio al fine di poter definire anche soluzioni
organizzative a tutela del paziente in particolare attraverso
l’individuazione di criteri minimo di sicurezza in particolar modo
degli interventi di chirurgia oncologica, anche valorizzando le
competenze e favorendo confronti interdisciplinari e
multispecialistici.
Al fine ultimo di giungere ad un sistema che riesca
a valutare in modo completo gli esiti delle cure appare necessario
ampliare gli indicatori di valutazione della qualità degli esiti,
prevalentemente incentrati sull’esito del processo interventistico,
considerando anche gli esiti sensibili all’assistenza.
Sarà infine necessario sviluppare indicatori di
esito anche per l’assistenza sanitaria e socio- sanitaria
territoriale.
Valutazione della qualità
dal punto di vista del cittadino
Oltre alla valutazione sull’esito dei processi
sanitari si ritiene importante misurare la qualità dal punto di
vista del cittadino, valorizzando e facilitando il contributo e la
partecipazione dei cittadini nel progettare e realizzare un sistema
sanitario di qualità, riconoscendo il loro ruolo di attori a pieno
titolo e non considerandoli solo oggetti passivi del sistema.
Alla luce di tali obiettivi, nell’ambito delle
strategie di comunicazione orientate ad un ripristino del rapporto di
fiducia e alleanza tra struttura/medico/paziente si intende
promuovere quanto necessario per:
- agevolare
l’accesso agli atti e alle informazioni;
- promuovere strumenti
e metodi di comunicazione tra uffici e strutture aziendali interne ed
esterne operanti nel SSSR, per lo scambio di dati e informazioni;
- facilitare
l’accesso ai servizi socio-sanitari offerti mediante
un’informazione strutturata di norme, regolamenti, strumenti
informativi (Carta dei servizi, siti web aziendali, Punti informativi,
etc.);
- favorire la
comunicazione tra professionisti socio-sanitari e assistiti, adottando
linee guida in grado di orientare la modalità, di volta in volta
preferibile, con cui trasmettere le informazioni al paziente e
coinvolgerlo nelle scelte, fornendo quindi a tutti gli operatori una
preparazione professionale su tematiche delle relazioni e della
comunicazione;
- potenziare modelli di
accoglienza degli assistiti e dei familiari nei luoghi di cura e in
particolare in quelli più critici come il pronto soccorso;
È inoltre importante misurare la qualità
dal punto di vista del cittadino, valorizzando la sua partecipazione nel
realizzare un sistema sanitario di qualità.
In particolare si intende:
- definire un programma
regionale di qualità percepita che rilevi, analizzi e valuti
l’esperienza e la soddisfazione degli utenti del Servizio
Socio-Sanitario Regionale;
- promuovere un sistema
condiviso e diffuso di gestione delle segnalazioni degli utenti dei
servizi sanitari e socio sanitari attraverso anche il miglioramento della
rilevazione e dell’utilizzo delle informazioni derivanti dalle
segnalazioni agli Urp;
- prevedere che le
farmacie possano essere punti di raccolta delle informazioni/valutazioni
della qualità dei servizi.
Il programma di qualità percepita sarà
realizzato a livello regionale e progressivamente andrà a valutare
tutte le aree interessate: l’assistenza ospedaliera, le cure
primarie, le prestazioni specialistiche e territoriali, l’emergenza
urgenza, i servizi socio sanitari.
Ulteriore aspetto che deve essere sviluppato è
garantire al cittadino e a tutti gli attori del sistema la massima
trasparenza possibile in merito alle informazioni relative al SSSR,
attraverso:
- la realizzazione del
Portale Nazionale della Trasparenza per il cittadino, in collaborazione
con l’ Agenas e con il supporto di Arsenàl.IT. Il progetto
è finanziato dal Ministero della Salute, con ruolo di capofile della
Regione del Veneto;
- l’accessibilità al cittadino delle informazioni del
“Sistema Sanità”, anche per mezzo di strumenti c.d.
“social”;
- la disponibilità
e la fruibilità delle informazioni presenti negli archivi regionali
(open data).
Infine in un’ottica di ascolto e ricerca del
benessere globale del paziente, assume un ruolo centrale anche
l’attività di assistenza psicologica ospedaliera per
gli utenti nei processi di cura. Ciò permette di completare il
disegno organizzativo già in atto all’interno dei presidi
ospedalieri delle aziende sanitarie, in stretta sinergia con i servizi
territoriali e in coerenza con il raggiungimento di una diffusa
integrazione psicologica dei percorsi assistenziali che garantisca, al
contempo, l’interdisciplinarietà, l’umanizzazione e la
qualità delle cure.
Uno specifico supporto psicologico nelle fasi di
terminalità sarà assicurato ai pazienti e ai familiari, anche
nei primi mesi successivi al decesso dei pazienti.
Per garantire supporto psicologico nelle fasi della
terminalità per pazienti e famigliari si rende necessaria la giusta
presenza di figure professionali per l’assistenza territoriale e
domiciliare nell’ambito delle Reti di Cure Palliative, garantendo
inoltre in collaborazione con il Direttore di Distretto il sostegno del
benessere del personale e delle iniziative di formazione.
Umanizzazione delle cure e dei
servizi
Con l’espressione “umanizzazione delle
cure e dei servizi”, in linea con la riflessione, anche bioetica,
di carattere internazionale, s’intende designare quella componente
relazionale- comunicativa senza la quale l’azione terapeutica
risulta essere parziale e non adeguata.
Riprendendo la distinzione inglese tra cure e care
si potrebbe affermare che l’intervento medico per essere tale deve
contemplare sia il rispetto di adeguati standard diagnostici, terapeutici
e prognostici, accreditati scientificamente (cure), sia
l’attenzione per ogni singolo paziente, attraverso
un’informazione completa, una comunicazione empatica,
l’alleviamento del dolore e della sofferenza (care). Questi due
momenti non possono essere scissi tra loro. E’ compito del SSR e di
ciascuna attività delle Aziende Ulss e Ospedaliere far sì che i
luoghi di cura e gli interventi sanitari siano in grado di garantire il
rispetto di questo duplice requisito, ponendo al centro il paziente
(patient centered).
Ciò richiederà di promuovere una rinnovata
consapevolezza deontologica e professionale da parte dei medici e degli
operatori sanitari. A tale proposito merita ricordare quanto si legge
all’art. 1, c. 8 della legge 219/2017 “Norme in materia di
consenso informato e disposizioni anticipate di trattamento”:
“Il tempo della comunicazione tra medico e paziente costituisce
tempo di cura”. Tale affermazione è ripresa
dall’articolo 20 del Codice di deontologia medica (2014). La legge
219 riconosce inoltre, a buona ragione, la necessità di includere
nella formazione iniziale e continua dei medici e degli operatori
sanitari un percorso formativo in materia di relazione e di comunicazione
(art. 1 c. 10).
Attività
Sulla base di questi orientamenti, un piano
articolato per promuovere l’umanizzazione delle cure e dei servizi
prevede quanto già in parte sostenuto nel PSSR del 2012
ovvero:
- Garantire una
funzione di orientamento del cittadino all’interno del SSSR,
attraverso un referente che guidi l’utente persona e faccia in modo
che i professionisti deputati all’assistenza non operino in modo
settoriale. Il medico di medicina generale mantiene un ruolo chiave in
tutte le fasi di questo percorso di cura. In ambito ospedaliero
dovrà invece essere individuato, in base alle diverse situazioni
cliniche, un medico referente che sia responsabile del percorso di
diagnosi e cura oltre che dell’informazione al paziente ed alla
famiglia, interfacciandosi con il medico di medicina generale, del quale
sarà il principale interlocutore;
- per facilitare
l’accesso ai servizi, rafforzare il meccanismo dello Sportello
Unico e la Cot, già previsto con specifici provvedimenti regionali e
diretto ad avere un unico punto di riferimento per il cittadino anche a
fronte di esigenze diversificate;
- migliorare
l’accesso ai servizi, promuovendo e consolidando le esperienze di
sportelli polifunzionali e ponendoli in raccordo operativo con gli
sportelli dei Comuni, al fine di semplificare ulteriormente azioni e
processi di accompagnamento della persona;
- promuovere una
capillare e trasparente informazione ai cittadini sui servizi che si
erogano nelle strutture socio-sanitarie, attraverso gli strumenti di
comunicazione delle Ulss (carta dei servizi, siti web, bollettini
periodici) favorendo anche la condivisione delle regole di funzionamento
del SSR;
- sviluppare un
coordinamento a livello regionale delle informazioni al cittadino e
attivare un coordinamento regionale degli URP coinvolgendo la rete delle
Aziende ULSS ed Ospedaliere, le società scientifiche, le farmacie
territoriali, le Conferenze dei Sindaci (o Esecutivi), le diverse
competenze professionali, al fine di garantire
validità delle informazioni ed uniformità
contenutistica;
- favorire la
comunicazione tra professionisti socio-sanitari e assistiti, adottando
linee guida e corsi di formazione in grado di orientare la modalità,
di volta in volta preferibile, con cui trasmettere le informazioni al
paziente e coinvolgerlo nelle scelte;
- sviluppare una forte
attività di raccordo tra i servizi socio-sanitari e i contesti
sociali e territoriali di appartenenza dei pazienti;
- diffondere la cultura
dell’empowerment, quale strumento per compiere in modo responsabile
le scelte che riguardano il proprio stato di salute e adottare stili di
vita consoni (contrasto al tabagismo, all’alcolismo, al gioco
d’azzardo...);
- adottare modelli di
accoglienza degli assistiti e dei familiari nei luoghi di pronto soccorso
differenziando i percorsi di accoglienza oltre che per la pediatria anche
per le persone disabili e per le persone anziane orientativamente over
70;
- porre in atto
metodologie con cui valutare periodicamente il grado di soddisfazione
dell’utente in merito all’assistenza ed ai servizi di cui ha
fruito, nell’ottica di rimediare ad eventuali lacune o
omissioni.
Sulla base del principio autorevolmente affermato
che “Il tempo della comunicazione tra medico e paziente costituisce
tempo di cura” sarà importante promuovere progetti di
formazione volti a:
- fornire a tutti gli
operatori una preparazione professionale sui problemi delle relazioni e
della comunicazione;
- preparare
adeguatamente gli operatori impegnati nel primo livello di
accoglienza;
- sviluppare
un’attività di psicologia clinica ospedaliera
all’interno dei presidi ospedalieri ed in stretta sinergia con i
servizi territoriali, con funzioni di diagnosi, sostegno, psicoterapia
breve, nonché formazione/supervisione degli operatori sanitari e
promozione della salute in ambito psicologico anche del personale
aziendale ospedaliero.
Nella prospettiva di rendere effettiva
l’integrazione di care e cure andrà promosso un utilizzo
appropriato delle terapie a maggiore efficacia antalgica, specie nelle
patologie oncologiche; ugualmente, in conformità a quanto stabilito
dalla legge 38/2010, andranno promosse le cure palliative e la terapia
del dolore, superando la logica della settorializzazione che le confina
riduttivamente nel fine vita.
La Regione predispone il Registro regionale
informatizzato delle Dat, Dichiarazione Anticipate di Trattamento,
così come previsto dal comma 7 dell’art. 4 della legge 219 del
22/12/2017 “Norme in materia di consenso informato e di
dichiarazione anticipate di trattamento”.
Si sottolinea, infine, come l’umanizzazione
delle strutture socio-sanitarie sia correlata anche al governo economico
del SSSR: ridurre l’abuso dei farmaci, evitare le ospedalizzazioni
non necessarie, fare un uso più appropriato degli accertamenti
diagnostici, contenere gli interventi chirurgici sono alcuni elementi
utili ad orientare le prestazioni, ponendo la persona al centro di ogni
intervento assistenziale. Numerosi studi mostrano come le pratiche di
umanizzazione si riflettono positivamente in una drastica diminuzione di
contenziosi legali e indirettamente in una diminuzione di tutti quei
costi impropri provocati dalla cosiddetta medicina difensiva.
Fondamentale è poi ribadire l’importanza
del ruolo del Comitato etico regionale e dei Comitati etici aziendali per
la pratica clinica e di quelli per la sperimentazione clinica.
I Comitati etici locali vanno poi coinvolti nella
formazione delle varie figure professionali. A tal fine si può
prevedere di attivare alcune iniziative quali ad esempio:
- “l’accreditamento” denominato Umanizzazione
delle cure e dei Servizi per quei servizi/reparti che intendono
partecipare ad un percorso specifico (per es. un servizio/reparto
aderisce al progetto di umanizzazione dei servizi e delle cure
perché:
• ascolta il cittadino-paziente;
• cerca le giuste soluzioni per ogni
persona;
• accoglie nel modo migliore;
• attua ogni forma di tutela del paziente per
evitare errori e/o danni (es. un breve manifesto di impegni)).
- Istituzione di un
Osservatorio Aziendale sul processo di umanizzazione e raccolta
sistematica di tutte le iniziative svolte dalle Aziende ULSS con:
• definizione degli indicatori di valutazione
del processo di umanizzazione;
• segnalazione delle prassi di
eccellenza;
• costituzione di una banca dati.
- Realizzazione di una
Carta aziendale dell’umanizzazione dei servizi e delle cure,
stilata con il contributo determinante del Comitato Etico e dopo un
adeguato processo di formazione e coinvolgimento di tutti i soggetti
interessati.
Valutazione della qualità
dal punto di vista esterno
Per superare l'autoreferenzialità a favore del
confronto, da qualche anno la Regione partecipa volontariamente a sistemi
di valutazioni di enti terzi aumentando così anche le
opportunità di apprendere e crescere attraverso la comparazione dei
propri risultati con altre realtà.
In particolare attraverso la partecipazione al
gruppo delle regioni “Il Sistema di Valutazione delle Performance
dei Sistemi Sanitari Regionali” coordinato dal Laboratorio
Management e Sanità (MeS) della Scuola Superiore Sant’Anna di
Pisa è stato possibile la condivisione inter-regionale su una
selezione di circa 300 indicatori, di cui 150 di valutazione e 150 di
osservazione, volti a descrivere e confrontare, tramite un processo di
confronto, le diverse dimensioni della performance del sistema sanitario:
lo stato di salute della popolazione, la capacità di perseguire le
strategie regionali, la valutazione sanitaria, la valutazione
dell'esperienza degli utenti e dei dipendenti e, infine, la valutazione
della dinamica economico-finanziaria e dell'efficienza operativa.
È quindi intenzione continuare a partecipare a
sistemi di valutazione di enti esterni che possano promuovere
l’individuazione di migliori pratiche o modelli organizzativi e di
individuare eventuali criticità al fine di porre in atto interventi
migliorativi.
Si ritiene, inoltre, che attraverso la
partecipazioni a iniziative internazionali, il confronto con le migliori
esperienze socio-sanitarie europee e internazionali possa essere di
particolare rilevanza per superare con successo le sfide sempre più
complesse che i sistemi sanitari devono affrontare
in tempo di crisi e che richiedono azioni incisive,
soprattutto in tema di prevenzione, innovazione e sostenibilità del
sistema.
Cooperazione allo sviluppo e solidarietà
internazionale in sanità
La Regione del Veneto ha realizzato un sistema per
la cooperazione attraverso cui la Regione coordina e mette in rete gli
attori della cooperazione, realizzando e sostenendo iniziative che hanno
un forte radicamento nel territorio veneto.
La solidarietà internazionale:
la Regione realizza numerosi interventi di
solidarietà internazionale, intendendo come tale l'aiuto umanitario
a favore di popolazioni colpite da gravi calamità naturali o da
altre situazioni straordinarie di crisi. Questo tipo di interventi ha una
durata necessariamente limitata nel tempo, in quanto il suo scopo è
quello di rispondere con immediatezza a situazioni di emergenza.
Obiettivo di azione è invece quello di andare
oltre l'emergenza per costruire progetti solidi e permanenti nei paesi in
via di sviluppo.
Forte delle esperienza maturata la Regione del
Veneto, attraverso la collaborazione tra l'Area sanità e sociale e
quella della Cooperazione internazionale, individua gli interventi da
realizzare nei paesi in via di sviluppo secondo la logica non
dell'intervento emergenziale, ma dell'attivazione di progetti di avvio,
sviluppo e consolidamento di attività e strutture sanitarie e o
socio sanitarie nei paesi in via di sviluppo. Ospedali, punti di primo
soccorso, aree materne infantili, punti nascita o quant'altro sia
necessario dal punto di vista socio sanitario.
Questi progetti sono attivati in collaborazione con
enti, associazioni, soggetti del terzo settore qualificati presenti nel
territorio veneto, individuando partner istituzionali o di riferimento
sicuro nel territorio dove si realizza l’iniziativa.
Il
confronto internazionale
In un contesto europeo dove Regioni e Stati membri
sono sempre più interdipendenti, la sanità veneta risponde
all’obiettivo di garantire un sistema socio sanitario moderno,
competitivo ed al passo con le più avanzate realtà sanitarie
mediante una strategia regionale di “internazionalizzazione”,
data l’importanza di individuare azioni comuni in ambito sanitario
al fine di definire un quadro strategico unitario per la salute dei
cittadini.
Risulta fondamentale incentivare il dialogo tra la
dimensione sanitaria territoriale e locale e la visione internazionale e
multicentrica dell’Unione Europea, dell’OMS e delle altre
Agenzie Internazionali di settore.
Tale forte legame è rafforzato dalla presenza a
Venezia dell’ufficio OMS. Attraverso tale collaborazione si intende
perseguire, nell’ambito dell’attuazione del nuovo Accordo tra
il Governo Italiano, la Regione del Veneto e l’OMS, gli obiettivi
di promozione della Salute e di riduzione delle diseguaglianze, nella
politica europea “Salute 2020” e nell’Agenda 2030,
approvata dalle Nazioni Unite che indicano l’Agenda Globale e i
relativi 17 Obiettivi di Sviluppo Sostenibile, collegando diverse
dimensioni di azione tra cui l'ambiente, l’educazione,
l’accesso ad acqua sicura, l’occupazione per tutti.
In questa prospettiva è fondamentale
l’attenzione alle politiche di salute pubblica e di welfare
dell’Unione Europea, incentivare lo sviluppo dell’innovazione
e della ricerca in campo biomedico e nella sanità elettronica,
nonché promuovere il confronto e l’integrazione del Sistema
Socio- Sanitario del Veneto con le eccellenze europee, in particolare con
le aree transfrontaliere.
Tale strategia consente di aumentare ulteriormente
il grado, già eccellente, di competitività del SSSR in rapporto
ai migliori Sistemi europei e internazionali, con l’obiettivo
prioritario di
individuare un modello condiviso di governo che ne
garantisca la piena sostenibilità, attraverso l’ottimizzazione
delle risorse impiegate, l’alto livello qualitativo dei servizi
erogati.
La Regione intende quindi favorire:
- l’organizzazione e la promozione di attività di
formazione continua e di aggiornamento dei professionisti della Salute,
incentivando in particolare il rapporto di collaborazione sinergica
instaurato con l’European Observatory on Health Systems and
Policies, network al quale il Veneto partecipa quale unico partner
italiano, al fine di realizzare congiuntamente importanti occasioni di
confronto, approfondimento e dibattito nonché iniziative
formative/informative inerenti le principali materie che coinvolgono le
dinamiche del Sistema Sanitario, quali l’evento annuale
“European Observatory Venice Summer School” incentrato sulle
tematiche più attuali delle riforme dei Sistemi Sanitari
Europei;
- la promozione e la
divulgazione sul territorio regionale, del Programma Mattone
Internazionale Salute - ProMIS, di cui la Regione del Veneto è
coordinatrice delle politiche europee e delle possibilità di accesso
ai Programmi europei di Ricerca e Sanità pubblica;
- l’attuazione di
forme di collaborazione tra le Regioni e le Autorità sanitarie
regionali e locali presenti sul territorio europeo, in particolare
mediante la cooperazione transfrontaliera;
- la prosecuzione, in
linea con le vigenti disposizioni nazionali e regionali, nella
realizzazione di Programmi di ricoveri umanitari, d’intesa con il
Ministero della Salute, rendendo in tal modo più incisiva la loro
azione di aiuto e sostegno a favore di popolazioni extra UE.
Turismo sanitario - Medical/health tourism
Il turismo sanitario (medical o health tourism)
è definito dall’OECD (Organisation for Economic Co- operation
and Development) come il fenomeno legato alla ricerca di cure e terapie
per il mantenimento, il miglioramento o il recupero del benessere
individuale della mente e del corpo, presente da lungo tempo in diversi
paesi e località in piena sintonia con la direttiva europea Cross-
Border Healthcare per la libera circolazione dei pazienti in
Europa.
Coerentemente con quanto già previsto dal
Programma di Governo della Regione del Veneto 2015-2020, il turismo
sanitario rientra a pieno titolo nelle politiche regionali a respiro
europeo e internazionale e si pone anche quale autentico volano per lo
sviluppo del territorio e della sua economia. Il servizio sanitario in
Veneto è ritenuto, anche da organismi esteri, di assoluta eccellenza
e la sua rete ospedaliera è in grado di fornire servizi e assistenza
di altissimo livello. Tali punti di forza consentono di poter definire
attrattivo il servizio sanitario regionale, che può contare,
inoltre, su ulteriori elementi di attrattività legati al turismo,
altro settore di eccellenza del Veneto. I trattamenti che l’OECD
include tra quelli legati al turismo sanitario sono principalmente: la
chirurgia estetica; la cardio-chirurgia; gli interventi ortopedici;
fertilità e sistema riproduttivo; trapianto di organi, cellule,
ecc.; operazioni oculistiche; diagnostica e check-up. Non vanno comunque
tralasciati gli interventi legati alla riabilitazione nei suoi diversi
aspetti clinici, nonché quelli legati alle malattie croniche (es.
artriti reumotoidi, allergie, ecc.). In tale contesto vanno, perciò,
individuati gli ulteriori elementi che possono attrarre i c.d. health
tourists, soprattutto europei che utilizzano i diritti legati alla loro
cittadinanza per accedere a cure mediche in uno degli Stati della U.E.,
senza, peraltro, trascurare anche quelli provenienti da altri parti del
mondo. Gli elementi che incidono sulle motivazioni del turismo sanitario,
secondo il rapporto OECD sono: la prossimità alla destinazione; la
reputazione della destinazione; l’offerta culturale,
ricreativa,
ricettiva; familiarità e affinità
culturale; l’auto-certificazione/proposizione come città della
salute. L’ampiezza e soprattutto l’eterogeneità dei
motivi per cui il turista della salute sceglie la propria metà di
cura, richiedono la definizione di partnership pubblico-private, in grado
di consentire il coordinamento e la collaborazione tra i diversi settori
economici coinvolti (sanità, turismo, cultura, ecc.). A tal fine la
Regione adotta un piano di azioni atte a favorire innovativi modelli di
governance regionale per la promozione del turismo sanitario nelle sue
diverse accezioni (turismo medico, turismo termale, turismo inclusivo,
turismo del benessere, ecc.), coinvolgendo gli attori istituzionali del
comparto sanitario nonché quelli rappresentativi dei diversi settori
economici coinvolti. Le possibili ricadute di tale strategia si potranno
riscontrare, oltre che in un aumento del livello degli scambi commerciali
diretti provenienti da Paesi esteri, anche con l’incremento delle
entrate che potrebbe essere reinvestito per migliorare attrezzature e
strutture da utilizzare a favore di tutti i pazienti residenti,
contribuendo così ad ampliare soprattutto i servizi offerti ai
residenti.
Valutazione della qualità
dal punto di vista interno
Il rafforzamento del livello di coinvolgimento dei
professionisti del SSSR è riconosciuto come una delle leve utili a
migliorare le performance individuali e, di conseguenza, quelle
aziendali.
Una buona organizzazione è quella che, insieme
a perseguire gli obiettivi aziendali previsti dalla programmazione
regionale, consente la realizzazione degli obiettivi individuali,
attraverso lo sviluppo del potenziale di tutto il personale, valorizza il
contributo di ciascun singolo componente nell’ambito del lavoro di
squadra.
Promuovere il miglioramento delle relazioni tra i
professionisti, integrando il livello individuale con quello
organizzativo, consente anche il miglioramento del clima aziendale e la
relativa soddisfazione del personale.
La soddisfazione del personale è un elemento
fondamentale per valorizzare il rapporto tra organizzazione e persone e
per tale motivo si intende proseguire il programma regionale di indagini
di clima interno per tutte le Aziende sanitarie del veneto avviato nel
2016.
Il percorso di miglioramento
della qualità: accreditamento
L’accreditamento istituzionale si pone come
uno degli strumenti atti a garantire l’attuazione dei principi
necessari per assicurare una governance efficace del sistema. Attraverso
il percorso dell’accreditamento, che coinvolge in modo trasversale
ogni attore che eroghi servizi sanitari, socio-sanitari o sociali, la
Regione “provvede affinché l’assistenza sia di elevato
livello tecnico- professionale e scientifico, sia erogata in condizioni
di efficacia ed efficienza, nonché di equità e pari
accessibilità a tutti i cittadini e sia appropriata rispetto ai
reali bisogni di salute...” (art.1 L.R. 22/2002).
L’accreditamento istituzionale permette al
Sistema socio sanitario regionale di individuare, secondo quanto previsto
dalla norma regionale e nazionale e secondo le finalità sopra
espresse, i potenziali erogatori per suo conto e a suo carico.
Gli elementi cardine per il rilascio
dell’accreditamento sono: la rispondenza ai requisiti ulteriori di
qualificazione e alla verifica dell’attività svolta e la
funzionalità degli erogatori rispetto agli indirizzi di
programmazione regionale. Ciò significa che “ogni regione
è tenuta ad individuare, attraverso la programmazione sanitaria, la
quantità di prestazioni erogabili nel rispetto di un tetto massimo
di spesa e può accreditare nuove strutture solo se sussiste un reale
fabbisogno assistenziale” (Cons. Stato sez. III sent. n.
2527/2013). La selezione, quindi, in virtù del principio
solidaristico e, conseguentemente, della necessità di garantire la
sostenibilità del sistema, non può prescindere,
oltre che dal possesso e dal mantenimento dei
requisiti di qualità, anche dalle necessità rispetto al
fabbisogno.
L’accreditamento, secondo quanto previsto
dalla norma nazionale e regionale, non costituisce obbligo a
corrispondere ai soggetti accreditati la remunerazione delle prestazioni
erogate al di fuori dei rapporti contrattuali, nell’ambito del
livello di spesa definito e delle quantità e tipologie individuate
dalla Regione ai sensi delle norme vigenti. Tutto ciò nel rispetto
delle tre A previste dal Dlg 229/99:
- Autorizzazione come
strumento di garanzia ai cittadini che tutte le strutture, pubbliche o
private, rispondano ai requisiti minimi di legalità e
sicurezza;
- Accreditamento quale
strumento di garanzia delle strutture alla rispondenza della struttura ad
ulteriori requisiti di qualità e della sua coerenza alla
programmazione/fabbisogno di prestazioni;
- Accordi contrattuali
quale strumento di garanzia che la Regione, attraverso le Aziende ULSS,
agisce secondo criteri di responsabilizzazione economico-finanziaria. II
tutto sempre ponendo al centro l’interesse del cittadino che
può sempre esercitare la libertà di scelta del luogo di cura
nell’ambito dei soggetti accreditati pubblici o privati con cui
siano stati definiti accordi contrattuali e all’interno di un
percorso di garanzia, come previsto dalla norma e soprattutto dai
principi fondanti il sistema.
La programmazione e la verifica di
compatibilità della struttura in rapporto al fabbisogno complessivo
e alla localizzazione territoriale delle strutture presenti in ambito
regionale, è dunque momento fondamentale, come affermato dalle norme
di principio in materia di tutela della salute. Tale valutazione compete
alla Regione e alle Aziende Ulss in ogni fase del percorso che accompagna
le strutture sanitarie, dalla nascita, all’operatività e
all’erogazione di prestazioni in nome, per conto e con oneri a
carico del SSSR, attraverso rispettivamente le fasi di rilascio
dell’autorizzazione alla realizzazione e all’esercizio, di
accreditamento istituzionale e di stipula dell’accordo
contrattuale. Su tale principio è tornata di recente la Corte
Costituzionale che con sentenza n. 98/18 ha ribadito come, sin dalla fase
di autorizzazione alla realizzazione di strutture sanitarie, sono sempre
necessari due tipi di valutazioni: una valutazione relativa alla
conformità urbanistico-edilizia dell’opera che compete al
Comune, e una valutazione di politica sanitaria, cioè la verifica di
compatibilità del progetto rispetto al fabbisogno complessivo e alla
localizzazione territoriale delle strutture, che compete alla
Regione.
Per la definizione del fabbisogno territoriale dei
servizi sociali e socio-sanitari partecipano le comunità locali
attraverso i Comitati dei Sindaci del Distretto e le rispettive
Conferenze dei Sindaci: il Piano di Zona da questi approvato è lo
strumento principale per l’integrazione socio-sanitaria.
L’inserimento nel Piano di Zona non è comunque
l’elemento sufficiente sulla base del quale la Regione può
rilasciare l’accreditamento istituzionale. Quest’ultimo,
infatti, non si caratterizza esclusivamente come sistema per la
qualità dei servizi, ma anche come strumento di programmazione e
sostenibilità dell’offerta regionale.
Il governo del sistema sanitario e socio sanitario
veneto, inoltre, si confronta con l’attuale contesto europeo: gli
indirizzi europei per garantire l’accesso ad una assistenza
sanitaria sicura e di qualità nell’ambito della Unione Europea
hanno trovato applicazione nella direttiva 2011/24/UE del Parlamento
Europeo. Alla luce di tale direttiva, l’intesa della Conferenza
Stato Regioni del 20 dicembre 2012 ha individuato un nuovo modello di
accreditamento definendo un uniforme sistema di requisiti per
l’accreditamento delle strutture sanitarie pubbliche e private
declinato nel “Disciplinare sulla revisione della normativa
dell’Accreditamento”. Successivamente, la Conferenza Stato
Regioni ha sottoscritto un’ulteriore intesa il 19 febbraio 2015
prevedendo tale revisione dei requisiti e l’istituzione di un
organismo tecnicamente accreditante con specifiche caratteristiche
da parte di ogni regione. L’importanza che la
rispondenza a tale requisiti assume e la necessità che essi siano
adeguatamente valutati ha determinato che anche l’organismo
deputato alla verifica tecnica (l’organismo tecnicamente
accreditante) sia a sua volta accreditato dal livello nazionale secondo
propri specifici requisiti atti a garantirne principi quali la
terzietà, trasparenza, la partecipazione dei diversi attori,
l’adeguata competenza dei valutatori e l’omogeneità di
valutazione. La Regione del Veneto ha attuato quanto previsto dalle
intese, sia in termini di revisione dei requisiti sia costituendo
l’organismo tecnicamente accreditante all’interno
dell’Azienda Zero (L.R 19/2016). Il nuovo sistema dei requisiti,
per come è strutturato, diventa elemento chiave per la governance
del sistema di erogazione delle prestazioni sanitarie: in esso viene
amplificato il monitoraggio/ valutazione delle attività, dei
risultati e degli esiti, il “rendere conto” ai soggetti
portatori di interessi ai diversi livelli, cittadini compresi. Le
strutture sanitarie pubbliche e private accreditate devono non solo a
dare evidenza della definizione degli strumenti previsti e richiesti per
la qualità e la sicurezza, ma anche rendicontare della loro
“messa in atto” e dei risultati raggiunti rispetto agli
standard previsti.
L’accreditamento deve essere visto non solo
come momento puntuale di verifica a tempi stabiliti, ma strumento di
governo “continuo”.
Un ulteriore elemento di innovazione del nuovo
sistema di requisiti è l’accento posto sul consolidamento del
modello delle reti, sull’assistenza secondo il principio della
continuità delle cure, della responsabilizzazione delle diverse
professioni all’interno dei piani di cura, sulla
multidisciplinarietà, sugli esiti. Questo apre la possibilità
di sperimentare nuove forme di organizzazione dell’assistenza non
solo per “luoghi di cura”, ma anche per “piani di
cura”, anche rivedendo la filiera dei servizi per le persone con
disabilità con particolare riferimento ai servizi per la
residenzialità, coerentemente alle indicazioni della norma UNI
11010:2016 relativa ai servizi per l’abitare delle persone con
disabilità. Il percorso di accreditamento istituzionale può
fornire alla governance del sistema uno strumento di valutazione rispetto
a nuovi scenari della programmazione ed organizzazione della prevenzione,
delle cure e dell’assistenza ai cittadini.
3.5. LA
SICUREZZA DEL SSSR
Il governo clinico
Il governo clinico adotta un approccio metodologico
volto al miglioramento continuo della qualità e sicurezza dei
servizi, al raggiungimento e al mantenimento di elevati e appropriati
standard assistenziali all’interno di un contesto che favorisca
l’eccellenza della prestazione sanitaria sia in termini di
efficacia ed efficienza del percorso assistenziale, sia per garantire la
centralità del paziente e la promozione della salute mediante
adeguate strategie di comunicazione.
Dal confronto con gli orientamenti internazionali
emerge la necessità che il modello organizzativo di gestione di
rischio clinico si evolva in un’ottica di appropriatezza e garanzia
per la sicurezza dei Percorsi Diagnostico Terapeutico Assistenziali
perseguendo i seguenti obiettivi:
- la sistematizzazione
dell’approccio integrato e multidisciplinare dell’assistenza,
centrato sul paziente orientato al processo assistenziale con più
professionisti coinvolti nel trattamento del caso e la predisposizione di
linee guida e buone pratiche, fondate su prove di efficacia clinica e
costi-benefici;
- l’adozione di
strumenti organizzativi efficaci come il PDTA, quale ulteriore strumento
organizzativo a tutela di professionisti e operatori;
- l’individuazione di politiche di gestione del rischio, in
particolare del rischio clinico, in termini di conoscenza, valorizzazione
e prevenzione, attività ineludibile nel nuovo sistema
assicurativo;
- la promozione
dell’audit clinico come processo ciclico di miglioramento tecnico-
professionale della qualità delle cure e la responsabilizzazione
degli operatori, condividendo nell’ambito del gruppo
l’impegno a perseguire l’efficacia della presa in carico
globale.
Per il miglioramento continuo degli standard
assistenziali di qualità e sicurezza, il governo clinico deve tenere
conto dell’analisi dei processi assistenziali, dell’analisi e
prevenzione dei rischi insiti nell’attività sanitaria, del
contenimento degli eventi avversi, sinistri e contenzioso.
Al fine di coordinare le informazioni relative alla
sinistrosità e ai contenziosi sanitari, è importante
l’attività del “Centro per la gestione del rischio
sanitario e la sicurezza del paziente” ai sensi della Legge
24/2017, cui è affidato il monitoraggio del rischio connesso alle
attività clinico assistenziali e l’analisi di appropriatezza
dei percorsi diagnostici e terapeutici.
La gestione del
rischio
Il verificarsi di eventi avversi può essere
correlato causalmente sia a incongrue condotte professionali sia ad
aspetti di natura organizzativa, gestionale ed economico-finanziaria e le
categorie di rischio possono essere sintetizzate in due gruppi:
- i rischi di natura clinico-professionale,
derivanti dalle attività sanitarie e che fanno capo più
specificatamente ai singoli professionisti;
- i rischi legati alla gestione aziendale che
emergono dalle attività e dai processi di gestione in senso lato,
dall’organizzazione e dal monitoraggio delle attività
aziendali.
Nella predetta logica di miglioramento continuo
degli standard assistenziali, di qualità e sicurezza, si conferma,
il percorso regionale di decentrare la gestione del rischio clinico in
capo ai responsabili del rischio aziendali, che offrono supporto tecnico
in quanto conoscitori dei contesti organizzativi locali e delle relative
dinamiche professionali essenziali per la misurazione del rischio
clinico.
A prosecuzione di quanto già indicato nel PSSR
2012-2016 risulta essenziale provvedere a:
- responsabilizzare (accountability) tutto il
personale SSSR, mediante la formazione, alla sicurezza delle cure e alla
gestione del rischio favorendo l’apprendimento dagli errori in una
cultura della non colpevolizzazione;
- potenziare l’attività di audit clinici
e audit organizzativi nella prospettiva di prevenire gli eventi avversi,
anche mediante l’elaborazione di un documento di indirizzi tecnico-
operativi e altre metodologie di analisi di sinistri/eventi
avversi;
- promuovere la formazione degli operatori URP
aziendali, destinatari di segnalazioni e reclami inerenti la sicurezza
del paziente;
- promuovere la partecipazione del responsabile del
rischio (risk manager) nella elaborazione e nell’applicazione dei
percorsi assistenziali e di cura PDTA, quale contributo analitico dei
rischi sottesi ai percorsi in elaborazione e alle strutture coinvolte e
favorire l’utilizzo del Portale regionale di Gestione rischio
clinico quale strumento già operativo, per la condivisione di dati,
linee guida, buone pratiche, PDTA.
Il governo dei costi delle
assicurazioni
In ragione della complessità connaturata al
sistema sanitario e della crescita del contenzioso giudiziale e
stragiudiziale oltre alla difficoltà di quantificare il rischio
aziendale, da alcuni anni le primarie compagnie assicurative, hanno
progressivamente perso interesse per la copertura dei danni da
responsabilità medica con un conseguente incremento esponenzialmente
dei premi assicurativi e delle soglia di franchigia, cioè quella
parte di danno che resta in capo all’ente assicurato
Per contrastare il fenomeno la Regione ha avviato in
tutte le Aziende sanitarie del Veneto – dopo una sperimentazione
positiva - un modello di gestione sinistri e rischio clinico di tipo
misto, che prevede la ritenzione del rischio degli stessi in capo
all’Azienda sanitaria, in affiancamento ad una polizza assicurativa
cui demandare i soli sinistri che comportano esborsi rilevanti, ovvero
per i danni catastrofali.
Obiettivi del modello di gestione che si prefigge di
garantire l’effettiva sicurezza di pazienti e operatori SSSR
sono:
- la rapida definizione
delle richieste di risarcimento ove sussista fondamento giuridico e
medico legale circa la responsabilità;
- il contenimento del
contenzioso;
- l’analisi dei
rischi e la connessa prevenzione degli eventi avversi.
Sono stati sviluppati alcuni strumenti che hanno
permesso alle Aziende del SSSR di procedere - mutuando
l’organizzazione in rete - da una parte, alla gestione
dell’evento/sinistro (mediante Comitato di Valutazione Sinistri,
struttura caratterizzata dalla multidisciplinarietà) nonché
alla prevenzione (valutazione ed adozione di buone pratiche
clinico-assistenziali ed organizzative), dall’altra ad individuare
e valutare il rischio anche con la mappatura della sinistrosità, i
dati dell’incident reporting, l’analisi delle modalità
di errore e delle cause.
Nel confermare l’attuale modello organizzativo
nelle Aziende Sanitarie SSSR – che prevede il coinvolgimento di
direzione medica e il responsabile del rischio, comitato valutazione
sinistri, medico legale aziendale e la componente giuridica nonché
dell’Ufficio sinistri centrale e l’URP aziendale - si
evidenzia quale linea tendenziale, in conformità alla L.R. 19/2016,
una progressiva assunzione di responsabilità da parte
dell’Azienda Zero, sia nella trattazione di sinistri, sia nelle
attività stragiudiziali e di contenzioso.
È importante che le attività di analisi e
miglioramento sistematiche e continuative siano indirizzate a:
- incrementare le
competenze degli operatori per una gestione dei sinistri in
conformità alla ratio del modello regionale e alle innovazioni
normative per un ottimale governo dei sinistri e del rischio;
- migliorare
l’utilizzo dell’applicativo unico regionale (gestione
sinistri rischio clinico GSRC) per la gestione dei flussi informativi
attivati per consentire l’analisi dell’evento e
l’attuazione di relative azioni di miglioramento, incoraggiando
anche la mediazione conciliativa nella gestione di reclami e richieste
risarcitorie;
- promuovere la
corretta compilazione della cartella clinica e di tutta la documentazione
sanitaria;
- favorire e sviluppare
le competenze assegnate al Centro regionale rischio clinico, in materia
di monitoraggio delle attività aziendali di gestione del rischio
clinico e la creazione di un flusso dati di sinistrosità delle
Aziende SSSR per la relativa pubblicazione e l’invio
all’Osservatorio nazionale delle buone
pratiche sulla sicurezza nella sanità istituito presso
Agenas.
4. LA SALUTE DELLA DONNA E DEL BAMBINO
|
Parole chiave
|
Accreditamento,
Certificazione, Integrazione, Percorsi, Reti
|
|
Obiettivi
strategici
|
OS1. Favorire la
fertilità e prevenire i più rilevanti fattori di
rischio in epoca pre-concezionale OS2. Migliorare le performance
della rete pre, peri e post natale
OS3. Eliminare o
contenere l’impatto dei principali fattori di rischio
ambientali agenti negativamente sulla salute e sullo sviluppo del
bambino,
OS4. Promuovere stili
di vita positivi, livelli crescenti di autonomia e ruolo sociale
adeguato all’età, equilibrio nelle relazioni intra
familiari
OS5. Migliorare la
qualità dei processi diagnostici e di trattamento e presa in
carico dei bambini con malattia cronica e/o rara e/o severa e/o
disabilitante.
OS6. Garantire
risposte rapide, appropriate ed efficaci alla urgenza ed
emergenza pediatrica e una adeguata risposta alle patologie ad
insorgenza acuta, al fine di ridurre la mortalità e
disabilità legata a tali condizioni acute.
OS7. Favorire il
passaggio da bambino ad adulto, mantenendo e promuovendo durante
l’adolescenza stili di vita positivi e contrastando i
principali fattori di rischio
OS8. Disegnare
risposte e percorsi per la cronicità, rarità e/o
disabilità che tengano conto delle peculiarità
biologiche e psicologiche degli adolescenti
OS9. Rispondere
adeguatamente alle problematiche psichiatriche e di dipendenza
degli adolescenti con particolare riguardo alle fasi di scompenso
acuto
OS10. Migliorare la
partecipazione agli screening dei principali tumori che
interessano le donne e favorire l’accesso precoce alle cure
più adeguate.
OS11. Migliorare la
diagnosi e presa in carico della donna oggetto di violenza e
maltrattamento
|
Come illustrato nel
Capitolo 1. “Lo scenario epidemiologico e sociale e l’impatto
sulla domanda di servizi socio-sanitari”, le donne ed i bambini
costituiscono oltre la metà della popolazione veneta. In relazione
ai bisogni relativi alle differenti fasce d’età, gli obiettivi
strategici del Piano sono molteplici, estremamente ampi e organizzati
secondo le fasi della vita. Ciascun obiettivo strategico si articola in
una serie di obiettivi operativi che coinvolgono, per la loro attuazione,
un’ampia serie di servizi ospedalieri e territoriali solo in parte
esclusivamente dedicati a questa fascia di popolazione.
Articolazione delle aree strategiche
Le aree si articolano secondo le fasi della vita che
riguardano:
− la salute riproduttiva e il periodo pre,
peri e immediatamente postnatale qualificato dall’evento
nascita;
− la salute dell’infanzia in età
pre-scolare e scolare;
− la salute adolescenziale e la transizione da
bambino ad adulto;
− la salute delle donne e l’approccio di
genere soprattutto nell’accesso ai servizi.
La salute riproduttiva e il
periodo pre, peri e immediatamente postnatale qualificato
dall’evento nascita
L’evento nascita trascina con sè una
serie di problematiche che verranno ricondotte ad obiettivi strategici e
operativi. La prima problematica riguarda la fertilità in relazione
al suo inquadramento diagnostico e all’utilizzo di tecniche di
Procreazione Medicalmente Assistita (PMA), all’uso delle
nuove opportunità che le tecnologie avanzate di
genetica offrono in termini diagnostici e predittivi, ma anche ai rischi
e agli abusi che possono sottendere, oltre che alla più estesa e
capillare offerta e utilizzo di azioni tendenti a ridurre il rischio
infettivo, di esposizione ambientale e di stili di vita patologici. Nel
caso delle PMA, come da Linee guida del Ministero della Salute del 2015,
si deve effettivamente offrire la possibilità di consulenza e
supporto psicologico per la donna e le coppie che affrontano tale
esperienza, attività, quelle di consulenza e supporto psicologico,
che all’interno dei LEA (DPCM 12 gennaio 2017, art. 24, lett. i)
sono declinate come “consulenza, supporto psicologico e assistenza
per problemi di sterilità e infertilità e per procreazione
medicalmente assistita”. La seconda è attinente al percorso
nascita regionale e, conseguentemente, coinvolge i servizi, le azioni e
le prestazioni che esso comprende, erogate sia a livello territoriale che
ospedaliero. La necessaria implementazione dei nuovi LEA conseguente al
DPCM 12/01/2017 costituisce un’opportunità per rivedere il
percorso attualmente attivo, rivalutando, in base all’evidenza
scientifica e ai risultati di alcune sperimentazioni in atto, i contenuti
e i profili organizzativi in risposta alle diverse condizioni in cui la
donna in stato di gravidanza si può trovare e all’articolato
albero di esigenze cliniche e filiere assistenziali che possono essere
attivate.
A supporto di questo lavoro risulta strategica la
creazione di un unico sistema informativo registrante i dati sulle
condizioni cliniche delle gravide e sugli esiti delle prestazioni
effettuate, costituendo una banca di informazioni in grado di permettere
una razionale selezione dei diversi livelli di rischio e una
rivisitazione dell’organizzazione attuale in modo da orientare
più correttamente le gravide al tipo di presa in carico più
adatto per la loro situazione, fino al loro indirizzamento appropriato
alla rete dei punti nascita, eventualmente allertando e coinvolgendo le
condizioni di trasporto in utero, servizio di trasporto emergenza
neonatale (STEN e assistito materno (STAM).
A questa fase di revisione contenutistica dei
percorsi, di loro riorganizzazione e di monitoraggio della loro
attuazione, deve anche associarsi un’azione forte riguardante
l’accreditamento dei punti nascita e la certificazione dei
professionisti basata sulla loro esperienza e sugli esiti delle
prestazioni da loro svolte. Un altro principio che informa le azioni di
quest’area è l’integrazione organizzativa e informativa
tra azioni e servizi dedicati a problematiche oggi trattate come separate
tra loro. Poiché i contenuti individuali dei temi concepimento,
gravidanza, suoi esiti, salute del feto e del nato, costituiscono di
fatto una sequenza di eventi caratterizzanti una storia personale unica,
anche l’organizzazione e i percorsi assistenziali devono comunque
riprodurre questa unicità e genare un patrimonio informativo comune
adatto alla valutazione e all’eventuale riorientamento di azioni e
servizi.
A tal riguardo, nell’ottica di una presa in
carico globale della donna e del suo bambino, è necessario sostenere
una strategia basata sul valore dell’intersettorialità e della
multiprofessionalità. In riferimento alla promozione della salute
è espressione concreta del lavoro intersettoriale il coordinamento e
la sinergia dei vari nodi della rete dei Servizi che si prendono cura
della donna e della nascita con il Dipartimento di Prevenzione. Tale
Dipartimento è l’asse portante nelle Aziende ULSS dello
sviluppo del Piano Regionale Prevenzione (PRP) che si articola secondo
l’approccio life-course basato sulle evidenze che “favorire
il mantenimento di un buon stato di salute lungo tutto il corso
dell’esistenza porta all’aumento dell’aspettativa di
vita in buona salute e a un bonus in termini di longevità, fattori
entrambi che possono produrre benefici importanti a livello economico,
sociale e individuale. La promozione della salute e
dell’equità nella salute inizia dalla gravidanza, passa per un
programma di protezione, promozione e sostegno dell’allattamento al
seno e prosegue nella fase della prima infanzia”. Particolare
attenzione dovrà essere rivolta da parte di tutti i professionisti
alla rilevazione precoce delle fragilità materne nei diversi aspetti
in cui si manifestano, anche mediante l’utilizzo di indicatori
standardizzati e di
strumenti clinici-psicologici di rilevazione,
tenendo conto che la condizione psicologica della madre è la base su
cui il neonato costruisce il suo processo di sviluppo.
Date tali premesse, il PRP prevede al suo interno il
“Piano regionale per la promozione della salute materno
infantile” basato sul presupposto che la promozione della salute
materno-infantile rappresenta un nodo strategico nelle azioni di
sanità pubblica per la proiezione esponenziale di danni e benefici
nel corso della vita dei singoli e della comunità. Tale Piano mira a
promuovere corretti stili di vita nella mamma e nel suo bambino, fin dal
periodo prenatale, quali non fumare e non consumare alcolici, corretta
attività motoria, sana alimentazione, allattamento, prevenzione
degli incidenti domestici e stradali, vaccinazioni consigliate, lettura
ad alta voce, posizione supina nel sonno, ecc..
La stessa visione sistemica deve informare le scelte
per garantire la sicurezza e la qualità della rete dei punti
nascita, tenendo conto della grande eterogeneità del territorio
veneto e delle ampie aree presenti in condizioni di disagio oggettivo
dovuto anche alla loro conformazione oro-geografica. In questo caso,
l’obiettivo di garantire la massima sicurezza possibile riducendo
allo stesso tempo la disuguaglianza tra soggetti residenti in diverse
aree della Regione, potrà essere raggiunto soltanto attraverso
decisioni che tengano conto di un complesso bilanciamento di rischi e
vantaggi, determinati da un lato dal deficit di esperienza e di risorse
presenti in ospedali con bassa casistica, dall’altro dalle
condizioni aggiuntive di rischio, se esistenti, determinati dallo
spostamento. In ogni caso i deficit di esperienza e conseguentemente
competenza professionale per questo ed altre problematiche di salute
devono essere affrontati, oltre che in termini di concentrazione della
rete dei servizi, anche attraverso l’utilizzo di altri strumenti
quali modalità di rotazione del personale, di certificazione dei
professionisti, di formazione e aggiornamento specifico, di supporti
informativi, di uso della telemedicina, e di trasporti organizzati,
dedicati e complessi con particolare attenzione al trasporto assistito
della partoriente (STAM).
Nella stessa area altri rilevanti obiettivi saranno
la nuova implementazione e messa a regime degli screening neonatali per
l’ipoacusia precoce e la cataratta congenita, la tenuta a regime
dello screening neonatale allargato per le malattie metaboliche
ereditarie, con una omogeneizzazione delle azioni e procedure utilizzate
dai due Centri regionali di screening di Padova e Verona,
l’inserimento dello screening della Drepanocitosi nel pannello
delle malattie attualmente oggetto di screening neonatale e
l’implementazione di un sistema informativo che unisca le
informazioni sui nati derivanti dal Registro Nascita con quelle della
diagnosi e trattamenti dei patologici selezionati comprese nel Registro
Malattie Rare. Altri rilevanti obiettivi operativi di Piano riguardanti
la salute del nato, tendono alla realizzazione di percorsi integrati
ospedale-territorio per la dimissione protetta e la continuità di
presa in carico del nato patologico o fragile e della madre in condizioni
patologiche o in condizioni di rischio psico-sociali. Per rendere
possibili tali percorsi si intende condurre a termine la completa
integrazione tra dichiarazione di nascita, Registri di Stato Civile,
Anagrafe comunale, MEF e Anagrafe sanitaria, al fine di trasformare ogni
punto nascita in uno sportello unico per la famiglia dove concludere
tutte le procedure che comportano dalla dichiarazione di nascita alla
scelta del pediatra già prima della dimissione dal nido
ospedaliero.
La salute dell’infanzia in
età pre-scolare e scolare
L’obiettivo strategico di produrre salute per
la fascia di popolazione fino ai 14 anni segue il principio cardine di
garantire il massimo sviluppo possibile e di promuovere la maggior salute
consentita dalla condizione clinica. Questo principio accomuna le azioni
a supporto della crescita dei bambini cosiddetti sani e quelle di presa
in carico dei bambini con patologia, specie se cronica, rara e
disabilitante. Ciò implica che lo sforzo di ogni piano di presa in
carico deve concentrarsi sul trattamento della forma e sul contrasto dei
danni attuali ed evolutivi nella struttura e nella
funzione che essa determina. Deve nello stesso tempo
però prendere in considerazione e agire con gli interventi e con i
trattamenti che promuovano le risorse individuali comunque presenti,
anche potenziali, in modo da garantire la miglior evoluzione possibile e
il miglior quadro di salute, non solo durante la fase pediatrica della
vita ma anche in prospettiva in quella adulta. Più complesso è
il piano di intervento, più il bilanciamento tra esigenze di cura
della patologia specifica, di contrasto del danno e di potenziamento
delle risorse diventa il fulcro strategico con cui si va a misurare
l’efficacia reale di quanto intrapreso e il guadagno di salute che
nel futuro si renderà evidente.
Altri due elementi interagiscono con questo primo
che è intrinseco al processo di crescita e sviluppo del bambino:
l’interazione con la famiglia e l’interazione con le altre
articolazioni della società, per prima la scuola. Il processo di
sviluppo ha bisogno di un’interazione costantemente positiva con
l’ambiente familiare sia nella normalità che nella patologia.
Esso inoltre può essere facilitato o danneggiato, anche in modo
irreversibile, da una scorretta interazione con il mondo esterno e prima
di tutto con l’ambiente scolastico. Per questo motivo gli
interventi di supporto, prevenzione e promozione per le famiglie sono
parte integrante delle attività utili per preservare e migliorare la
salute dei bambini. Specie in caso di patologia, i risultati ottenuti da
piani di trattamento complessi e onerosi già posti in atto possono
essere perduti nel tempo perché non adeguatamente utilizzati negli
ambienti di vita. Gli snodi tra servizi sanitari e loro conoscenza,
famiglie e scuola costituiscono uno degli aspetti più critici.
È necessario quindi definire specifici percorsi organizzati per
tipologia di condizioni di disabilità o di patologia cronica grave,
con l’obiettivo di far permanere e sviluppare ulteriormente il
guadagno di salute che interventi e trattamenti sanitari possono aver
prodotto.
I principi appena enunciati giustificano la
necessità di garantire in tutto il territorio e per tutti i bambini
presenti in Regione una serie di azioni classiche di prevenzione (ad es.
la promozione dell’offerta vaccinale, la prevenzione degli
incidenti e la promozione di stili di vita corretti, etc.).
A rinforzo di tali obiettivi, riconoscendo come
fondamentale il ruolo della scuola quale agenzia educativa deputata,
unitamente alla famiglia, a promuovere nelle nuove generazioni un
orientamento critico, consapevole e responsabile nei riguardi della
salute, è stato siglato un Protocollo d’intesa tra la Regione
del Veneto e l’Ufficio Scolastico Regionale per il Veneto. Tale
Protocollo mira, attraverso un agire coordinato e sinergico tra la scuola
e diversi settori regionali secondo l’ottica “Salute in tutte
le Politiche”, a promuovere percorsi didattici e azioni capaci di
aumentare le competenze chiave e di cittadinanza attiva dello studente,
al punto di vista cognitivo, affettivo e relazionale, mirati a sviluppare
negli studenti la capacità di avere cura di se stessi, della propria
salute e di quella della propria comunità.
A supporto del monitoraggio e della valutazione
della programmazione in tema di prevenzione e promozione di corretti
stili di vita si prevede di continuare ad implementare due sistemi di
sorveglianza che riguardano la popolazione scolastica, quali OKkio alla
Salute (sistema di monitoraggio dello stato ponderale, delle abitudini
alimentari e dell’attività fisica nei bambini delle scuole
primarie (6-10 anni) e HBSC (Comportamenti collegati alla salute in
ragazzi di età scolare) fornisce informazioni sui comportamenti
legati alla salute, gli stili e i contesti di vita degli adolescenti (11,
13 e 15 anni).
Contemporaneamente, è necessario sviluppare una
serie di azioni di promozione della salute, quali ad esempio le visite a
casa e di prevenzione dei rischi, in particolar modo relazionata al
problema della violenza subita o agita, e al problema del maltrattamento.
D’altra parte gli stessi principi, come già detto, devono
orientare e caratterizzare anche l’approccio al bambino affetto da
malattia cronica e da disabilità. In questo caso è necessario
sviluppare le reti di assistenza per grandi gruppi di patologia, che di
regola per l’età pediatrica sono all’interno della rete
per le
malattie rare, e agire in modo che queste reti
dedicate ai bambini siano in realtà strutturalmente integrate
all’interno di quelle che si occuperanno dei soggetti che
sopravvivranno in età adulta. La già descritta attenzione al
profilo del danno evolutivo e alla valutazione delle potenzialità
funzionali, definite da percorsi diagnostici sanitari complessi e
specialistici, sono ancora più necessarie per l’approccio ai
bambini con malattia cronica o disabilità. Una volta ottenute, le
informazioni contenute in questi profili diagnostici devono trovare una
corrispondenza con i processi di definizione dei piani educativi
individuali e adattamento dell’ambiente e delle relazioni familiari
ogniqualvolta ciò risulti rilevante. Ugualmente, l’accesso
alle cure farmacologiche deve essere garantito nelle forme più
adeguate alle caratteristiche del bambino e nella loro continuità in
tutti gli ambienti di vita del soggetto. Anche i setting di cura
devono essere rispettosi di queste specificità e quindi essere
collocati in ambienti possibilmente dedicati al bambino, garantendo
un’adeguata disponibilità di reparti per bambini o adolescenti
in ogni ASL, anche in situazioni di urgenza e di emergenza, e la presenza
di attività e reti sovraspecialistiche pediatriche (ivi compreso la
presa in carico di bambini con patologie psichiatriche gravi o precoci e
con scompensi psichiatrici), soprattutto concentrate in alcuni poli
provinciali. In ogni caso si dovrà particolarmente evitare di
caricare la famiglia di tutto il peso assistenziale, utilizzando anche
per l’età pediatrica, quando la condizione clinica e
funzionale lo richiede, i percorsi di presa in carico territoriale e
domiciliare, così come per gli adulti e gli anziani.
La salute adolescenziale e la
transizione da bambino ad adulto
Particolarmente critica appare la fase di passaggio
dalla condizione di bambino con patologia cronica/rara/disabilità a
quella di adulto. La transizione dai processi di cura dedicati al bambino
a quelli dell’adulto risulta uno degli aspetti più critici
universalmente riconosciuti ed è la conseguenza del successo
dell’aumentata sopravvivenza delle gravi patologie pediatriche.
Essa trova la motivazione della sua criticità e complessità dal
fatto di avvenire all’interno di una trasformazione e crisi di
molte dimensioni. La prima è data dalla cosiddetta crisi
adolescenziale, cioè dal passaggio dall’essere bambino e
adolescente al divenire adulto, dimensione che interessa tutti i soggetti
e che coinvolge tutte le famiglie. Questa crisi si aggrava qualora
l’adolescente sia affetto da una condizione patologica grave e/o
disabilitante, e questa gravità è legata al fatto che
l’adolescente deve assumere il ruolo di gestore della propria
malattia al posto dei genitori e simmetricamente i genitori devono
progressivamente abbandonare il loro ruolo di decisori. Qualora
l’adolescente non sia in grado di assumere un ruolo decisionale, ad
esempio a causa di una disabilità intellettiva, l’equilibrio
tra desiderio del giovane adulto e pensieri e decisioni dei familiari
può risultare difficile e in parte ambivalente. In ogni caso questo
passaggio che interessa il paziente e la famiglia deve corrispondere al
passaggio dal sistema dei servizi e professionisti dedicati al bambino ai
servizi e professionisti dedicati all’adulto. Naturalmente questi
sistemi di servizi devono essere prima di tutto disponibili, poi
competenti e organizzati come snodo di uno stesso percorso assistenziale,
in modo tale da sostenere e contenere il paziente in questa transizione.
In altre parole si associano condizioni individuali, legate alla
variabilità degli adolescenti e delle famiglie, a condizioni che
dipendono dalla programmazione e organizzazione del sistema sanitario e
dalla formazione e competenza dei professionisti.
Anche per l’adolescente non affetto da
malattia cronica e/o disabilità il passaggio adolescenziale è
comunque cruciale per ridurre o procrastinare l’insorgenza di
patologie croniche in età adulta attraverso l’attivazione di
interventi specifici con prevalente approccio comunitario tendente alla
promozione della salute e all’utilizzo di stili di vita corretti.
Temi di particolare rilievo sono la prevenzione degli incidenti e della
violenza in tutte le sue forme, sia agita che subita, oltre che
l’assunzione di corretti stili di vita nell’attività
fisica e nell’alimentazione e nell’attività sessuale e
il contrasto all’uso di alcol e droghe. A riguardo il fenomeno del
progressivo abbassamento dell’età
di prima assunzione di sostanze e
dell’instaurarsi degli aspetti cronici legati al loro uso impone
una serie di interventi per la definizione di specifici percorsi
di:
- prevenzione e
promozione di sani stili di vita attraverso metodologie interattive che
permettano una partecipazione attiva degli studenti per es. basate sulla
educazione tra pari, metodologia di comprovata efficacia;
- presa in carico
precoce che comprendono le attività svolte nei pronto soccorsi
ospedalieri e quelle da svilupparsi nei servizi territoriali di contrasto
alle dipendenze, di neuropsichiatria infantile e di salute mentale, dei
servizi per l’infanzia, l’adolescenza e la famiglia;
- approfondimento dei
programmi presso i Centri che trattano patologie in aumento, quali
obesità e diabete mellito tipo 2;
- condivisione di
iniziative tra Ospedale, territorio e distretto, per gestire
l’accoglienza in situazioni di fragilità relazionale,
psicologica, sociale, e la dimissione attenzionata per predisporre il
programma più idoneo.
Con specifico riferimento all’attività
sessuale saranno adottati interventi finalizzati a tutelare e promuovere
la salute sessuale e riproduttiva delle giovani generazioni e delle
donne, a prevenire le interruzioni volontarie di gravidanza, le malattie
sessualmente trasmesse e la diffusione dell’HIV. Gli interventi di
specie si indirizzeranno nella implementazione dei programmi di
educazione alla salute sessuale e riproduttiva, dei servizi aziendali e
dei percorsi assistenziali dedicati, nel verificare l’accesso alla
contraccezione gratuita, nel dovuto rispetto delle scelte e della
dignità delle persone.
5. IL PERCORSO DEL PAZIENTE IN OSPEDALE
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Parole chiave
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Appropriatezza, Efficienza,
Equità, Fluidità, Percorsi, Proattività,
Prossimità, Reti cliniche, Tempestività
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Obiettivi
strategici
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OS1. Assicurare al
paziente la gestione della fase dell’emergenza urgenza e la
fase critica del percorso assistenziale
OS2. Assicurare al
paziente che intraprende un percorso assistenziale programmato
gli approfondimenti diagnostici, i trattamenti terapeutici e
riabilitativi che richiedono tecnologia, requisiti strutturali e
competenze proprie dell’ospedale
OS3. Assicurare ai
pazienti con patologie croniche con frequenti episodi di
riacutizzazione un percorso dedicato e condiviso OS4. Migliorare
l’efficienza organizzativa ospedaliera
|
Il percorso del paziente in ospedale
A fronte dei cambiamenti demografici in atto che
vedono negli ultimi anni, un ricorso sempre maggiore alle strutture
ospedaliere da parte di pazienti anziani, con più patologie croniche
e con frequenti processi di riacutizzazione, l’ospedale negli anni,
non ha di molto mutato il suo modello organizzativo, continuando ad
interessarsi di patologia acuta, indipendentemente dal target del
paziente.
L’analisi del tipologia di pazienti che
accedono all’ospedale ha evidenziato che più del 70% dei
ricoveri ospedalieri si riferisce a pazienti cronici che accedono alle
strutture o con ricovero acuto (6 pazienti su 10) o con ricovero
programmato.
Si è rilevata pertanto la necessità di
focalizzare l’attenzione sulla gestione dei percorsi oltre che per
i pazienti acuti e per quelli programmati anche per i pazienti cronici
con frequenti episodi di riacutizzazione.
Il percorso dei pazienti acuti in
Pronto Soccorso
Una efficiente ed efficace organizzazione del Pronto
Soccorso riveste carattere di primaria importanza, anche in
considerazione del fatto che esso rappresenta la porta di accesso
principale per l’ospedale in tutte le situazioni di urgenza
/emergenza.
E pertanto necessario prevedere una organizzazione
che miri ad una riduzione delle attese al Triage e che riduca al minimo
gli adempimenti amministrativi e tali modalità organizzative devono
essere tenute in considerazione anche in fase di eventuale
ristrutturazione edilizia.
L’immediata ed appropriata individuazione dei
codici di priorità infatti è il presupposto indispensabile per
inserire il paziente nel corretto percorso di diagnosi e cura.
Vanno pertanto potenziati gli strumenti informativi
volti ad individuare in tempo reale la disponibilità di posti letto
presso le unità operative di degenza; devono essere ulteriormente
sviluppati gli accessi diretti e i percorsi “veloci” in
particolare nell’ambito della pediatria, ostetricia, psichiatria;
una maggiore attenzione va posta anche nell’organizzazione dei
percorsi rivolti alle persone anziane ed a quelle con limitate o ridotte
abilità.
Va migliorata l’organizzazione complessiva
dell’Ospedale per garantire la rapida consulenza specialistica o
l’esecuzione dell’esame diagnostico chiesto dal PS, ai fini
di una efficiente gestione del percorso previsto.
Devono essere previsti inoltre percorsi
differenziati per i pazienti a cui è stato assegnato il codice
bianco in ingresso al fine di rendere sempre più appropriato e
sicuro l’utilizzo delle aree dedicate all’emergenza e
urgenza.
Per i pazienti classificati come codici bianchi va
prevista la consegna di materiale informativo ed educazionale, definito
su base regionale/aziendale, che illustri le situazioni nelle quali
accedere ai Servizi di Emergenza, fornendo informazioni sui servizi di
Assistenza Primaria (MMG, PLS, CA).
Per migliorare ulteriormente l’appropriatezza
nella gestione dei pazienti, e quindi utilizzare in modo sempre più
corretto le aree ospedaliere per i casi realmente “acuti”, si
prevede infine che il Pronto Soccorso possa inviare direttamente i
pazienti alle strutture intermedie; tale possibilità, pertanto, si
aggiunge a quanto già previsto dai percorsi vigenti (attivazione
obi, dimissione a domicilio, ricovero etc.).
Un’attenzione particolare deve essere
riservata ai percorsi di prevenzione della violenza di genere e dei
bambini, che coinvolga, insieme al medico legale, al pediatra,
all’ostetrica e ad altre figure professionali, anche lo
psicologo.
Questi nuovi modelli devono essere assicurati in
ogni PS e in ogni ospedale garantendo anche spazi e strutture funzionali
ai diversi scopi; monitoraggio continuo dei tempi di attesa e forme
organizzative flessibili per il personale.
Il percorso dei pazienti
“programmati”
Al paziente che non si trova in condizioni critiche
e che necessita di una risposta sanitaria, il SSSR offre una rete
capillare di servizi costituita da luoghi di prevenzione, diagnosi, cura
e riabilitazione, che, in un’ottica di appropriatezza e sicurezza,
assicurano all’interno del percorso di cura procedure/interventi, e
prestazioni, che richiedono competenze e tecnologie specifiche.
Per questa esigenze di approfondimenti diagnostici,
trattamenti terapeutici, riabilitativi, il paziente intraprende un
percorso programmato che si struttura all’interno di reti.
In questo percorso l’ospedale viene attivato
come nodo della rete in base alle specificità tecnologiche,
strutturali e di competenze.
Le strutture che nella classificazione dei luoghi di
cura vengono definiti Spoke assumono in quest’ottica il ruolo di
ospedale di prossimità che garantisce al cittadino tutte le
prestazione di bassa e media complessità erogabili nelle condizioni
di massima sicurezza.
Diventano quindi obiettivi da perseguire:
- Efficientamento della
programmazione degli interventi di chirurgia breve;
- Sviluppo della
gestione centralizzata e informatizzata di esami preoperatori, posti
letto ordinari e di terapia intensiva, sale operatorie e di conseguenza
delle liste d’attesa e anche creazione di uno sportello
unico;
- Sviluppo, per
l’area medica, del “day service” come
modalità organizzativa, per garantire un’offerta di
prestazioni integrate, con minor impegno possibile del paziente, al fine
di migliorare la risposta assistenziale;
- attivazione di letti
monitorati , contribuendo così a un utilizzo appropriato dei letti
di area critica dando anche maggior supporto all’area intensiva per
la gestione delle attività relative a pazienti complessi, quali ad
esempio quelli con insufficienza respiratoria (ventilati non
intubati);
- facilitare il
reinserimento dei pazienti psichiatrici nei luoghi di residenza
attraverso la ridefinizione dei criteri per l’assistenza
psichiatrica ospedaliera;
- rimodulazione della
rete riabilitativa in particolare per le alte specialità (unità
spinali e di neuroriabilitazione) e sviluppo modalità di presa in
carico territoriale rimodulando l’offerta per quanto riguarda
percorsi riabilitativi, pneumologico, cardiologico, neurologico, neuro-
cognitivo ortopedico e anche percorsi di riabilitazione nutrizionale. A
questo scopo si dovranno attivare anche nuove modalità di presa in
carico finalizzate ad una maggior integrazione tra percorsi riabilitativi
e programmi di Attività Fisica Adottata (AFA) e delle palestre della
salute (PDS) di cui all’art. 21 L.R. n. 8 dell’11 maggio
2015, con l’obiettivo di ricondizionare al termine della
riabilitazione, contrastare l’ipomobilità, favorire
l’inclusione sociale e promuovere stili di vita nei soggetti con
disabilità stabilizzata. I programmi AFA e delle PDS non rientrano
tra le attività riabilitative e non sono una attività sanitaria
e mirano anche a promuovere il processo di invecchiamento sano e attivo
della popolazione. Tutti i percorsi prevedono un ruolo integrativo e
complementare delle strutture sanitarie, anche privati accreditati o a
gestione pubblica;
- promozione delle cure
preventive e riabilitative con l’utilizzo di acque e fanghi
termali.
Il percorso dei pazienti cronici
con frequenti episodi di riacutizzazione
La necessità di far fronte ad una tipologia di
“acuzie” differenziata (oltre agli “acuti” veri e
propri sono molti i pazienti cronici “instabili” con
frequenti processi di riacutizzazione) richiede un ripensamento del
modello di assistenza ospedaliera, meglio commisurato alle tipologie di
pazienti assistiti.
Con particolare riferimento a questo target di
pazienti (cronici “instabili” con processi di
riacutizzazione) diventa necessario introdurre in ospedale modelli
organizzativi in cui tali pazienti, possano essere presi in carico
anticipatamente in una determinata area di ricovero (nella fase di inizio
dell’instabilità) programmando una presa in carico ospedaliera
prima che il paziente sia instabile e acuto e quindi prima che, passando
per il PS, venga gestito come ricovero urgente e assegnato a un reparto
in quel momento disponibile.
Tale modello organizzativo presuppone che il livello
ospedaliero e territoriale (MMG, Distretto, Strutture intermedie, etc.)
condividano tutte le informazioni e i protocolli necessari alla gestione
comune dei percorsi per tali pazienti e presuppone una relazione
biunivoca tra professionisti che si attua anche attraverso lo svolgimento
di un ruolo “pro attivo” configurabile come “medicina
di iniziativa”, nel quale non siano rari gli accessi dei MMG o dei
medici di distretto in ospedale per seguire l’evoluzione clinica
dei loro assistiti e che i medici ospedalieri formino ed informino i MMG
o dei medici di distretto dello stato generale di salute del loro
paziente.
Questa fondamentale comunicazione deve prevedere
l’adozione e lo sviluppo dei moderni sistemi di comunicazione per
via telematica al fine di renderla il più tempestiva ed efficiente
possibile.
Percorsi condivisi, che anticipano il ricorso al
ricovero urgente tramite il PS, consentono di gestire il paziente secondo
una logica di “continuità di cura” senza doverlo
sottoporre a ripetute fasi diagnostiche di inquadramento generando nel
paziente la consapevolezza di essere assistito e preso in carico dal
“sistema” sanitario.
In un’ottica di ospedale moderno e flessibile
sono già presenti soluzioni organizzative che hanno consentito di
evitare di ricorrere in modo non appropriato al ricovero attraverso fasi
di osservazione breve intensiva in pronto soccorso.
Esiste tuttavia anche una categoria di pazienti
ricoverati che vengono trattenuti in ospedale e non dimessi nonostante
non necessitano di ulteriori risposte a bisogni sanitari ma che
presentano tuttavia problemi di tipo familiare e sociale che ne ritardano
la dimissione.
Per tali pazienti, che hanno terminato il loro ciclo
di cura e possono pertanto essere dimessi, è possibile prevedere
posti letto tecnici all’interno della struttura ospedaliera, con la
sola presenza del personale infermieristico, protratta per non più
di 24 ore, per consentire di risolvere gli aspetti non sanitari senza
utilizzare impropriamente la struttura ospedaliera.
Il modello organizzativo previsto può essere
descritto come “Osservazione Breve Estensiva” (OBE).
L’identificazione di posti letto tecnici,
quindi con utilizzo non sanitario e pertanto non ricompresi nel numero
dei posti letto assegnati, consente, tra l’altro, anche un utilizzo
pieno delle sale operatorie nelle quali, nelle fasce pomeridiane,
l’attività di DS e di chirurgia ambulatoriale viene limitata
ai soli interventi a bassissima complessità per
l’impossibilità di trattenere il paziente in osservazione dopo
l’intervento.
Per consentire un pieno utilizzo delle strutture
ospedaliere, ed una piena efficienza sia del percorso di ricovero che nel
percorso previsto per i pazienti con accesso ambulatoriale, in coerenza
con logiche integrate, è auspicabile lo sviluppo di modelli
innovativi, anche sperimentali, che prevedano la possibilità di
offrire agli utenti del SSSR supporto logistico o risposte a bisogni non
sanitari, in mancanza delle quali vengono utilizzate in modo improprio
risorse ospedaliere destinate a pazienti acuti.
La necessità di farsi carico di pazienti
cronici con multimorbilità, che nel loro percorso necessitano di
fasi di assistenza sanitaria, può trovare ulteriore risposta anche
tramite l’attivazione, in Ospedale, di letti di Ospedale di
Comunità. In tale ambito, oltre alle eventuali competenze
specialistiche è possibile disporre anche di livello tecnologico
proprio della struttura ospedaliera.
Il modello proposto, coerentemente con un concetto
di ospedale inteso come parte di un percorso di cura, presuppone tuttavia
che i protocolli condivisi definiscano nel dettaglio i criteri di
inclusione/esclusione dei pazienti, evitando che si venga snaturare la
struttura ospedaliera che resta identificata come luogo per la gestione
delle fasi acute dei percorsi di cura.
Infine per i pazienti per cui il percorso prevede un
passaggio in punto soccorso può essere previsto, oltre
all’attivazione delle modalità consuete ( obi, domicilio,
ricovero , percorso breve)I, anche la possibilità valutata e
attivata dal pronto soccorso, di presa in carico presso strutture
intermedie qualora la situazione clinica lo ritenesse necessario.
Diventano quindi obiettivi da perseguire:
- definizione di
protocolli condivisi ospedalieri e extra ospedalieri per la gestione dei
pazienti cronici condivisa tra mmg, distretto e medici
ospedalieri;
- definizione di
modalità operative per il supporto degli specialisti ospedalieri ai
medici territoriali (consulenze, telerefertazione e
teleconsulenza);
- attivazione di
modalità di gestione dell’obe (individuazione e definizione
dei posti letto tecnici);
- individuazione di
letti di ospedale di comunità all’interno delle strutture
ospedaliere;
- definizione dei
criteri di accesso alle strutture intermedie direttamente dal pronto
soccorso.
L’efficienza
organizzativa
La Regione del Veneto, ha definito i criteri per
l’individuazione del fabbisogno e per l’allocazione dei posti
letto con il PSSR 2012-2016, identificando i bacini di riferimento per
specialità, i ruoli, le specialità, i livelli di intensità
di cura ed i modelli organizzativi, che consentono il miglior utilizzo
delle risorse assegnate, con l’obiettivo di garantire la piena
coerenza rispetto alla tipologia di funzione previste.
Uno degli elementi strategici nel governo della
programmazione sociosanitaria regionale, infatti, è rappresentato
dall’ assegnazione delle risorse sulla base di standard di
riferimento, in particolare per la dotazione di attrezzature e personale
assistenziale, tenendo presente la continua evoluzione dello scenario
organizzativo/assistenziale.
La connotazione iniziale di standard minimi di
riferimento del personale, in particolare, ha consentito, sia a livello
regionale che a livello delle singole aziende, di pianificare e allocare
le risorse garantendo un uniforme ed elevato livello qualitativo di
sistema.
La programmazione per standard di riferimento
pertanto deve continuare ad essere uno degli elementi portanti della
programmazione regionale e attraverso Azienda Zero, devono essere
individuati nuovi standard di riferimento rispondenti a principi base di
efficienza, efficacia e sicurezza ed economicità.
Azienda Zero, sulla base di quanto previsto dalla
L.R. 19/2016, deve inoltre prevedere ed attuare tutti gli strumenti di
monitoraggio necessari a verificare l’adeguatezza degli standard
utilizzati per l’assegnazione delle risorse in rapporto al grado di
soddisfacimento dei bisogni e deve monitorare gli esiti dei processi
assistenziali, al fine di verificarne la coerenza con l’offerta
programmata delle prestazioni.
Al direttore della funzione ospedaliera (primus
inter pares) spetta il compito di pianificare, organizzare e gestire le
attività inter-ospedaliere e coordinare funzionalmente i vari
ospedali in modo da garantire il livello qualitativo adeguato e
utilizzare in modo efficiente le risorse all’interno
dell’Azienda sanitaria.
A livello di singolo ospedale il direttore medico di
presidio è il responsabile unico di tutti i processi assistenziali
erogati in ambito ospedaliero e dei processi amministrativi direttamente
collegati.
Azienda Zero deve definire e monitorare indicatori
di efficienza del sistema attraverso indicatori classici quali ad
esempio: tasso di occupazione del posto letto, rispetto delle soglie di
durata degenza, rispetto delle soglie di erogabilità per regime di
erogazione, il processo di mobilità sanitaria, l’utilizzo
delle attrezzature e degli spazi (in particolare le sale operatorie),
rispetto dei tempi di attesa, supportando l’attuazione di un
processo di organizzazione efficiente ed efficace.
L’Ospedale deve adottare
un’organizzazione che tiene conto dei seguenti parametri:
- Organizzazione di
attività di degenza per moduli di 20-25 posti letto e
standard;
- Gestione separata dei
percorsi di emergenza urgenze e programmata, nonché di percorsi
dedicati alle persone con disabilità;
- Organizzazione per
aree assistenziali omogenee differenziate in livelli assistenziali e
cluster;
- Articolazione per
moduli organizzati per area funzionale delle guardie attive, prevedendo
una guardia attiva fino a 90/100 posti letto;
- Considerazione della
logistica e di eventuali altri aspetti strutturali per garantire
l’utilizzo ottimale degli spazi a disposizione della struttura
nell’organizzazione modulare;
- Programmazione di
attività per volumi e esiti e utilizzo della rotazione della stessa
equipe di professionisti su più sedi per garantire
l’esperienza e i volumi erogati dai singoli professionisti.
- Accoglienza medica
secondo un modello caratterizzato da percorsi diagnostici e di
orientamento terapeutico differenziati dedicati alle persone con
disabilità gravi e gravissime, in particolare con deficit
intellettivo, comunicativo e neuromotorio
- Formazione di
personale specializzato dedicato alle patologie specifiche della
disabilità, all’accoglienza in ambulatorio e in ospedale di
persone con disabilità.
6. LA PRESA IN CARICO DELLA CRONICITÀ E DELLA
MULTIMORBILITÀ PER INTENSITÀ DI CURA E DI ASSISTENZA
|
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Multiprofessionalità,
Piano integrato di cura, Medicina di Gruppo
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Obiettivi
strategici
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OS1. Potenziare il
ruolo del distretto come gestore della cronicità
OS2. Promuovere un
sistema di classificazione del case mix che preveda un
coinvolgimento strutturato del MMG/curante
nell’attribuzione finale del profilo
OS3. Garantire alle
persone il migliore stato di salute possibile in relazione alle
condizioni individuali
OS4. Garantire la
gestione dei problemi di salute secondo un sistema di
prioritarizzazione mediante la realizzazione di percorsi
integrati proporzionati al profilo di bisogno
OS5. Valorizzare la
personalizzazione della presa in carico, attraverso piani
integrati di cura in coerenza con il Piano Nazionale
Cronicità
OS6. Organizzare una
filiera dell’assistenza che sia in grado di garantire le
transizioni tra luoghi e/o livelli assistenziali differenti,
favorendo la domiciliarità ed il recupero funzionale
OS7. Promuovere un
sistema di governance della cronicità e della
multimorbidità centrata sulla misurazione dei
risultati
|
La gestione della
cronicità
La persona ha diritto di godere del migliore stato
di salute possibile e di poter accedere a cure sanitarie dedicate ed
appropriate ai suoi bisogni in tutte le fasi della vita. In particolare,
nel contesto attuale, con il prevalere delle patologie croniche e della
multimorbidità, il SSSR deve essere in grado di aiutare le persone a
raggiungere il massimo grado di funzionalità possibile in relazione
al proprio stato di salute.
Infatti, nell’affrontare la cronicità,
molto spesso connotata dalla multimorbidità, la vera sfida è
legata alla capacità di garantire la migliore salute in relazione
alle condizioni della persona (mantenimento, coesistenza). Come
illustrato nel Capitolo 1 “Lo scenario epidemiologico e sociale e
l’impatto sulla domanda di servizi socio-sanitari”, nella
popolazione del Veneto la norma è rappresentata dalla
multimorbidità dato che per tutte le persone con le patologie
croniche prevalenti esiste una importante quota di comorbidità che
va dal 95% per lo scompenso cardiaco al 90% della BPCO e al 70% per il
diabete.
Nella gestione della cronicità la persona
diviene parte integrante del percorso di cura: fondamentale diventa,
quindi, il suo coinvolgimento ed impegno responsabilizzato attraverso la
stesura condivisa o coproduzione di un piano integrato di cura e la
stipula di un patto di cura che individui i possibili risultati
conseguibili in considerazione anche delle sue potenzialità e del
suo contesto di vita.
Un paziente ben “ingaggiato”, dunque,
è una persona non solo più aderente alle prescrizioni ma anche
più consapevole della propria diagnosi e, perciò, capace di
attivarsi in modo corretto ai primi segni e sintomi della malattia, di
mettersi in contatto con il team multiprofessionale di riferimento
tempestivamente e di fruire dei servizi sanitari offerti dal sistema in
modo più soddisfacente ed appropriato.
Vi è, quindi, l’esigenza di definire
nuovi modelli assistenziali di presa in carico della cronicità, ed
in particolare della multimorbidità, che si fondano sui seguenti
elementi chiave:
- l’adozione di un
sistema di categorizzazione della popolazione assistita sulla base della
coprevalenza di patologie, prevedendo l’utilizzo di uno strumento
di classificazione del case mix (ad es. ACG) e responsabilizzando il MMG
o il curante nella attribuzione definitiva della persona ad un
determinato profilo di morbidità e rischio. La sfida che si pone
è, da un lato, riadattare il metodo di “profilazione”
alle caratteristiche della popolazione veneta e, dall’altro, tenere
in considerazione la storia, il territorio, l’offerta di servizi e
le risorse disponibili per affrontare i bisogni;
- la strutturazione di
un modello che consenta la gestione dei problemi di salute con strumenti
organizzativi e professionali proporzionati alla complessità
multidimensionale del bisogno. Ciò richiede la condivisione di un
sistema di prioritarizzazione dei bisogni che si intendono affrontare e
delle preferenze/esigenze proprie del paziente che si intendono
rispettare, al fine di realizzare percorsi integrati, in grado di
superare logiche fondate su erogazione di prestazioni occasionali,
frammentate e spesso duplicate;
- la definizione di
livelli differenti di bisogno a cui corrispondano modelli alternativi di
presa in carico della cronicità, sempre comunque fondati sulla
multiprofessionalità;
- la definizione di una
filiera dell’assistenza che sia in grado di garantire le
transizioni tra luoghi di cura diversi e/o livelli assistenziali
differenti, attraverso nuove formule organizzative multispecialistiche a
supporto, in particolare, delle dimissioni verso il domicilio o le
strutture sociosanitarie extraospedaliere, le strutture di ricovero
intermedie e/o le ammissioni verso l’ospedale;
- il coordinamento tra
Ospedale e Territorio nella gestione di dimissioni “protette”
di pazienti con patologie croniche complesse (ad es. cardiovascolari) che
richiedono un percorso di follow up che integri riabilitazione e
prevenzione secondaria;
- la valorizzazione
della personalizzazione della presa in carico e dell’assistenza
come strumento di garanzia della tutela della salute, attraverso piani
integrati di cura sviluppati in coerenza con il Piano Nazionale
Cronicità, che trovano la loro necessaria attuazione attraverso
l’integrazione tra le reti negli ambiti dell’assistenza
primaria, della prevenzione, delle cure intermedie e
dell’assistenza ospedaliera;
- la costruzione di un
sistema di governance centrata sui risultati che responsabilizzi tutti
gli attori (sia della struttura ospedaliera che territoriale, sia
dipendenti che convenzionati) alla realizzazione della gestione integrata
della cronicità, ridefinendo e potenziando il ruolo del Direttore di
Distretto.
Il nuovo ruolo del
Distretto
Stesura ed attivazione del Piano Domiciliarità
distrettuale entro il 2019.
Le Aziende sanitarie attivano e/o adeguano le
medicine di gruppo con compiti aggiuntivi legati
all’accessibilità, alla presa in carico della cronicità,
alla assistenza domiciliare, dimensionate rispetto alla popolazione
residente, con risorse aggiuntive e con attività monitorate secondo
indicatori di struttura, processo e esito concordati a livello
regionale.
Attivazione del programma formativo
multidisciplinare.
Il Distretto socio sanitario è
l’articolazione dell’Azienda ULSS deputata al perseguimento
dell’integrazione tra i diversi servizi e le diverse strutture
sanitarie e socio-sanitarie presenti sul territorio, in modo da
assicurare una risposta coordinata e continua ai bisogni della
popolazione.
Sono obiettivi strategici affidati al Distretto
Socio-Sanitario:
- analizzare e misurare
i bisogni, stratificando la popolazione assistita sulla base delle
criticità effettive (case mix), decodificando i bisogni e
trasformandoli in domande, definendone livelli di complessità
assistenziale e modelli organizzativi più efficaci/efficienti,
nonché identificando i luoghi di cura più appropriati;
- definire ed attuare i
percorsi assistenziali per le principali patologie croniche e per
l’assistenza alle persone fragili, affrontando la
multimorbidità in maniera integrata non solo a livello distrettuale
ma in integrazione con il livello ospedaliero, adottando piani integrati
di cura per i pazienti complessi;
- garantire
l’assistenza h 24, 7gg/7, prevedendo uno specifico modello di
integrazione operativa tra tutti i soggetti preposti alla presa in
carico.
Pertanto viene ridefinito il ruolo del Distretto
specificando che il direttore di Distretto diventa:
- responsabile
dell’analisi e misurazione dei bisogni al fine di identificare i
modelli organizzativi, le risorse e i luoghi di cura più appropriati
per specifico livello assistenziale;
- responsabile della
definizione ed attuazione dei percorsi assistenziali integrati per le
principali patologie croniche e per l’assistenza alle persone
fragili;
- gestore della
cronicità complessa ed avanzata, attraverso lo sviluppo di
competenze cliniche (sviluppo di alte professionalità) ed
organizzative;
- facilitatore dei
processi di integrazione tra i diversi nodi della rete dei servizi per
assicurare una risposta coordinata e continua ai bisogni della
popolazione.
In particolare è necessario che il Distretto
diventi il soggetto “gestore” di alcune categorie di bisogno
complesso, sviluppando una importante competenza clinica e, al contempo,
una competenza organizzativa in grado di ricomporre e gestire i percorsi,
potenziando:
- la competenza sul
governo clinico inteso come lo sviluppo e l’applicazione dei
percorsi assistenziali per patologie a più elevata
prevalenza;
- lo sviluppo di alte
professionalità sotto l’aspetto clinico al fine di erogare
l’assistenza ai pazienti complessi;
- la competenza
organizzativa al fine di garantire la sintesi compiuta nelle
modalità di pianificazione, programmazione, gestione e valutazione
dei risultati migliorando i percorsi di governance dell’assistenza
distrettuale.
La presa in carico della
cronicità per intensità di cura e di assistenza
Il modello regionale di presa in carico della
cronicità e della multimorbidità si fonda sul concetto di
intensità di cura e di assistenza, mutuandolo dall’ambito
ospedaliero, per sottolineare la gradualità nell’erogazione
dell’assistenza correlata al bisogno.
A partire dalla stratificazione sopra descritta,
vengono distinti due livelli di complessità (Figura 8):
- la cronicità
“semplice”, che viene appropriatamente presa in carico dai
team multiprofessionali dell’Assistenza primaria;
- la cronicità
“complessa ed avanzata”, che richiede team multiprofessionali
“specialistici” dedicati.
Figura 8 –Presa in carico della cronicità
per intensità di cura e di assistenza: profili di popolazione e
percentuale sulla popolazione del Veneto
La
gestione della cronicità “semplice”
La prevenzione della malattia e il trattamento della
sua cronicizzazione sono le vocazioni prioritarie della rete dei servizi
territoriali e l’assistenza primaria costituisce il
“contatto” più immediato e frequente per
l’assistito, rappresentando perciò il setting assistenziale
che meglio si presta all’individuazione ed alla presa in carico
della cronicità semplice.
Per questo motivo le Medicine di Gruppo e i team
multiprofessionali dell’Assistenza primaria, diversamente
organizzati e dimensionati a seconda delle caratteristiche del territorio
ove sono collocati, rappresentano il punto di riferimento per le
comunità e si impegnano a:
- riconoscere i malati
cronici;
- inserirli in percorsi
di presa in carico integrata;
- sviluppare un modello
di gestione dell’assistenza da parte di un team.
- Per fare questo sono
richiesti:
- la valorizzazione del
rapporto di fiducia tra medico e paziente;
- un elevato livello di
integrazione dell’assistenza primaria nel sistema;
- lo sviluppo del lavoro
per percorsi assistenziali con applicazione dei PDTA;
- una forte crescita e
valorizzazione del ruolo degli infermieri nell’assistenza
primaria;
- la dimostrazione del
contributo al raggiungimento degli standard di sostenibilità del
Sistema.
Ciò premesso, la gestione della cronicità
semplice dovrà essere garantita da team multiprofessionali di
assistenza primaria nelle seguenti differenti accezioni:
1. forme di aggregazione che coinvolgono medici
convenzionati opportunamente organizzate e dimensionate con riferimento
alle specifiche caratteristiche del contesto;
2. team di assistenza primaria che coinvolgono
medici dipendenti del SSN nella gestione dell’assistenza
medico-generica, anche in conformità a quanto stabilito dalla Legge
n.833/1978;
3. team di assistenza primaria la cui gestione
è affidata ad un soggetto privato accreditato con riferimento ad uno
specifico bacino di riferimento.
Al fine di tutelare la libera scelta del cittadino,
lo stesso potrà scegliere a quale tipologia di team rivolgersi,
fermo restando che le suddette tipologie si configurano come alternative
e, quindi, non potranno essere fruite contemporaneamente dallo stesso
assistito.
Sulla base dei principi sopra descritti, analoghe
tipologie organizzative potranno essere sviluppate anche
nell’ambito della pediatria.
Spetta, quindi, al direttore del Distretto
organizzare le risorse affinché vengano attuati i PDTA,
definendo:
- gli obiettivi da
raggiungere;
- le risorse disponibili
ed i criteri del loro utilizzo;
- le modalità di
monitoraggio e verifica dei risultati.
In quest’ottica sarà responsabilità
del direttore di Distretto definire il budget delle prestazioni
specialistiche necessarie, sulla base della lista pazienti eligibili e di
quanto previsto dagli stessi PDTA, nonché mettere a disposizione le
risorse necessarie, anche attraverso appositi accordi con gli specialisti
ambulatoriali interni operanti nel proprio Distretto e con le strutture
private accreditate che insistono nel proprio territorio, qualora
necessario, comprese le Palestre della Salute che insistono in Strutture
Residenziali.
Dovranno, altresì, essere individuate
specifiche modalità di accesso a suddette prestazioni, evitando di
transitare per il CUP aziendale, ma garantendo l’accesso in
conformità a quanto previsto dal PDTA per un appropriato follow
up.
Nell’ottica dell’intersettorialità
e multidisciplinarietà, caratteristiche fondamentali dei percorsi di
presa in carico globale, il Dipartimento di Prevenzione può
affiancare il medico di famiglia e il team per la modifica degli stili di
vita, al fine di condividere gli interventi già in atto nel
territorio. Lo scopo è di utilizzare al meglio competenze specifiche
e pratiche consolidate, anche in un’ottica di una razionalizzazione
delle risorse. Il modello della prevenzione del Veneto prevede
l’offerta di interventi stratificati per livello di rischio e di
motivazione del soggetto, rivolti al singolo e/o alle famiglie. Inoltre
il Dipartimento di Prevenzione promuove interventi intersettoriali anche
con soggetti esterni al mondo sanitario (Palestre della Salute,
Associazioni Sportive, Enti Locali, Scuole...).
I team di assistenza primaria, come sopradescritti,
possono utilizzare strutture, dotazioni, personale, servizi messi a
disposizione dall'Azienda ULSS (impiego di personale dipendente dal
SSSR), ovvero assicurarseli ricorrendo a soggetti che forniscono servizi
di tipo infermieristico o amministrativo (espletamento di apposita gara
d’appalto), ovvero attraverso una specifica procedura di
accreditamento dei soggetti erogatori di questi servizi con il SSSR ai
sensi della L.R. 22/2002.
Inoltre potranno essere avviate procedure di
accreditamento anche per l’erogazione di servizi sanitari
dell’assistenza primaria nel suo complesso.
La
gestione della cronicità “complessa ed avanzata”
A fronte della complessità dei bisogni e delle
relazioni e competenze necessarie per garantire la presa in carico della
cronicità complessa ed avanzata, in particolare della
multimorbidità, assume sempre più importanza potenziare il
distretto sotto l’aspetto clinico-assistenziale.
Per questo andranno costituiti team
multiprofessionali “dedicati”, afferenti al distretto, a cui
il paziente verrà assegnato in base al bisogno (ossia
all’intensità di cura e di assistenza) (Figura 9 ). Detti team
dovranno essere dimensionati sulla base della popolazione target (di
riferimento) e saranno composti da specialisti con prevalente competenza
geriatrica/internistica e di cure palliative, dipendenti del SSN, e
infermieri, assistenti sociali ed altri professionisti con legami
funzionali anche con i professionisti che operano all’interno delle
strutture ospedaliere. Verrà comunque informato il Medico di
medicina generale per il tramite del fascicolo sanitario elettronico. Il
MMG può essere parte integrante dei team multiprofessionali e
contribuisce alla definizione e realizzazione del piano di assistenza
individuale.
La presa in carico di pazienti con cronicità
avanzata, che rappresenta l’1% della popolazione (vedi figura apice
della piramide) è gestita preferibilmente dall’Unità di
Cure Palliative, che garantisce l’unitarietà del percorso
integrato di cura, dalle fasi a minor intensità assistenziale
coordinate dal MMG (cure palliative di base), alle fasi con maggior
intensità assistenziale all’approssimarsi della fine della
vita (cure palliative specialistiche). L’Unità di Cure
Palliative, nell’attuazione del piano integrato di cura, ne
garantisce la continuità attraverso il coordinamento della rete
locale di cure palliative, che comporta la gestione delle transizioni, in
collaborazione con la COT, dai setting ospedalieri e territoriali,
privilegiando le cure extraospedaliere, in particolare domiciliari.
L’Unità di Cure Palliative garantisce l’assistenza nei
luoghi dedicati alle cure palliative e fornisce consulenza nei luoghi non
dedicati, quali, Centro Servizi, Ospedale di comunità,
Ospedale.
Il direttore di Distretto deve, pertanto, farsi
garante della presa in carico, promuovendo e monitorando lo sviluppo di
un'organizzazione multi professionale e multi disciplinare dedicata alla
cura ed assistenza delle persone con cronicità complessa,
verificandone le procedure condivise e assicurando la condivisione delle
informazioni anche con i pazienti e le famiglie.
Figura 9 – La presa in carico della
cronicità complessa ed avanzata
Confermando l’obiettivo qualitativamente e
culturalmente rilevante di favorire il mantenimento della persona nel
proprio ambiente di vita e nel proprio domicilio, diventa strategico
favorire uno sviluppo pianificato ed omogeneo delle cure domiciliari su
tutto il territorio regionale, attraverso un’organizzazione che
garantisca la continuità dell’assistenza, consolidando le
esperienze di ammissione e dimissione protetta. Per questo ogni team
dovrà garantire anche l’assistenza al domicilio del paziente,
sia in modo programmato che non. In particolare dovrà essere
garantita la copertura 7 giorni su 7, con una pianificazione degli
accessi domiciliari sviluppata nell’arco dell’intera
settimana. Andrà altresì consolidata la rete delle cure
palliative, anche con la strutturazione dell’attività
ambulatoriale ad integrazione e supporto delle cure domiciliari e
dell’ospedalizzazione al fine di:
- privilegiare
l’accesso alle cure palliative domiciliari e in Hospice, riducendo
il ricorso all’ospedalizzazione;
- intercettare i malati
che necessitano di cure palliative con qualunque patologia;
- garantire la
continuità delle cure nei diversi setting assistenziali.
Si prevede anche l’ulteriore sviluppo delle
cure intermedie in strutture di ricovero intermedie, come Ospedali di
Comunità (ODC), Unità di Riabilitazione Territoriale (URT) e
Hospice dedicate a garantire una risposta a quei pazienti che sono
stabilizzati dal punto di vista medico, che non richiedono assistenza
ospedaliera, ma sono troppo instabili per poter essere trattati in un
regime domiciliare o residenziale e che trattano problemi che si
risolvono in un periodo limitato di tempo che non superiore di norma le
4-6 settimane. Sono strutture sanitarie orientate ad adulti-anziani con
multimorbidità che hanno un elevato rischio di allungamento della
degenza ospedaliera o di un ricovero inappropriato o di una
istituzionalizzazione inappropriata.
In queste strutture, l’esito ed il recupero
funzionale sono l’obiettivo principale dell’intervento
assistenziale sul paziente, che è tipicamente in transizione da un
setting di cura ad un altro (es. ospedale-domicilio). Rispetto
all’ospedale, dove importante è la dimensione
diagnostico/terapeutica, qui è prioritaria la dimensione prognostica
così come l’attenzione alle
conseguenze funzionali della malattia, alla
riduzione della disabilità, alla riattivazione e al miglioramento
della qualità della vita.
L’indice minimo di posti letto delle strutture
intermedie è stabilito nello 0,6 per mille della popolazione over 45
presente nell’Azienda ULSS di appartenenza. Le specificità del
territorio bellunese, del polesine, delle aree montane e lagunari, delle
aree a bassa densità abitativa possono dotarsi di un incremento dei
posti letto delle strutture previste nelle schede territoriali dello 0,2
per mille.
Un ulteriore orientativo 0,6 posti ogni 1000
abitanti di età superiore ai 45 anni è da attribuire a altre
tipologie di strutture intermedie che erogano attività sanitaria
extraospedaliera a carattere temporaneo tra cui le strutture
riabilitative extraospedaliere ( cd ex art 26) e comunità
terapeutiche riabilitative protette di tipo A.
Funzione propria del team è, come
precedentemente detto, il coordinamento dei diversi nodi della rete volti
a dare attuazione a progetti unitari sulla persona. In
quest’ottica, oltre alla rete delle strutture intermedie anche la
rete di offerta ospedaliera è a tutti gli effetti parte integrante
ed attiva nelle fasi di dimissione/ammissione protetta, nonché con
funzione consulenziale e di supporto. È questa la visione di un
ospedale che si apre al territorio, perseguendone i medesimi
obiettivi.
Piano integrato di cura
Per consentire di declinare la presa in carico agli
specifici bisogni della persona, non solo dal punto di vista clinico ma
anche degli effettivi potenziali di sviluppo, dovrà essere definito
un piano integrato di cura condiviso dal team e dal paziente o suo
familiare/caregiver. Detto piano dovrà avere un contenuto minimo di
informazioni tra cui l’esplicitazione delle preferenze e delle
direttive anticipate del paziente, che è attore fondamentale del suo
percorso di cura. Il piano dovrà essere parte integrante del
Fascicolo Sanitario Elettronico e, quindi, consultabile da tutti gli
attori della filiera assistenziale.
Dovrà, infine, essere predisposto un numero
unico attivo H24, dedicato alla ricezione delle istanze di questi
pazienti o dei loro caregiver.
La
gestione delle transizioni
La cronicità complessa ed avanzata richiede
frequentemente la connessione fra i vari ambiti assistenziali e trova
nella Centrale Operativa Territoriale (COT) una risposta operativa in
quanto svolge una funzione di «centrale della continuità»,
garantendo un coordinamento unitario del percorso di cura ed assistenza.
Tale percorso viene definito secondo i criteri della valutazione
multidimensionale, che riconosce nella Unità valutativa
multi-dimensionale (UVMD) un efficace strumento per la pianificazione
dell'assistenza dei malati con maggiore complessità.
Nello specifico la COT rappresenta lo strumento
organizzativo funzionale a tutti gli attori della rete socio-sanitaria
coinvolti nella presa in carico della persona con cronicità
complessa ed avanzata e le sue funzioni fondamentali sono:
- mappare costantemente
le risorse della rete assistenziale;
- coordinare le
transizioni protette (intra ed extra Azienda ULSS), per le quali non
esistono già percorsi strutturati, con la possibilità di
entrare provvisoriamente in modo operativo nel processo, facilitandone
una definizione condivisa;
- raccogliere i bisogni
espressi/inespressi, di carattere sociale/sanitario/socio sanitario,
indipendentemente dal setting assistenziale e trasmettere le informazioni
utili a garantire le transizioni protette;
- garantire la
tracciabilità dei percorsi attivati sui pazienti segnalati, offrendo
trasparenza e supporto nella gestione delle criticità di processo ai
soggetti della rete;
- facilitare la
definizione/revisione di PDTA/procedure/modalità operative
aziendali, anche alla luce delle criticità riscontrate nel corso del
monitoraggio dei percorsi attivi.
Il passaggio da un setting assistenziale ad un altro
dovrà essere gestito in modo omogeneo su tutto il territorio
regionale con procedure formalizzate che definiscano le modalità di
transizione e gli strumenti.
Il
ruolo delle Farmacie
Le Farmacie, presidi del SSN sul territorio, sono
uno dei punti di riferimento per la persona con cronicità e dei suoi
familiari perché rappresenta il più agevole e frequente punto
di accesso.
Le relazioni di prossimità del farmacista e il
suo ruolo professionale gli permettono di instaurare un rapporto di
confidenza con gli utenti abituali e di svolgere una funzione
potenzialmente attiva nell’educazione, informazione e assistenza
personalizzata. In particolare, le farmacie possono conseguire
significativi obiettivi in termine di prevenzione primaria e secondaria
nel rispetto di protocolli condivisi con Distretti, MMG e il PLS, anche
per quel che riguarda l’aderenza ai trattamenti a lungo termine e
la farmacovigilanza.
Il ruolo della farmacia è cambiato con i
decreti ministeriali sulla “farmacia dei servizi”, che hanno
previsto la possibilità di erogare servizi e prestazioni
professionali infermieristiche e/o riabilitative agli assistiti. La
Farmacia dei Servizi può rappresentare, qualora integrata
funzionalmente nella rete assistenziale, il luogo in cui la popolazione
potrà trovare una prima risposta alle proprie domande di salute. Per
garantirla, il nuovo farmacista dovrà acquisire competenze e nuove
attitudini che facilitino il paziente anche nell’accesso alle cure
e alle prestazioni. E’ necessario quindi coinvolgere il farmacista
nei programmi di formazione sulla cronicità e attivare
sperimentazioni sui nuovi modelli di assistenza farmaceutica
In particolare, la farmacia sarà chiamata a
svolgere le seguenti attività, in coordinamento con la rispettiva
Azienda Ulss:
1) prevenzione/individuazione precoce di soggetti a
rischio di sviluppare patologie croniche attraverso:
a. realizzazione di campagne di educazione sanitaria
e promozione di corretti stili di vita;
b. somministrazione di questionari per la
valutazione dei comportamenti salutari e, più in generale, dello
stato di salute della popolazione (es. attività fisica,
alimentazione);
c. screening per la misurazione di parametri di
salute a scopo preventivo (massa corporea, glicemia, pressione arteriosa,
SOF - sangue occulto nelle feci, ecc.)
In tale contesto troverà piena attuazione il
progetto, già avviato in via sperimentale in alcune AULSS del
Veneto, che prevede il servizio Farmacup (per le prenotazioni di
prestazioni sanitarie diagnostiche e visite specialistiche), che
sarà quindi esteso a tutte le farmacie della regione che aderiranno
a tale progetto”.
Allo scopo di garantire la capillarità nella
distribuzione dei farmaci per le patologie croniche, sarà
rafforzata, ove possibile, la modalità di distribuzione per conto,
anche per i farmaci oggi in distribuzione diretta.
In questo modo la farmacia nei prossimi anni
andrà assumendo una nuova identità, trasformandosi da farmacia
in senso tradizionale a Centro polifunzionale improntato alla
Pharmaceutical Care.
Strumenti a
supporto
Il
sistema informativo integrato
Il sistema informativo dovrà essere
reingegnerizzato in concomitanza alla filiera dell’assistenza,
riuscendo a supportare le diverse fasi del percorso assistenziale del
singolo paziente, costituendo la garanzia di integrazione informativa e
di continuità dell’assistenza. Per questo sarà necessario
sviluppare il collegamento in rete tra i team multiprofessionali, le
strutture territoriali ed ospedaliere, mettendo a disposizione dei
professionisti informazioni costantemente aggiornate, utili e necessarie
all’assunzione di decisioni clinico-assistenziali, al fine di
connotare i bisogni e le relative decisioni assistenziali da porre in
essere.
Pertanto dovrà essere sviluppata la Cartella
clinica elettronica in condivisione con le strutture ospedaliere,
visibile dal team multiprofessionale che ha in carico il paziente con
cronicità complessa ed avanzata.
Strumenti di valutazione
Andranno introdotti sistemi di valutazione della
gestione integrata del paziente cronico relativi sia ai processi che agli
esiti, nonché strumenti di rilevazione dell’esperienza di cura
e del grado di coinvolgimento attivo della persona.
La
leva della formazione
In un contesto regionale che si prefigge di
reingegnerizzare ulteriormente il modello organizzativo e
clinico-assistenziale per la presa in carico della cronicità diventa
fondamentale ripensare alla formazione come vera leva del cambiamento,
fondata su obiettivi di salute ed imperniata sulla trasversalità tra
le diverse figure professionali. Per questo è necessario inglobare
momenti impliciti ed espliciti di formazione nei normali processi
organizzativi, diffondendo lo strumento dell’audit. La formazione
dovrebbe affrontare sia contenuti tecnico-clinici, che gestionali
(strategie e programmi aziendali), nonché
organizzativo-assistenziali (percorsi, ambiti di cura appropriati, ecc.),
non nell’ottica di comprimere l’autonomia professionale, ma
come strumenti per lo sviluppo complementare dei profili di
competenza.
Costituiscono, pertanto, obiettivi formativi
prioritari:
- l’approccio
multiprofessionale e lo sviluppo di competenze inerenti alla gestione
dell’assistenza da parte del team;
- il governo delle reti
nei servizi territoriali integrati con la rete ospedaliera, riconoscendo
al distretto un ruolo di facilitatore e promotore di processi
integrati.
Il potenziamento delle competenze
clinico-assistenziali nell’ambito dell’assistenza
primaria.
Il
sistema di analisi dei costi e di tariffazione
Richiamando l’importanza del budget di
distretto quale strumento che combina l’architettura dei centri di
responsabilità e gli obiettivi di budget ad essi correlati, si
individua la necessità di progettare un modello di budget per team
multiprofessionali al fine di avviare un processo di responsabilizzazione
degli stessi sia su obiettivi di salute che anche sotto il profilo della
gestione economica.
Andrà, pertanto, sviluppato un sistema di
tariffazione che consenta di quantificare le risorse utilizzate per la
presa in carico della persona a seconda dei bisogni, misurandone
successivamente il contributo che potrebbe derivare
dall’introduzione del nuovo modello di gestione della
cronicità.
Ciò costituirà il supporto alla
valutazione della sostenibilità economica del modello stesso, fermo
restando che la riduzione del costo per caso trattato non garantisce
necessariamente risparmi finanziari di breve periodo, in quanto
permangono i costi fissi degli ambiti liberati. Ciò non di meno, il
risparmio economico può diventare anche risparmio finanziario
qualora si proceda eliminando le inappropriatezze strutturali, a fronte
di una disponibilità di ambiti alternativi di presa in carico,
similari in efficacia, ma economicamente meno costosi per caso
trattato.
L’analisi della struttura dei costi, la
definizione di un costo medio, l’individuazione di standard di
impiego di risorse, saranno la base per costruire un sistema innovativo
di tariffazione per la presa in carico globale e non per singola
prestazione dei pazienti cronici complessi.
7. LE MALATTIE RARE
|
Parole chiave
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Innovazione, Pazienti senza
diagnosi, Percorsi, Piani integrati di cura, Reti
|
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Obiettivi
strategici
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OS1. Migliorare la
fase diagnostica, limitando la latenza tra comparsa dei sintomi e
diagnosi della malattia
OS2. Migliorare la
qualità della presa in carico integrata del malato raro e
realizzare una assoluta continuità assistenziale nei tempi e
fasi della vita e nei diversi sistemi e luoghi di cura
OS3. Garantire lo
stretto collegamento delle attività di assistenza attuate
dei Centri veneti, parte delle reti europee di riferimento (ERN),
con il restante sistema dei servizi sanitari e la loro coerenza
con la programmazione regionale in materia
OS4. Facilitare il
pieno utilizzo delle capacità e competenze funzionali
raggiunte o mantenute, grazie alla realizzazione di percorsi di
presa in carico coinvolgenti anche diversi contesti di
vita,
|
Circa 35.000 veneti sono
affetti da una malattia rara già attualmente riconosciuta come tale:
uno su tre presenta la malattia clinica già durante l’età
pediatrica, più frequentemente nel corso del primo anno di vita, i
restanti 2 casi presentano i sintomi della patologia in età adulta,
più frequentemente prima dei 40 anni, anche se una quota non
trascurabile si ammala da anziano. Le malattie rare possono interessare
tutti gli organi ed apparati, nella grande maggioranza dei casi hanno una
eziologia genetica, generalmente sono multi sistemiche, di regola
croniche, molto frequentemente disabilitanti, a volte letali anche nel
medio o breve periodo e raramente hanno a disposizione una terapia
eziologica.
Nonostante ciò, una gran parte delle nuove e
onerosissime terapie avanzate ed innovative riguardano malattie rare.
Proprio per tutte queste caratteristiche, le malattie rare impattano
pesantemente in tutto il sistema dei servizi sanitari. I malati rari
infatti presentano un tasso di ricovero superiore di oltre 5 volte
qualsiasi altra condizione cronica, costituisco una quota rilevanti di
coloro che giungono a trapianto, nella gran parte dei casi per i
trapianti pediatrici. Spesso i familiari di malati rari accedono alla
fecondazione medicalmente assistita e di regola alle diagnosi
prenatali.
A causa della frequente e grave disabilità,
essi richiedono riabilitazioni intensive neurologiche e di organo e
lunghe e complesse assistenze domiciliari integrate e/o ricoveri in
strutture residenziali
La complessità e gravità crescente della
loro condizione spinge molti malati rari a cercare continuamente centri
per il loro trattamento, presentando di regola una altissima
mobilità nazionale ed internazionale, tanto che proprio nel tema
delle malattie rare si stanno sperimentando le prime reti europee di
riferimento (ERN), che costituiscono la sperimentazione di politiche
europee di assistenza per grandi capitoli complessi di interesse di
sanità pubblica. In effetti, nonostante la difficile valutazione
diretta di impatto nel consumo delle risorse dei sistemi sanitari dei
diversi paesi, a causa dell’assenza di una chiara codifica delle
malattie rare nei sistemi di classificazione e codifica delle malattie
(ICD) attualmente in uso, alcuni monitoraggi di popolazione attualmente
presenti in Europa, particolarmente quello predisposto e implementato
proprio dalla Regione del Veneto, hanno permesso di calcolare
direttamente alcuni rilevanti indicatori di danno nella salute della
società che le malattie rare determinano, in confronto ad altri
rilevanti gruppi di patologie, da tempo in agenda di tutte le politiche
sanitarie, perché considerate come gravemente impattanti.
Uno degli indicatori più utilizzati a riguardo
è quello degli anni di cita persi (life years lost), che calcola gli
anni di vita perduti rispetto alla teorica attesa in una data popolazione
a causa di una
patologia o un gruppo di patologie. Tale indicatore
è utilizzato per orientare politiche e risorse verso i problemi
globalmente ritenuti più rilevanti, dove il rilievo è dato
dalla combinazione della frequenza delle morti per quella data causa e
dall’età in cui tali decessi avvengono.
Secondo questa visione la morte di una persona
giovane costituisce un danno maggiore per la società rispetto a
quella dei grandi anziani. Calcolando questo indicatore per la Regione
del Veneto, le malattie rare globalmente considerate, sono responsabili
dal 4.2% degli anni di vita perduti, eccedenti di circa 4 volte la
perdita per il complesso delle malattie infettive (1.2%); 2 volte quella
per il diabete mellito (2.6%); solo di poco inferiore a quella per
incidenti (5.7%) e circa il 60% di quella per infarto del miocardio
(8.6%). C’è quindi una distanza molto ampia tra ciò che
viene generalmente ipotizzato e percepito intorno alle malattie rare e
ciò che esse sono realmente. La frammentazione delle conoscenze e la
complessità intrinseca della condizione e conseguentemente dei
bisogni assistenziali dei malati rari, rendono la programmazione delle
reti di assistenza a loro dedicate e molto difficile. L’Italia ha
sviluppato una lunga esperienza a riguardo e il Veneto ha assunto un
ruolo di leader e sperimentatore di soluzioni innovative, alcune delle
quali premiate con risultati oggettivamente positivi.
La rete di assistenza ai malati rari del Veneto
rende stanziali i nostri malati, che complessivamente nel 95% dei casi
sono seguiti sia per la diagnosi che per la presa in carico da centri
ospedalieri veneti, che hanno in questo settore in più anche una
forte capacità attrattiva di malati residenti fuori Regione, tanto
che l’attività a favore di questi malati costituisce oltre il
22% della totale. Per questa ragione la rete di assistenza veneta per i
malati rari già ora si occupa di quasi 40.000 persone. Con
l’applicazione dei nuovi LEA l’elenco delle malattie rare
riconosciute si incrementa notevolmente divenendo sempre più
prossimo all’elenco delle entità nosologiche comprese negli
ORPHA CODE. In questa maniera anche il numero e la tipologia dei malati
rari seguiti cambierà nel corso del 2017, raggiungendo
presuntivamente le 55.000-60.000 persone.
La qualità della rete dei centri per malati
rari veneti è testimoniata anche dal fatto che la quasi
totalità di loro ha avuto la designazione ministeriale per poter
partecipare alla chiamata per la costituzione delle reti di riferimento
europee (ERN) per malati rari, e che in seguito essi sono effettivamente
stati selezionati dalla Commissione Europea come Full Member in una delle
24 ERN, costituendo non solo la Regione italiana con maggiori centri di
valenza europea, ma avendo al proprio interno l’ospedale (Azienda
Ospedale-Università di Padova) con più centri in assoluto tra
tutti gli altri maggiori ospedali europei. Questi centri sono dedicati a
grandi gruppi di patologia e costituiti da una rete di più
Unità Operative che concorrono nella definizione della diagnosi e
nella presa in carico del malato. La rete di assistenza per i malati rari
si basa, oltre che nella rete dei centri selezionati, anche
nell’attività degli ospedali e del territorio più
prossimo al luogo di vita della persona.
Sono infatti proprio questi servizi ospedalieri e
territoriali che garantiscono l’attuazione concreta di quanto
previsto dal piano di presa in carico definito dal centro di riferimento.
Si tratta perciò di mettere in stretto collegamento tra loro due
reti, la prima operante in pochi centri ospedalieri di alta qualità,
super specialistici e lontani mediamente dalla residenza del paziente, la
seconda prossima al luogo di vita, articolata in una componente
ospedaliera e una complessa territoriale; questo collegamento è
garantito da protocolli e percorsi assistenziali.
L’elevatissimo impatto economico di nuove
tecnologie sia diagnostiche sia terapeutiche, molto evidente in questo
campo, comporta una continua sfida di sostenibilità economica e apre
anche un complesso capitolo di sostenibilità etica e sociale.
Il paradigma delle malattie rare
come malattie croniche ad alta complessità
Le malattie rare costituiscono un problema rilevante
e in qualche modo unico in sanità pubblica per le problematiche e le
criticità che esse comportano nel programmare servizi per rispondere
ai bisogni di questi pazienti. Vengono qui elencati alcuni di questi
elementi peculiari:
- la rete di assistenza
entro cui si definiscono i percorsi dei pazienti caratterizzati da 3
attori: l’ospedale di prossimità e le reti territoriali,
analogamente a quanto avviene per le altre malattie croniche, oltre a un
Centro di riferimento, di regola lontano dal luogo di vita, che
solitamente non è presente nelle altre malattie. Questo terzo
elemento induce due problemi principali. Il primo è relazionato al
fatto che i percorsi di presa in carico devono tener conto della
impossibilità per uno stesso centro di interagire secondo un unico
modello organizzativo con aree territoriali-ospedaliere multiple, spesso
insistenti in Regioni diverse e quindi rispondenti a disposizioni
dissimili. Il secondo è dovuto al fatto che il Centro è
abituato tendenzialmente a muoversi secondo una logica che risponde al
modello di malattia, tra l’altro rara e quindi poco o per nulla
nota alla maggior parte dei servizi e dei professionisti, mentre la rete
ospedaliero-territoriale locale è più abituata a muoversi
secondo una logica di bisogno assistenziale. Il percorso che li unisce
quindi deve rispondere a entrambe queste dimensioni e perciò a piani
assistenziali che si caratterizzano per una struttura a matrice piuttosto
che lineare;
- la richiesta di
trattamenti molto specifici e particolari, spesso di difficile
reperibilità e di altissimo costo. A volte tali trattamenti sono
talmente innovativi da essere quasi sperimentali e quindi con nulla o
scarsa esperienza da parte della rete dei servizi e degli ospedali e
spesso poca esperienza persino dal Centro di riferimento che li
prescrive. Anche i trattamenti più consolidati (ad es. dietoterapie
e/o riabilitazione) possono avere una declinazione assolutamente
specifica per il malato raro e completamente lontana dalla pratica
corrente. Ciò implica una duplice difficoltà legata alla
somministrazione ed erogazione a lungo termine del trattamento, che
necessariamente deve coinvolgere le strutture di prossimità e
contemporaneamente al carico economico assunto dall’Azienda ULSS di
residenza su prescrizioni di servizi che essa non controlla;
- il collegamento e la
ricaduta delle attività sanitarie in altre Istituzioni e dimensioni
della società, che non sono sanitarie. La malattia rara spesso
accompagna per tutta la vita la persona e connota di sé tutte le
fasi e gli eventi essenziali del suo vivere. Obbligatoriamente quindi
ricade nella dimensione educativa, lavorativa, della sessualità,
della fertilità, etc. I servizi sanitari sono depositari di una
serie di informazioni e mettono in atto una serie di interventi che
incidono sulla condizione della persona e conseguentemente ricadono sulle
altre dimensioni della sua vita. Esiste una frattura rilevante tra le
azioni della sfera sanitaria e quella delle altre sfere sociale, della
scuola, del lavoro, etc. per cui quest’ultime assumono decisioni
senza conoscere e tener conto di ciò che si sa e si è fatto
nella sfera sanitaria, producendo ricadute negative sull’individuo
e anche sugli stessi servizi sanitari. La necessità di coprire
queste fratture può essere affrontata solo attraverso percorsi di
presa in carico integrati, che ancora una volta connotano in modo
specifico l’azione per le malattie rare rispetto a quello di altre
patologie croniche;
- il coinvolgimento
delle famiglie nei progetti di presa in carico, che di regola è
molto lungo, anche numerosi decenni, intenso e pervasivo, così come
difficilmente avviene per altre patologie croniche;
- il peso della malattia
genetica, che coinvolge l’intera famiglia allargata, ascendenti e
discendenti, ipotecando le prossime future generazioni. Ciò rende
particolarmente sensibile e aggredibile questo sottogruppo di popolazione
alle ipotesi di nuove tecnologie di diagnostica e al loro utilizzo
immediato, anche prima di una effettiva conoscenza degli effetti della
loro implementazione assistenziale. Analoga considerazione può
essere espressa per quanto riguarda le terapie innovative;
- la mobilità dei
pazienti e la loro continua ricerca di luoghi alternativi di cura e di
soluzioni spesso non comprovate da fondate evidenze scientifiche.
Le prospettive di
Piano
Nonostante i buoni risultati del sistema finora
implementato molte azioni devono ancora essere intraprese, al fine di
rafforzare gli aspetti di qualità del sistema in atto, coprire le
carenze evidenziatesi nel tempo ed infine rispondere alle nuove
opportunità e ai nuovi obblighi derivanti dalle evoluzioni di
contesto europeo e nazionale e dalle recenti nuove normative. Le
principali criticità da affrontare, che corrispondono a obiettivi
strategici di Piano, sono le seguenti:
- aumentare la
precocità e capacità diagnostica, migliorando il sistema
ospedaliero e territoriale di riferimento, le competenze dei centri per
malattie rare, la possibilità di una rivisitazione costante delle
diagnosi già poste in base all’evoluzione tecnologica e di
conoscenza sul tema, l’integrazione del profilo di danno evolutivo
e di potenzialità della persona alla diagnosi di malattia;
- garantire una reale
presa in carico del malato raro, che comporta un lavoro integrato e
coerente tra tutte le componenti della rete con continuità assoluta
per lunghi tempi, in diverse fasi della vita e in diversi sistemi e
luoghi di cura;
- accompagnare la
transizione tra sistema di cure per il bambino e quello per
l’adulto;
- migliorare il legame
tra i centri di alta specializzazione, presenti nel territorio regionale,
e i servizi e professionisti operanti nelle altre strutture ospedaliere e
di cure primarie, mantenendo la priorità delle scelte che
determinino una reale e consistente ricaduta clinica sul paziente e
rispettando le necessità di sostenibilità del sistema;
- mitigare
l’impatto sulla famiglia, che piani e percorsi di presa in carico
particolarmente lunghi e onerosi determinano, spesso deteriorando lo
stato di salute degli altri familiari, specie quelli più fragili,
favorire l’empowerment del paziente e considerare la sua esperienza
di vita di malattia come fonte essenziale da considerare
nell’assumere decisioni non solo cliniche, ma anche
organizzative;
- favorire
l’innovazione diagnostica e di trattamento, mantenendo comunque
forte il controllo sulla appropriatezza e sull’esito del suo
utilizzo;
- implementare sistemi
classificatori che permettano il riconoscimento delle malattie rare
all’interno dei flussi informativi sanitari correnti, per valutare
più appropriatamente la quantità e tipologia dei casi, il loro
impatto sulla salute della popolazione, la ricaduta sul sistema sanitario
e sulle sue risorse ed infine gli esiti a lungo termine delle azioni
intraprese;
- attivare, al fine di
migliorare la diagnosi precoce della Sclerosi Multipla, un protocollo che
preveda che al paziente che si sottopone a risonanza magnetica venga
effettuata contestualmente un’indagine diagnostica finalizzata
all’individuazione della SM, avvalendosi, per gli esiti, del Centro
regionale di riferimento.
-
Al fine di migliorare la fase diagnostica, limitando
la latenza tra comparsa dei sintomi e diagnosi della malattia, riducendo
il numero di pazienti senza diagnosi, e definendo al meglio le diagnosi
cliniche sia dal punto di vista genetico, quando possibile, che da quello
funzionale, sono stati previste le seguenti azioni che si riferiscono a
diversi obiettivi operativi.
Il primo riguarda il miglioramento delle performance
del sistema di riferimento, costituito sia della rete di cure primarie e
la medicina generale in particolare, sia da quella ospedaliera. La
formazione e l’aggiornamento dei professionisti, il loro diretto
coinvolgimento anche nelle prese in carico dei pazienti, la realizzazione
ed implementazione di strumenti di orientamento e di percorsi che si
attivino nel sospetto diagnostico, il monitoraggio della performance di
questo sistema di reclutamento ed invio ed infine il rafforzamento della
partnership con le associazione d’utenza e delle azioni di
informazione e orientamento del Coordinamento Regionale Malattie Rare e
della help-line europea in esso operante, sono gli interventi più
rilevanti attraverso i quali si intende raggiungere il primo obiettivo
operativo.
Il secondo obiettivo operativo riguarda la
capacità diagnostica dei centri di riferimento, che va monitorata
come indicatore essenziale per la conferma del loro ruolo. In
particolare, andranno valutate, a partire dalle cartelle dei pazienti
parte del sistema informativo per le malattie rare, la frequenza di
completa definizione diagnostica, sia per quanto attiene gli aspetti di
diagnosi genetica, quando prevista e utile, sia per quanto riguarda
quelli di profilatura del danno evolutivo.
L’accesso alle nuove tecnologie di indagine
genetica, in caso di sospetta malattia rara, sarà considerata parte
dell’attività di diagnostica dei Centri di riferimento,
permettendo l’utilizzo delle tecnologie innovative consentite dai
nuovi LEA primariamente in relazione ai geni causativi noti in funzione
del sospetto clinico diagnostico.
Il secondo obiettivo strategico è migliorare la
qualità della presa in carico integrata del malato raro e realizzare
una assoluta continuità assistenziale nei tempi e fasi della vita e
nei diversi sistemi e luoghi di cura.
Gli obiettivi operativi riguardano la
sperimentazione di una piattaforma o piastra per le malattie rare negli
ospedali dove insistono i Centri di riferimento full member delle reti
ERN. Tale piattaforma è un luogo fisico dove, con rotazione a
scadenza temporale definita, i professionisti delle Unità Operative
parte del Centro sono copresenti per svolgere le attività di
diagnostica e trattamento necessarie, in base alle condizioni cliniche
del malato, affiancati, quando utile, anche dalle principali associazioni
d’utenza attive per le patologie di cui il Centro si occupa.
Il budget dei Centri di rifermento sarà basato
sulla valutazione del percorso del paziente anziché sul computo
delle prestazioni delle singole Unità Operative. Il lavoro congiunto
multidisciplinare sarà garantito dall’uso mandatorio del piano
terapeutico e della cartella clinica del sistema informativo Malattie
Rare regionale, accessibile in tempo reale da tutti i professionisti che
concorrono alla presa in carico del malato, attraverso la diretta
attivazione dei percorsi di cura.
Proprio la definizione e l’attivazione dei
percorsi di cura e presa in carico del malato raro, che permettano la
completa realizzazione di quanto predisposto dal centro di riferimento
nei luoghi appropriati e più vicini possibile alla residenza del
soggetto, costituisce il secondo elemento operativo. Esso si
realizzerà con i seguenti interventi. Si definiranno anzitutto i
contenuti dei percorsi di cura e presa in carico per ciascun ambito
relativamente omogeneo di patologie da parte di gruppi di lavoro composti
dai professionisti dei Centri di riferimento e degli altri principali
servizi coinvolti, dalla rappresentanza dei pazienti e dai Servizi
regionali competenti, coordinati dal Coordinamento Malattie Rare del
Veneto. La scelta dei momenti clinici, delle prestazioni da erogare, del
tipo di servizio e delle modalità di realizzazione delle prestazioni
dipenderà delle
evidenze scientifiche, dall’esperienza dei
Centri di riferimento e dalla reali disponibilità presenti in
Regione. Verrà calcolato anche l’eventuale impatto sul sistema
sanitario che l’implementazione del nuovo percorso potrà
comportare.
In seguito si renderà formale il percorso
definito precedentemente con Atto regionale e implementato nel sistema
informativo delle malattie rare per la sua gestione, a partire dalle
informazioni della condizione clinica del paziente presente nello stesso
sistema informativo.
Verranno infine formati i professionisti coinvolti
nella presa in carico dei pazienti operanti negli ospedali e nei servizi
territoriali e regionali.
Per rafforzare ancora di più le reti tra i
Centri e tra essi e i restanti dei servizi si intende realizzare appieno
quanto previsto dall’Accordo tra governo e Regioni e PP.AA. di
Trento e di Bolzano in tema di “teleconsulenza” al fine di
potenziare le reti regionali per malattie rare”, sperimentando e
portando a regime le prestazioni di e-health definite nel suddetto
Accordo, a partire dai Centri di riferimento già organizzati a
piattaforma malattie rare, perfezionando in termini applicativi gli
aspetti riguardanti la responsabilità professionale e il consenso
informato del paziente in modo omogeneo e standard in tutta la Regione e
sperimentando la relativa valorizzazione tariffaria.
Uno degli indiscutibili successi della rete dei
Centri veneti di riferimento per le malattie rare è la sua
partecipazione molto numerosa alle reti europee ERN. Al fine di garantire
l’impatto positivo di tale partecipazione nella concreta presa in
carico di malati rari, è indispensabile mantenere e potenziare lo
stretto collegamento delle attività di assistenza di tali centri
veneti con il restante sistema dei servizi sanitari e la coerenza delle
azioni di diagnostica e trattamento intraprese con la programmazione
regionale in materia.
Pertanto si intende svolgere azioni di supporto,
secondo le seguenti direzioni:
- rendere omogenei gli
strumenti indirizzo, monitoraggio e valutazione delle attività
assistenziali prodotte dai Centri di riferimento e conseguentemente dalla
rete assistenziale rendendo omogenei gli strumenti e le modalità
organizzative dei Centri di riferimento parte delle ERN; anche se
operanti in ospedali regionali differenti, monitorare tale processo da
parte del Coordinamento regionale malattie rare;
- supportare i Centri
regionali di riferimento parte delle ERN per la corretta attuazione dei
percorsi di presa in carico dei malati, specialmente nella fase di
dimissione protetta e per l’interazione con i servizi ospedalieri e
territoriali nelle criticità di gestione dei casi, attraverso
l’azione del Coordinamento regionale malattie rare;
- utilizzare in modo
condiviso il sistema informativo per le malattie rare per la raccolta dei
dati clinici dei pazienti, utili per orientare le fasi di presa in carico
e per valutare l’efficacia del percorso di cura specie in caso di
terapie avanzate e innovative;
- monitorare, a partire
dalla banca-dati del sistema informativo malattie rare,
l’attività svolta dai Centri di riferimento, al fine di
valutare costantemente la loro capacità diagnostica e di presa in
carico del malato raro, elementi essenziali per la conferma del loro
ruolo.
La precocità della diagnosi,
l’appropriatezza del piano di presa in carico e l’attivazione
dei percorsi di cura sono tutti macrostrumenti funzionali al
raggiungimento e al mantenimento della massima qualità di
sopravvivenza e quindi all’utilizzo delle capacità e delle
competenze funzionali raggiunte e e/o mantenute, al controllo dei
sintomi, al supporto alle famiglie e in ultima istanza, al godimento di
tutti i vantaggi in salute determinati dall’azione sanitaria in
tutti i contesti e dimensioni di vita del malato raro e in tutte le fasi
di malattia.
Una volta ottenuto un profilo di danno e
potenzialità per ciascun individuo è necessario che esso sia
tradotto in conoscenza spendibile da altre Istituzioni a supporto delle
decisioni che esse prenderanno per permettere il godimento di benefici
economici, dell’inserimento scolastico e lavorativo, ecc.
La continuità della presa in carico deve essere
garantita per tutte le fasi della malattia, compresa anche la fase
terminale. Essa può comprendere un intervallo temporale anche
relativamente lungo ed è indispensabile che durante questa fase
della vita ci sia un adeguato collegamento con le reti di cure
palliative.
Un altro obiettivo operativo, il cui raggiungimento
connota parte della qualità della presa in carico, riguarda
l’attenzione alla quantità e durata del coinvolgimento delle
famiglie nei piani di presa in carico del malato, prevedendo in casi
particolari anche la possibilità di intervalli di sollievo.
8. LA SALUTE
MENTALE
|
Parole chiave
|
Multiprofessionalità,
Presa in carico, Personalizzazione, Rete, Standard
|
|
Obiettivi
strategici
|
La salute
mentale
OS1. Sviluppare la
Rete integrata dei servizi secondo il modello di psichiatria di
comunità nel contesto dell’organizzazione
dipartimentale
OS2. Consolidare ed
ottimizzare il sistema di offerta dipartimentale OS3. Promuovere
la presa in carico assertiva dell’utenza
OS4. Promuovere il
benessere psico-fisico del paziente
OS5. Sviluppare la
prevenzione nelle fasce di popolazione più giovane.
OS6. Promuovere
l’informatizzazione dei dati clinici per aumentare la
condivisione e l’utilizzo degli stessi OS7. Integrare il
paziente autore di reato all’interno del Dipartimento di
salute mentale
La salute mentale
nei minori
OS8. Sviluppare la
Rete integrata dei servizi
OS9. Sviluppare un
modello per la gestione di percorsi terapeutico-assistenziali
OS10. Promuovere la presa in carico
|
8.1 LA
SALUTE MENTALE NEGLI ADULTI
La salute e il benessere mentale sono fondamentali
per la qualità della vita e la produttività degli individui,
delle famiglie e delle comunità: non c’è salute senza
salute mentale (Dichiarazione sulla Salute mentale per l’Europa,
2005).
La prevalenza annuale dei disturbi mentali nella
popolazione generale italiana è dell’8% circa (Ministero della
Salute). Nel corso degli anni si è rilevato un incremento
significativo della domanda di interventi psichiatrici, collegati ad una
evoluzione qualitativa e quantitativa della patologia psichiatrica. Poco
meno di 800.000 persone hanno avuto accesso ai Dipartimenti di salute
mentale italiani nel corso del 2015 (Rapporto salute mentale 2016 -
Ministero della Salute).
In Veneto nel corso del 2016 hanno avuto accesso ai
Dipartimenti di salute mentale più di 71.000 persone e sono stati
erogati circa 800.000 interventi tra ospedalieri e territoriali.
La disabilità provocata dalle malattie mentali
e i relativi costi rappresentano circa il doppio della disabilità e
dei costi dovuti a tutte le forme di cancro e sono comunque maggiori
della disabilità e dei costi delle malattie cardiovascolari
(indicatore Disability-adjusted life year - OMS).
Le persone con disturbi mentali sperimentano tassi
di disabilità e di mortalità notevolmente più elevati
rispetto alla media. Per esempio, le persone con depressione maggiore e
schizofrenia hanno una possibilità del 40-60% maggiore rispetto al
resto della popolazione di morte prematura, a causa di problemi di salute
fisica, che spesso non vengono affrontati, e di suicidio;
quest’ultimo è la seconda causa di mortalità nei giovani
su scala mondiale (Piano d’azione per la salute mentale 2013-2020 -
WHO)
Nel 2006, nei 27 stati membri dell’Unione
europea, 59 mila persone sono morte per suicidio, una cifra superiore a
quella dei decessi per incidente stradale, che nello stesso anno sono
stati 50 mila.
La tutela della salute mentale è una delle aree
più complesse, che richiede una forte integrazione fra “area
delle cure sanitarie” e “area degli interventi
socio-relazionali”.
Il modello operativo adottato per la prevenzione e
cura della patologia psichiatrica è quello dell’organizzazione
dipartimentale, sviluppato in una rete integrata di servizi afferenti a
più unità
operative, secondo una logica di psichiatria di
comunità. Questo piano conferma integralmente il modello e
l’organizzazione delle strutture afferenti alla salute mentale,
così come definite nel precedente PSSR.
Si tratta di una rete articolata che, sotto la regia
dipartimentale, deve operare mediante il metodo del Progetto Terapeutico
Riabilitativo Individualizzato, condiviso con gli altri servizi del
territorio, a partire dalla medicina generale e, per i casi complessi,
definito in UVMD: questa modalità consente di implementare la
integrazione del Dipartimento di Salute Mentale (DSM) nel Distretto, pur
salvaguardandone l’autonomia tecnico-organizzativa e la natura
transmurale. Pertanto, il coordinamento e l’integrazione delle
diverse strutture che concorrono sul territorio, siano esse pubbliche o
private accreditate, ordinarie o dedicate, spettano alla direzione
dipartimentale che deve gestire tale ruolo in maniera strategica ed
assertiva tale da soddisfare le esigenze di cura e riabilitazione
dell’utenza. Ciò è reso possibile da un’attenta ed
adeguata pianificazione e programmazione delle risorse relativamente alle
esigenze dell’utenza, come espressamente previsto nei piani locali,
in conformità agli standard regionali previsti.
La programmazione regionale relativa alla salute
mentale deve essere soddisfatta dal servizio pubblico o dal privato
accreditato, laddove necessario, e deve basarsi sulle necessità
dell’utenza in carico relativamente al bacino di riferimento anche
in relazione ai bisogni emergenti e della necessaria trasversalità
con le aree di confine (dipendenze, minori, disabilità, anziani),
ivi comprese le necessità dei gruppi vulnerabili senza
discriminazione né di genere, né di razza.
Per quanto concerne la cronicità e la gestione
della disabilità residua relativa, si osserva che è solo
parzialmente risolta la questione dei pazienti di derivazione
manicomiale. La complessità e la multifattorialità del paziente
cronico sono tali per cui per cui le risposte, anche residenziali e di
carattere estensivo, vanno articolate secondo una visione più ampia
con il coinvolgimento e l’integrazione dei servizi del distretto
competenti.
Inoltre, deve essere previsto un sistema di offerta
dedicato per patologie che presentano aspetti peculiari in cui è
richiesta una multi-professionalità non afferente
all’ordinario contesto psichiatrico, come ad esempio nei casi di
disturbi alimentari.
Si ribadisce la centralità del paziente ed il
coinvolgimento attivo dell’utente e della famiglia nella
partecipazione al progetto terapeutico, privilegiando il lavoro sulle
risorse della persona rispetto alle terapie farmacologiche e al
contenimento. Altrettanto importanti sono il sostegno ed il raccordo
della rete informale con la rete formale per garantire al paziente una
risposta flessibile e continuativa: va pertanto incentivata la
collaborazione con le Associazioni di volontariato e il privato sociale,
favorendo e consolidando nel territorio la presenza di reti informali
caratterizzate dall’insieme delle relazioni (familiari, parentali,
amicali, di vicinato, di auto-mutuo-aiuto).
A fronte della condivisione nel territorio regionale
del modello articolato di servizi e delle azioni strategiche, permane un
utilizzo non del tutto omogeneo delle risorse. E' essenziale proseguire
nella costruzione di cornici e percorsi organizzativi condivisi,
approfondendo l'utilizzo delle risorse nei vari DSM e interfacciando
l’analisi dei costi con la tipologia qualitativa/quantitativa della
domanda e le caratteristiche ed i risultati delle risposte offerte. Nel
rispetto delle specificità di ogni territorio e della pluralità
dei modelli di intervento, è necessario sviluppare modelli omogenei
di provata efficacia relativi alla promozione della salute, alla
prevenzione, alla presa in carico, ai percorsi terapeutici e
riabilitativi, permettendo una piena individuazione delle risorse
necessarie ed una adeguata razionalizzazione dei costi. Allo scopo si
prevede che le Aziende ULSS, nell’arco di vigenza del presente
PSSR, assegnino fino al 5% del proprio budget, così come definito
nel documento approvato dalla conferenza dei presidenti delle Regioni nel
2001, al conseguimento dei predetti obiettivi di salute mentale.
Le risorse umane e strumentali dovranno essere
standardizzate ed omogeneamente distribuite. In particolare, dovrà
essere fatto riferimento alla definizione di appropriati PDTA che
consentano adeguata valutazione degli esiti di cura, sia ospedalieri che
territoriali.
Particolare rilievo va dato sia alla valutazione
della qualità del servizio, così come percepito
dall’utente, che alla valutazione della qualità del clima
organizzativo, così come percepito dagli stessi operatori. Si
sottolinea, inoltre, la necessità dell’implementazione
dell’informatizzazione dei sistemi di archiviazione e condivisione
dei dati clinici, favorendo in particolare l’adozione di
applicativi omogenei tra i diversi DSM.
Va infine tenuto debito conto dell’evoluzione
del processo di dismissione degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari (OPG),
avviato con il DPCM 1° aprile 2008, determinato dalla Legge 30
maggio 2014, n. 81 "Disposizioni urgenti in materia di superamento degli
OPG”. Le novità introdotte dalla Legge 81/2014 richiedono un
aggiornamento delle procedure interne alla rete regionale dei DSM e delle
collaborazioni inter-istituzionali, in particolare con
l’amministrazione penitenziaria e la magistratura di cognizione e
di sorveglianza, nella presa in carico dei pazienti psichiatrici autori
di reato.
In questo quadro generale, vengono individuate i
seguenti obiettivi:
- consolidare la rete
dei servizi della salute mentale, qualificando le prestazioni
sull’evoluzione delle domande e prevedendo l’implementazione
di nuovi modelli di erogazione dell’offerta e modelli innovativi di
intervento per le patologie emergenti;
- promuovere la presa in
carico assertiva dell’utenza, in un’ottica di psichiatria di
comunità, valorizzando il modello del case management;
- sviluppare la
multiprofessionalità;
- prevedere adeguati
percorsi di cura e riabilitazione per i diversi quadri psicopatologici:
definizione dei PDTA;
- definire programmi di
sostegno alle famiglie con pazienti psichiatrici, attraverso
un’assistenza domiciliare finalizzata anche ad aumentare le
capacità di cura della famiglia;
- promuovere politiche
per la prevenzione del suicidio;
- promuovere la salute
fisica del paziente psichiatrico;
- garantire il
prioritario intervento sull’età giovanile (15-29 anni), stante
il consistente incremento delle prese in carico per tale fascia di
età;
- consolidare e
qualificare la rete residenziale e semiresidenziale, a gestione diretta o
esternalizzata, secondo adeguata pianificazione e gli standard
previsti;
- sostenere esperienze
innovative di residenzialità leggera adeguatamente monitorate
nell’ambito dei piani attuativi locali;
- promuovere
l’utilizzo della Evidence Based Medicine (EBM) e delle evidenze
scientifiche dei trattamenti appropriati nelle varie patologie
psichiatriche;
- rafforzare la
collaborazione con la medicina generale nella costruzione di percorsi di
screening, diagnosi precoce e presa in carico condivisa;
- consolidare il
rapporto di collaborazione e condivisione di progettualità
specifiche con gli Enti locali, l’associazionismo ed il
volontariato;
- promuovere interventi
di contrasto allo stigma nelle sue varie forme di espressione con
l’obiettivo di favorire una visione “normalizzata”
delle persone con disturbi mentali, valorizzare la diversità, agire
come strumento di inclusione e prevenzione, e sperimentare strumenti
nuovi di interazione, dialogo e conoscenza;
- promuovere interventi
terapeutico-riabilitativi che facilitino il percorso di recupero delle
abilità individuali-relazionali-lavorative dei soggetti più
deboli al fine di un processo di riacquisizione dell’autonomia
personale, sociale e lavorativa;
- Relativamente agli
ambiti della residenzialità e dell’inserimento lavorativo
è opportuno sperimentare modalità di valutazione standardizzate
dei bisogni individuali che, una volta condivisi in sede di UVMD, possono
trovare una risposta flessibile grazie a progetti terapeutici
riabilitativi individualizzati per l’integrazione socio-sanitaria
con programmi differenziati per intensità, complessità e durata
dei trattamenti terapeutico-riabilitativi e socio-riabilitativi, anche
attraverso la valorizzazione delle risorse individuali, familiari,
sociali e sanitarie;
- rendere prioritario,
all’interno dei percorsi terapeutico-riabilitativi,
l’obiettivo dell’inserimento lavorativo facilitando la
collaborazione tra i diversi soggetti che a vari livelli si occupano di
inserimento lavorativo di utenti con disturbi psichiatrici;
- incentivare
l’utilizzo della comunicazione mediante strumenti di “social
media” al fine di favorire la prevenzione nelle fasce di
popolazione più giovane;
- promuovere
l’informatizzazione dell’archiviazione dei dati clinici per
aumentare la possibilità di condivisione ed utilizzo degli stessi,
in particolare implementando l’utilizzo di applicativi omogenei
nelle diverse Aziende ULSS;
- promuovere una forte
integrazione tra DSM e Dipartimento per le Dipendenze, in particolare al
fine di favorire percorsi di cura integrati per i pazienti in doppia
diagnosi;
- sviluppare linee guida
regionali e/o protocolli di collaborazione tra salute mentale ed i
servizi di neuropsichiatria infantile, di psicologia clinica, ospedaliera
e territoriale, finalizzati ad una migliore assistenza ed alla necessaria
continuità di cure dei minori/adolescenti con problemi
psicopatologici;
- implementare percorsi
innovativi di tele-medicina;
- rendere omogeneo
l’approccio diagnostico e i relativi strumenti di assessment da
utilizzare nei diversi setting di cura;
- sviluppare e
implementare la rete dei servizi di cura per i detenuti psichiatrici
riconosciuti, adulti e minori, in collaborazione e condivisione con
l’amministrazione penitenziaria e la magistratura di cognizione e
di sorveglianza.
I risultati attesi a seguito del raggiungimento
degli obiettivi sopra descritti sono i seguenti:
- elaborazione di linee
guida e protocolli di collaborazione ed integrazione;
- definizione dei
fabbisogni e delle risorse relative alla programmazione dei DSM, anche
attraverso piani di assunzione di personale qualificato;
- aumento
dell’attrattività e dell’appropriatezza della presa in
carico dei DSM;
- diminuzione del tasso
di suicidio;
- definizione di aree e
modelli di intervento strutturati ed integrati per la risposta più
appropriata ai bisogni trasversali;
- miglioramento dei
tassi di interventi precoci e della prognosi delle patologie più
gravi.
8.2. LA SALUTE MENTALE NEI
MINORI
L’accesso ai servizi per i disturbi
neuropsichici dell’età evolutiva è in aumento in tutto il
mondo, e lo stesso avviene in Italia. Nelle regioni che hanno strutturato
un sistema di servizi di neuropsichiatria infantile (NPI),
l’aumento della prevalenza trattata è mediamente del 6-7%
annuo, con un aumento complessivo intorno al 40-45 % negli ultimi 6-8
anni. Anche in Veneto i servizi dedicati hanno trattato circa 60.000
utenti ogni anno con una prevalenza di circa 700 assistiti per 10.000
residenti di età inferiore a 18 anni.
La neuropsichiatria infantile si pone come servizio
deputato ad accogliere i bisogni sanitari dei minori, assumendo la
responsabilità di gestirne i percorsi di accesso, la valutazione, la
formulazione del Progetto Quadro, la stesura del progetto terapeutico
riabilitativo individualizzato (PTRI) e la realizzazione dei processi
terapeutici nei casi meno complessi e direttamente attuabili. La NPI
mantiene la presa in carico sanitaria all’interno delle reti
collaborative più complesse, ove sia necessario erogare un percorso
di cura che richieda un modello assistenziale integrato, anche tra
ospedale e territorio, nell’ambito di una rete specialistica
dedicata.
In tale contesto sono individuate nelle strutture
ospedaliere di tipo hub apposite UOC di neuropsichiatria
infantile.
Il modello di riferimento deve consentire la
gestione di percorsi terapeutico-assistenziali di quadri molto eterogenei
come, ad esempio, i disturbi dello spettro autistico, gli esordi
psicotici precoci, i disturbi alimentari, il bullismo e i disturbi del
neurosviluppo. È necessario rafforzare il concetto di presa in
carico nel contesto delle reti di integrazione intra- ed
extradistrettuali e la stretta collaborazione all’interno del
coordinamento svolto da altre agenzie, segnatamente dalle UO distrettuali
competenti con personale (sociale e sanitario) previsto nella dotazione
organica delle Aziende Ulss, ai fini di una maggiore stabilità del
servizio e qualità della continuità assistenziale. Nel caso di
patologie di particolare impatto o che necessitino di specifici percorsi
di integrazione e continuità vanno definite reti dedicate così
come strutture, anche residenziali e semi-residenziali, con coordinamento
condiviso. Per l’accoglienza dei giovanissimi durante le
manifestazioni acute andranno implementate unità d’offerta che
si pongano come luoghi intermedi fra i servizi pediatrici e la
psichiatria così da poter venire incontro ai loro bisogni con
particolare riguardo al benessere ed umanizzazione delle cure e della
presa in carico.
Bisogna prevedere ed implementare il necessario
raccordo con le figure dei MMG e dei PLS, per la costruzione di percorsi
integrati per la presa in carico da parte di queste figure professionali
delle situazioni cliniche meno problematiche. In particolare, le risposte
alla psicopatologia dell’adolescenza richiedono una forte
integrazione con competenze presenti nei Dipartimenti di salute mentale
(DSM) e nei Dipartimenti per le dipendenze (DD), nonché un forte
collegamento con professionisti ed agenzie (PLS, MMG, insegnanti,
consultori, servizi sociale etc.) che si rapportano con gli adolescenti e
devono acquisire le competenze di base per identificare precocemente
l’insorgenza di disturbi potenzialmente gravi avviando interventi
tanto più efficaci quanto più tempestivi. In questo ambito
specifico risultano fondamentali la presa in carico e la governance
sanitaria per la definizione dei percorsi di cura più appropriati,
sia in termini territoriali con attività ambulatoriali e/o
domiciliari in stretto raccordo che residenziali e/o semiresidenziali ove
necessario.
Vanno pertanto sostenuti e potenziati:
- la presa in carico
continuativa dei disturbi psicopatologici dell’età evolutiva,
che comprende le prestazioni diagnostiche, l’attuazione
terapeutica, il supporto riabilitativo,
l’indicazione educativa; la presa in carico
include in modo indispensabile e inderogabile la famiglia e i suoi
contesti di vita;
- il ricorso
all’Unità di Valutazione Multi Dimensionale (UVMD) nei casi
complessi, prevedendo l’individuazione del referente del caso che
favorisca una maggiore efficacia dei PTRI;
- la rete dei servizi
ospedalieri ed extra-ospedalieri (residenziali e semiresidenziali) a
favore dei soggetti in età evolutiva affetti da disturbi
psicopatologici, ivi inclusi i minori con provvedimento
dell’Autorità giudiziaria;
- le modalità di
transizione verso i servizi dell’età adulta laddove
necessario;
- lo sviluppo e la
sperimentazione di un sistema e di un flusso informativo regionale in
grado di registrare l’utenza e l’attività, nelle more
della definizione a livello nazionale del sistema e flusso informativo in
questo settore.
Vanno definiti ed applicati adeguati PDTA con
indicatori di valutazione degli esiti di cura sia ospedalieri che
territoriali, anche in riferimento alle risorse umane e strumentali
utilizzate.
9. L’INTEGRAZIONE SOCIO-SANITARIA
|
Parole chiave
|
Monitoraggio del bisogno
Ricomposizione e focalizzazione delle risorse Sussidiarietà
Welfare di iniziativa Welfare di comunità Integrazione
socio- sanitaria Sinergia Inclusione Integrazione
|
|
Obiettivi
strategici
|
OS1. Conoscere di ogni
persona le patologie, la condizione sociale e reddituale OS2.
Ricomporre le risorse per la Long Term Care
OS3. Welfare di
iniziativa: assegnare servizi non solo a chi chiede ma anche a
chi ha il bisogno e non riesce ad esprimerlo OS4. Unificare la
rete dei produttori pubblici per Distretto
OS5. Rivedere gli
interventi assistenziali affinché abbiano una consistenza
più mirata (es. ICD)
OS6. Riorganizzare i
servizi delle dipendenze adeguando il numero e la tipologia degli
stessi con una prospettiva di qualità ed appropriatezza del
servizio offerto
OS7. Rafforzare
l’adozione del “programma terapeutico
individualizzato” nell’ottica di offrire prestazioni
appropriate e necessarie
OS8. Favorire
l’integrazione fra pubblico e privato nella presa in carico
della persona tossico/alcoldipendente e/o con Disturbi da Gioco
d’Azzardo
OS9. Promuovere la
centralità della famiglia nelle dinamiche sociali,
economiche, culturali
OS10. Assicurare,
garantire e promuovere la protezione e cura a favore dei minori e
delle famiglie in difficoltà OS11. Promuovere, sostenere e
qualificare i servizi educativi per la prima infanzia
OS12. Contrastare la
povertà e la grave marginalità attraverso la promozione
di una governance integrata tra i diversi settori regionali
(lavoro, formazione sociale, salute ...) e i livelli
istituzionali del territorio
OS13. Favorire
l’inclusione sociale delle persone senza dimora e delle
famiglie in condizioni di fragilità socio-economica e di
disagio abitativo nonché la riabilitazione delle persone
detenute e in esecuzione penale esterna
OS14. Contribuire alla
tutela alla salute e all’assistenza socio-sanitaria delle
persone affette da demenza e a rischio demenza e ridurre
l’incidenza del rischio di demenza
OS15. Supportare il
caregiver e la famiglia e favorire la creazione di comunità
accoglienti
|
La centralità della persona e la considerazione
dei suoi bisogni secondo un approccio di presa in carico globale e la
conseguente organizzazione coordinata e unitaria della risposta
assistenziale mediante l’integrazione socio-sanitaria costituisce
la cifra qualificante il modello Veneto nell’ambito delle politiche
per la salute. Le dinamiche di contesto impongono, peraltro, continui
interventi di aggiornamento e specificazioni del modello per mantenerlo e
renderlo sempre più aderente alle istanze dei singoli e della
popolazione e al passo con le evidenze provenienti dal mondo scientifico
e da numerose esperienze internazionali relative ai progressi nelle
tecniche e nei paradigmi per l’assistenza continuativa e di lunga
durata.
Nell’attuale fase congiunturale, si ritiene,
pertanto, che debba essere dato un nuovo impulso alle performance di
sistema muovendo lungo due direttrici interconnesse. Da un lato,
attraverso l’implementazione di processi volti a rafforzare i
meccanismi operativi per il coordinamento delle reti costituite dai vari
soggetti agenti lungo tutta la filiera assistenziale, secondo obiettivi
di razionalizzazione e di ottimizzazione delle sinergie possibili.
Dall’altro, concepire tali processi in coerenza con i principi di
autodeterminazione e inclusione nell’obiettivo di conseguire il
massimo guadagno nei livelli di qualità di vita delle persone con
limitazioni.
L’innovazione del modello nella linea
indicata, pur essendo indispensabile e irrinunciabile per la sua mission:
migliorare il benessere esistenziale delle persone con limitazioni, oggi,
di fronte all’invecchiamento progressivo della popolazione,
all’incremento nel numero delle persone non
autosufficienti e di quelle con disabilità,
alle mutate condizioni socio-economiche ed ai vincoli di bilancio sempre
più stringenti, non è più sufficiente. Occorre arricchirlo
inglobando in esso altre componenti strategiche, in primis, quelle
dipendenti dalla stessa persona, dalla sua famiglia e dalle comunità
di riferimento che devono farsi parti attive dei processi:
responsabilizzazione, empowerment e welfare d’iniziativa si
coniugano nella reinterpretazione delle variabili determinanti lo stato
di benessere del singolo e della comunità. In questa vision
strategica, la partecipazione attiva e consapevole di ciascuno degli
attori suindicati (persona, famiglia e comunità) nei processi di
presa in carico dei bisogni sociali, socio-sanitari e sanitari diventa,
quindi, fattore di sostenibilità e di generazione di nuove forme di
inclusione.
Con riferimento al ruolo strategico della
comunità, una componente di rilievo che ha favorito la tenuta e lo
sviluppo nel tempo del modello Veneto e che ancora lo contraddistingue,
è la consolidata tradizione e presenza nel tessuto sociale regionale
delle organizzazioni non lucrative di utilità sociale, degli
organismi della cooperazione e del mondo dell’associazionismo e del
volontariato (“terzo settore”). Tali soggetti, aventi
vocazioni, sensibilità e finalità in sintonia e convergenti con
le finalità sottostanti l’intervento pubblico a favore delle
persone in condizioni di bisogno e a rischio di marginalità e, nel
contempo, aventi capacità di attivazione di risorse e sostegni di
natura professionale ed economica, hanno contribuito con il loro apporto
a dare corpo al principio di sussidiarietà. L’integrazione
socio-sanitaria ed il concorso delle forme di sussidiarietà
provenienti dal “terzo settore” sono divenuti punti fermi e
qualificanti degli indirizzi della programmazione regionale in ambito
sociale, socio sanitario e sanitario definiti nel quadro delle
disposizioni di cui al D.lgs. n. 502 del 1992 e alla legge n. 328 del
2000.
Le collaborazioni avviate con il “terzo
settore” hanno favorito approfondimenti e sviluppi nei processi di
presa in carico delle persone, di ogni fascia d’età, in
situazioni di disagio e povertà, secondo progressioni coerenti, da
una parte, con le dinamiche dei bisogni assistenziali determinate dal
progressivo invecchiamento della popolazione e dai mutamenti nella
composizione e nei cicli di vita delle famiglie; dall’altra, con le
esigenze di prevedere interventi graduali di razionalizzazione e
riconversione dell’intero sistema di offerta sociale e socio
sanitario, per adattarlo, come già detto, nelle modalità di
risposta alla maggiore complessità dei bisogni.
Alla luce di quanto sopra, la programmazione
regionale non ha mancato di considerare, nell’approntamento,
manutenzione e aggiornamento degli strumenti e modalità di
intervento nel sistema, la coerenza con i principi della Convenzione
O.N.U. sui diritti delle persone con disabilità (New York
13/12/2006, ratificata dall’Italia con legge n. 18 del 3/3/2009),
allo scopo di garantire loro “piena ed effettiva partecipazione e
inclusione all’interno della società” ed, in
particolare, “l’autonomia individuale, compresa la
libertà di compiere le proprie scelte, e
l’indipendenza”. A conferma della coerenza di quanto sinora
intrapreso dalla programmazione regionale, la legge n. 112 del 22/6/2016
recante “disposizioni in materia di assistenza in favore delle
persone con disabilità grave prive del sostegno familiare”
(dopo di noi), ha introdotto strumenti innovativi e flessibili che
prevedono una presenza attiva e responsabile della persona con
disabilità e della sua famiglia nella definizione e nel sostegno
economico degli interventi volti a “l’inclusione sociale, la
cura e l’assistenza delle persone con disabilità
grave”.
I progetti che andranno ad essere declinati, quale
attuazione dei fondi di cui alla legge 22 giugno 2016, n. 112, saranno
oggetto di monitoraggio per valutare lo sviluppo di un modello che possa
affiancare l’offerta esistente, in particolare per quanto riguarda
i percorsi di accompagnamento fuori dal nucleo familiare.
Si tratta di parametri che per la loro rilevanza
continueranno a informare le future scelte regionali in materia. In
particolare, la stessa L.R. 22/2002, che ha segnato un passo importante
nell’avanzamento verso l’obiettivo di ricomposizione e
riqualificazione dell’intera rete di offerta,
dovrà essere riconsiderata anche alla luce dei
predetti riferimenti e tale intervento occuperà in modo
significativo l’orizzonte del presente socio sanitario.
Il Distretto, come già sottolineato in altre
parti del presente documento di programmazione, rappresenta il luogo dove
nel concreto prende forma l’integrazione delle attività e
servizi sociali, socio-sanitari e sanitari. Per quanto riguarda la figura
del direttore di distretto, data la centralità di questo ruolo, per
maggiore chiarezza si ritiene utile definire, con provvedimento, le
funzioni distinguendole da quelle del direttore dei servizi socio
sanitari.
Emerge pertanto la necessità di individuare gli
standard minimi in termini di personale e prestazioni che devono essere
garantite a livello distrettuale. Il Distretto, per quanto detto,
dovrà sempre più sviluppare e qualificare i propri interventi,
nella ricerca di ogni possibile sinergia di sistema attraverso la
definizione condivisa di protocolli operativi strutturati e
standardizzati per il coordinamento e l’integrazione delle azioni
specifiche di ciascun soggetto della rete, puntando in tal modo alla
minimizzazione dei costi di transazione. Esso dovrà, inoltre,
indirizzare tale modalità di organizzazione della risposta
assistenziale tenendo conto delle seguenti prospettive
strategiche:
- preventiva,
provvedendo, da un lato, all’individuazione precoce delle
fragilità, specie quelle comportamentali, e avviando con altrettanta
precocità i più appropriati percorsi riabilitativi e di presa
in carico attraverso il coinvolgimento della famiglia e degli ambienti di
vita (scolastici) finalizzati al recupero dei più alti livelli
possibili di funzionamento a beneficio anche delle condizioni di
benessere in età adulta e, dall’altro, orientando
l’intervento preventivo alle forme di accompagnamento alle
disabilità fisiologicamente connesse
all’invecchiamento;
- invecchiamento e
cronicità, provvedendo affinché la presa in carico delle
persone, specie di quelle anziane non autosufficienti di quelle con
disabilità, sia globale e guidata secondo una visione unitaria e di
continuità, considerando e valorizzando l’apporto delle reti
informali, coordinato con quello delle reti formali, e promuovendo in
questo ambito progetti per la partecipazione attiva degli anziani a
supporto delle persone con limitazioni.
Nello specifico, l’Area
dell’integrazione socio-sanitaria affronta le tematiche relative
alla presa in carico delle persone con disabilità e non
autosufficienti, ponendo prioritaria attenzione alle problematiche di
coordinamento delle filiere per rispondere ai bisogni assistenziali
connessi all’invecchiamento e alle situazioni di decadimento
cognitivo e demenza. Affronta, inoltre, le tematiche relative al
contrasto delle dipendenze, ai bisogni dell’infanzia,
dell’adolescenza e della famiglia, ed ai fenomeni di
marginalità, nonché ai contesti in cui vi è la
necessità di promuovere l’inclusione sociale.
9.1. UN APPROCCIO GLOBALE ALLA
LONG TERM CARE: UNA VISIONE DI INTEGRAZIONE SOCIO- SANITARIA PER IL
WELFARE DI INIZIATIVA
Gli ambiti di
intervento strategico da sviluppare in continuità
d’azione
Il modello Veneto costruito attorno al pilastro
strategico dell’integrazione socio-sanitaria ha posto le basi per
lo sviluppo di un approccio unitario alla cura, in particolare, delle
persone affette da limitazioni funzionali, incluse le demenze, con
effetti positivi nell’organizzazione della risposta ai loro bisogni
e nel miglioramento della speranza e della qualità di vita, che con
il presente piano si intende ulteriormente sviluppare nel quadro dei
principi di autodeterminazione e di inclusione sociale.
L’applicazione di tali principi nella
declinazione della risposta assistenziale a questa categoria di persone,
cioè con disabilità e non autosufficienti, limitazioni che di
per sé stesse configurano una specifica condizione di cronicità
e che richiedono interventi assistenziali continuativi di lunga
durata (Long Term Care), deve necessariamente
contemplare la prospettiva della sostenibilità attuale e futura del
sistema.
Gli ambiti di svolgimento delle possibili revisioni,
logicamente interconnessi, riguardano, quindi, l’ottimizzazione
delle seguenti variabili:
- gli esiti riferiti ai
domini della qualità di vita delle persone, agendo con priorità
sulle loro capacità funzionali in rapporto ai loro contesti di vita,
scuola e lavoro, monitorandone l’evoluzione;
- i processi di
allocazione e utilizzo delle risorse secondo criteri di equità e di
evidenza scientifica e/o fondati su buone pratiche.
A tal fine, le misure da portare a compimento
nell’orizzonte del presente piano devono conformarsi ai seguenti
criteri:
- implementare
modalità e tecniche socio-educative-abilitative e
assistenziali-tutelari scientificamente supportate e capaci di
perseguire, anche con l’ausilio di tecnologie specifiche, il
più alto livello possibile di funzionamento e autonomia delle
persone con disabilità e non autosufficienti, favorendo in tal modo
la riduzione della domanda di sostegni e supporti e una maggiore
flessibilità nell’organizzazione dei processi assistenziali
sia a livello domiciliare e semiresidenziale sia a livello
residenziale;
- attivare sostegni e
supporti erogati dai servizi della rete formale (prescritti da parte
delle aziende ULSS e dei Comuni nel loro ruolo di committenti) secondo
priorità rispetto al bisogno, tenendo conto delle risorse personali,
familiari e del contesto sociale di riferimento (servizi della rete
informale), nonché delle specifiche capacità di
contribuzione;
- rafforzare gli
interventi a sostegno della domiciliarità, compresi gli interventi
di sollievo e di contrasto alla solitudine, essendo questo il livello
assistenziale in cui maggiormente si integrano i servizi della rete
informale con effetti positivi in termini di qualità di vita e
sostenibilità rispetto all’evoluzione dei bisogni;
- promuovere
l’attivazione di percorsi di sostegno alla partecipazione e
all’inclusione sociale che ponendo al centro le potenzialità
della persona concorrano alla generazione di processi con valenze
restitutive e trasformative dei contesti sociali e lavorativi di
appartenenza delle persone con disabilità e non autosufficienti e
percorsi e condizioni che portino le stesse persone ad autodeterminarsi
e, quindi, ad essere protagoniste della propria vita.
- promozione della
terapia con gli equini ed in particolar modo l’ippoterapia. Il
piano sociosanitario preveda l’inserimento della terapia,
l’educazione e l’attività assistita con gli equidi quali
strumenti finalizzati alla cura e al recupero delle persone affette da
disagio comportamentale o sociale o da limitazioni fisiche o sensoriali,
che possono giovarsi dell’impiego e del contatto con gli equini
allo scopo di favorire la loro integrazione sociale e migliorare la
qualità di vita, in conformità a quanto previsto dalla
legge regionale n.
9/2018 .
La necessità di ricomporre il quadro delle
risorse della rete informale in un processo unitario di determinazione
della risposta assistenziale coordinata dalle aziende ULSS, risiede anche
nell’entità delle risorse gestite direttamente dalle famiglie
sia nella forma del caregiver interno (familiare) sia in quella del
caregiver esterno (assistente familiare). Riguardo a quest’ultima
modalità, si stima che la domanda delle famiglie coinvolga
all’incirca 65.000 assistenti familiari per un equivalente
economico annuale stimabile in 780 milioni. In tale ambito rileva,
inoltre, l’importanza delle prestazioni erogate dall’INPS
(assegni di accompagnamento, pensioni/assegni di invalidità e
permessi lavorativi retribuiti ex lege n. 104 del 1992).
Per le finalità di cui sopra la programmazione
regionale ha strutturato la propria azione dotandosi dei seguenti
parametri tecnico-organizzativi e di allocazione delle risorse di cui si
conferma la validità, precisando per ciascuno le prescrizioni che
dovranno informarne il funzionamento nel periodo di validità del
presente piano:
- un meccanismo
operativo: Unità di Valutazione Multidimensionale Distrettuale
(UVMD) alla quale è affidato il compito di effettuare la diagnosi
del bisogno bio-psico-sociale e di individuare la risposta più
appropriata, rispetto all’evidenza scientifica e
all’efficacia globale e contestualizzata, per ogni determinata
persona svantaggiata e/o con limitazioni funzionali. La composizione
della UVMD, proprio per la molteplicità dei profili oggetto di
valutazione, prevede la presenza di operatori sociali, socio-sanitari e
sanitari, nonché della stessa persona con disabilità o non
autosufficiente, della sua famiglia o di chi ne tutela gli interessi.
Presenze quest’ultime necessarie per dare attuazione concreta al
principio di autodeterminazione, contribuendo così ad ottimizzare il
trade off tra standardizzazione e qualità della vita nella
definizione del progetto personalizzato;
- due strumenti a
supporto delle valutazioni: Scheda di Valutazione Multidimensionale per
le persone con disabilità (S.Va.M.Di.) e Scheda di Valutazione
Multidimensionale Anziani (S.Va.M.A.), al fine di garantire, da un lato,
l’obiettività delle valutazioni del bisogno bio- psico-sociale
secondo le classificazioni previste dall’International
Classification of Functioning (I.C.F.) e dall’International
Classification of Diseases (I.C.D.) e, dall’altro, l’impiego
di metodologie di valutazione omogenee su tutto il territorio
regionale;
- uno strumento di
ricomposizione delle risorse disponibili per definire risposte
appropriate alle specifiche esigenze della persona beneficiaria: progetto
personalizzato concepito sulla base di pertinenti valutazioni
tecnico-specialistiche e aperto alle relazioni positive attivabili nel
contesto sociale di appartenenza. Pertanto, attraverso tale strumento i
vari interventi, servizi, sostegni e supporti, anche nella forma di
trasferimenti monetari, provenienti non solo da istituzioni pubbliche, ma
pure a carico dei vari soggetti presenti nel territorio, nonché
dalla stessa persona e/o dai suoi familiari, vengono programmati e
opportunamente integrati e coordinati in modo unitario e mirato rispetto
al bisogno e alle aspirazioni della persona, assumendo come criteri guida
il miglioramento della qualità di vita e la sostenibilità del
sistema. L’attuazione del progetto è sottoposta a monitoraggio
in relazione alle fasi di evoluzione dei bisogni.
Attraverso il funzionamento di tali parametri
allestiti per la diagnosi del bisogno e per la definizione della presa in
carico dell’assistito da parte del sistema, si realizza, da un
lato, l’integrazione socio-sanitaria nella rete formale dei servizi
territoriali, tenuto conto delle risorse della rete sociale informale
disponibili e attivabili e, dall’altro, anche in coerenza con i
principi della Convenzione O.N.U. richiamati, il coinvolgimento delle
persone con disabilità o non autosufficienti e dei loro familiari
e/o caregiver nella definizione condivisa del progetto
personalizzato.
Con riferimento a tali parametri, al fine di
favorire il rispetto delle prescrizioni di funzionamento su riportate, si
indicano le seguenti azioni prioritarie:
- UVMD: le attuali
modalità di monitoraggio e ri-valutazione degli assistiti devono
essere riconsiderati e riqualificati in capo all’UVMD, attesa la
rilevanza della funzione di tale Unità nel processo di allocazione
delle risorse e nella garanzia di omogeneità e uniformità su
tutto il territorio regionale delle valutazioni espresse a parità di
bisogno e ciò anche in relazione all’obiettivo di
armonizzazione prescritto dalla L.R. 19/2016;
- schede di valutazione
S.Va.M.A. e S.Va.M.Di.: atteso il trend epidemiologico in atto verso case
mix ad alta complessità e con crescente prevalenza di patologie
croniche, legato al processo di progressivo invecchiamento della
popolazione ed al correlato aumento tendenziale della domanda di
assistenza, si rende necessario provvedere al loro aggiornamento,
migliorando, in particolare, la loro sensibilità nella graduazione
dei bisogni, anche mediante una coerente modalità di
contestualizzazione dei profili di gravità, clinica e funzionale,
che discrimini le casistiche rispetto all’effettivo assorbimento di
risorse, sostegni e supporti assistenziali. Tale aggiornamento delle
schede di valutazione multidimensionale si rende, altresì,
necessario per conformarle alle metriche e classificazioni delle
disabilità considerate a livello nazionale quali presupposti
metodologici che condizioneranno l’erogazione delle risorse
provenienti dal fondo nazionale per le non autosufficienze. Dovrà,
inoltre, essere completata l’informatizzazione delle schede e
dovranno essere elaborate schede di valutazione multidimensionali per
soggetti disabili in età evolutiva secondo le classificazioni
previste dall’International Classification of Functioning,
Disability and Health for Children and Youth (ICF – CY).
Gli interventi avviati nella direzione della
domiciliarità, che, come detto, proseguiranno ulteriormente anche
con le dovute razionalizzazioni e aggiornamenti, si sono concretizzati in
misure a favore delle persone con disabilità per la “vita
indipendente”, per l’”inclusione sociale” e per
il “dopo di noi”, nonché per l’inserimento e
l’integrazione scolastica e per l’inserimento lavorativo, e
in misure a favore delle persone anziane non autosufficienti e delle loro
famiglie e/o caregiver, mediante l’attivazione di centri diurni e
centri di sollievo e, più in generale, attraverso
l’istituzione delle Impegnative di Cura Domiciliare (I.C.D.) e il
consolidamento del servizio di telesoccorso-telecontrollo. In tale ambito
si prevede l’avvio di percorsi per realizzare fondazioni di
comunità o di partecipazione per il “dopo di
noi”.
Infine, un ambito strategico distinto dai precedenti
e rispetto al quale è necessario intervenire, specie in prospettiva
preventiva, riguarda l’individuazione precoce dei minori con
problematiche comportamentali, in considerazione, da un lato,
dell’incremento di tali situazioni di fragilità e disagio,
dall’altro, dell’efficacia di programmi riabilitativi avviati
già in età infantile nella modifica del decorso dei problemi di
comportamento, con guadagni in termini di minori limitazioni e minor
fabbisogno di sostegni in età adulta. A tal fine è prioritario
prevede la sperimentazione di metodologie e strumenti multidimensionali
per lo screening precoce delle predette problematiche comportamentali,
con l’implementazione di tecniche riabilitative specifiche che
contemplino anche il coinvolgimento diretto del mondo della scuola e
della famiglia attraverso appositi percorsi formativi e
informativi.
Gli ambiti di intervento
strategico da sviluppare con ulteriori azioni innovative
Le dinamiche richiamate in ordine ai fenomeni della
disabilità e della non autosufficienza evidenziano, come detto,
situazioni di bisogno legate al progressivo invecchiamento degli
assistiti, la cui speranza di vita risulta aumentata rispetto al recente
passato. L’ISTAT ha stimato che il 18,5% della popolazione anziana
presenta quadri patologici che richiedono cure continuative di lungo
periodo, per il Veneto circa 197.000 persone.
Con particolare riferimento alle persone non
autosufficienti ospitate presso i Centri di Servizi del Veneto, si
riscontra un’età media di 85 anni (86 per le donne e 80 per
gli uomini) e le relative situazioni di bisogno risultano aggravate dalla
presenza di più patologie, tra le quali si ritrovano, con alta
frequenza, disturbi mentali/psicologici (demenze senili/Alzheimer) e
malattie del sistema cardiocircolatorio che, nel complesso, necessitano
di una maggiore assistenza sanitaria.
Si tratta, quindi, di pazienti anziani con livelli
di complessità elevata, circostanza che denota la tendenza delle
famiglie, dovuta anche a fattori affettivi, a ritardare il più
possibile il momento dell’istituzionalizzazione e dei relativi alti
costi, facendosi carico direttamente dell’assistenza del proprio
congiunto non autosufficiente, ricorrendo anche a contratti con
assistenti familiari, modalità tendenzialmente meno onerosa
dell’istituzionalizzazione.
Questa propensione delle famiglie diventa una
risorsa da valorizzare e sostenere ulteriormente nell’attuale
contesto in cui, da un lato, il bisogno assistenziale si evolve verso
livelli di maggiore complessità e ad alto assorbimento di risorse;
dall’altro, la fiscalità pubblica e regionale, in particolare,
pone vincoli rigidi di sostenibilità economica dell’intero
sistema sanitario e socio sanitario.
Pertanto, nella prospettiva della qualità di
vita delle persone con limitazioni, la strategia regionale intende
proseguire nel miglioramento dei livelli di efficacia ed efficienza delle
misure in atto a favore della domiciliarità. Gli ambiti di
intervento prioritario riguardano: il rafforzamento dei processi di
continuità ospedale-territorio, prevedendo moduli diversificati e
integrati all’interno della filiera tali da garantire,
principalmente, l’appropriatezza delle dimissioni ospedaliere e il
supporto alle famiglie sia nella fase della dimissione sia nella fase
dell’assistenza domiciliare; l’aggiornamento del sistema
delle impegnative di cura domiciliare; la qualificazione degli assistenti
familiari. In particolare:
- rafforzamento dei
processi di continuità ospedale-territorio: l’intervento
concorre altresì a perseguire gli obiettivi di riduzione degli
accessi e utilizzi impropri delle strutture ospedaliere e prevede di
proseguire nella direzione dell’integrazione dei servizi
ospedalieri con i servizi sanitari territoriali garantiti dalle cure
primarie attraverso lo sviluppo di:
• protocolli di presa in carico globale delle
persone con limitazioni, non autosufficienti o con disabilità,
assistiti a domicilio;
• reti strutturate e standardizzate per
garantire in modo coordinato la continuità assistenziale tra
ospedale e territorio ed, in particolare, l’appropriatezza delle
dimissioni ospedaliere attraverso percorsi di accompagnamento graduali e
temporanei tesi a superare possibili disagi e difficoltà che in
determinate situazioni di fragilità il passaggio diretto al setting
assistenziale domiciliare potrebbe comportare. A tal fine, si prevede,
anche attraverso opportune sperimentazioni, l’implementazione di
setting assistenziali coordinati nella filiera attraverso la Centrale
Operativa Territoriale (C.O.T.), prossimi a quelli offerti dai Centri di
Servizi per non autosufficienti e distinti da quelli offerti dalle
strutture intermedie, nell’obiettivo di supportare le famiglie per
un rientro sufficientemente organizzato del proprio congiunto. Più
in generale, la diversificazione della filiera ospedale-territorio con la
previsione di tale modulo assistenziale consentirà di perseguire con
maggiore efficacia l’appropriatezza della risposta assistenziale
supportando anche altre tipologie di transizione da un setting
assistenziale all’altro nella gestione integrata
dell’assistito senza soluzioni di continuità: Ospedale,
Strutture Intermedie, Centri di Servizi, Assistenza Domiciliare;
Un riferimento specifico riguarda la gestione dei
casi codificati con “doppia diagnosi”: disabilità
accompagnata da disturbi psichiatrici, per i quali occorre rafforzare il
coordinamento con i dipartimenti di salute mentale, con riguardo al SPDC
a livello ospedaliero e al CSM a livello territoriale, attraverso lo
sviluppo di protocolli condivisi;
- aggiornamento del
sistema delle impegnative di cura domiciliare: lo strumento I.C.D. si
è dimostrato una valida risposta ai bisogni assistenziali gestibili
a domicilio, tuttavia, alla luce
delle evidenze emerse, si rende necessario un
intervento di affinamento rispetto ai seguenti parametri:
• definizione mirata dei vari target di
bisogno a cui lo strumento è indirizzato;
• congruità della valorizzazione dei
profili I.C.D. rispetto alla tecnica di cura e tutela conseguente
all’efficacia attesa per ogni target di bisogno;
• ampliamento della gamma dei profili I.C.D.
al fine di assicurare risposte univoche e certe a quelle tipologie di
assistiti non già considerate in modo puntuale e specifico;
- qualificazione degli
assistenti familiari: l’intervento concorre alla regolamentazione
del mercato degli assistenti familiari nel solco delle disposizioni di
cui alla L.R. 38/2017 recante “Norme per il sostegno delle famiglie
e delle persone anziane, disabili, in condizioni di fragilità o non
autosufficienza, per la qualificazione e il sostegno degli assistenti
familiari”, prevedendo:
• l’attivazione di corsi specifici sulle
competenze assistenziali di base a favore di coloro che intendono
svolgere l’attività di assistente familiare;
• l’istituzione di elenchi regionali da
cui le famiglie e/o persone con limitazioni possono attingere per
l’individuazione degli assistenti familiari in possesso di
competenze adeguate;
• la possibilità per le famiglie e/o
persone con limitazioni di poter accedere a eventuali contributi nel caso
in cui l’assistente familiare sia stato individuato
nell’ambito degli elenchi regionali e regolarmente
contrattualizzato.
I Centri Servizi per Anziani - Ipab potranno
attivare percorsi di formazione degli assistenti familiari e predisporre
registri per la loro collocazione e utilizzo, anche temporaneo, presso le
famiglie che ne facciano richiesta.
Altra misura strategica si muove sul piano degli
interventi volti a migliorare la qualità di vita delle persone
adulte e anziane, in una prospettiva generale di prevenzione e
conservazione della salute e delle capacità funzionali, attraverso
l’attuazione delle disposizioni previste dalla L.R. 23/2017 e
finalizzate alla “promozione e valorizzazione
dell’invecchiamento attivo”. Gli interventi che si prevede di
avviare in attuazione delle predette disposizioni di legge assumono
rilevanza in quanto, nel valorizzare “la persona come
risorsa”, concorrono, da un lato, a contrastare fenomeni di
isolamento ed esclusione sociale e, dall’altro, a favorire processi
di inclusione e integrazione sociale, mediante iniziative di volontariato
che possono spaziare trasversalmente su molteplici campi, inclusa
l’assistenza informale quale ambito di azione in cui dare e
ricevere aiuti e sostegni.
In tal senso, mutuando l’esperienza delle reti
familiari, il progetto “prendersi cura della persona
anziana”, diventa l’elemento per dare risposte, essere vicini
e garantire servizi alla persona che invecchia.
Importante è la conoscenza da parte dei servizi
sociali delle persone anziane che vivono sole, delle coppie di anziani, o
di genitori anziani con figli con disabilità. La conoscenza di
queste persone permetterà d’intervenire in vari frangenti, ad
esempio nelle situazioni di allertamento della popolazione (per rischi
antropici, sanitari, situazioni climatiche), per il sostegno in momenti
di maggior fragilità della persona, per far conoscere alle persone i
servizi, le cure e come averne accesso.
Una comunità consapevole, delle persone che la
compongono, sarà più inclusiva ed accogliente per rispondere e
garantire l’accesso ai vari servizi rispetto al bisogno, prima
tramite azioni di buon vicinato e la costituzioni di reti locali di
supporto alle persona, con l’affido della persona adulta ed
anziana, poi offrendo servizi di sostegno alla
domiciliarità, sino ad arrivare ai servizi in semi
residenzialità ed alle altre forme di sostegno offerte tramite i
centri servizi, in collaborazione con i Comuni.
Per quanto riguarda le persone con disabilità i
positivi progressi raggiunti nella speranza di vita si scontrano con la
crescita delle situazioni caratterizzate dall’assenza del sostegno
genitoriale e/o familiare. Inoltre, i quadri evolutivi dei bisogni di
queste persone connessi al processo di invecchiamento non determinano
ancora situazioni di gravità, clinica e funzionale, paragonabili a
quelle degli anziani non autosufficienti assistiti presso i Centri di
Servizi, tale circostanza comporta la necessità di rivedere le
attuali classificazioni e relative disposizioni focalizzate
sull’età, al fine di rendere maggiormente coerente
l’organizzazione delle tecniche di cura e tutela rispetto ai
bisogni. Emblematici i casi delle persone con disabilità over 65 e
degli adolescenti. Occorre, pertanto, superare tali schemi e fondare le
valutazioni circa le modalità più appropriate di erogazione
delle prestazioni residenziali, semiresidenziali e domiciliari sul
criterio del bisogno e sulla flessibilità dei progetti e delle
unità di offerta.
A questo riguardo, il D.P.C.M. del 12/1/2017 recante
“Definizione e aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza
(L.E.A.), di cui all’art. 1, co. 7 del D.lgs. n. 502 del
1992” ha emanato nuove disposizioni in materia di L.E.A. che
dovranno essere assunte a base della dovuta rivisitazione dei livelli
erogati nel territorio regionale, con riferimento sia all’area
della disabilità che a quella della non autosufficienza.
Verranno, inoltre, riconsiderate le modalità di
compartecipazione al fine di garantire uniformità di trattamento ed
equità rispetto all’effettiva capacità contributiva degli
assistiti, tenendo conto della peculiarità delle persone con
disabilità congenita come previsto dalle disposizioni statali in
materia.
La programmazione regionale intende, pertanto,
ripensare l’attuale sistema delle unità di offerta,
residenziali e semiresidenziali, stabilito dalla L.R. 22/2002, al fine di
riqualificarlo e renderlo maggiormente coerente rispetto a:
- la relazione tra i
profili di gravità, clinica e funzionale, da un lato, e la tipologia
della struttura residenziale e semiresidenziale, dall’altro;
- le tendenze evolutive
dei bisogni legate all’invecchiamento, favorendo tecniche di cura e
tutela che siano convenientemente fondate sugli esiti esistenziali da
raggiungere rispetto ai domini di qualità della vita;
- la necessità,
quindi, di valorizzare gli elementi di flessibilità e
variabilità della risposta in relazione alle effettive condizioni di
bisogno accertate e contestualizzate;
- la sostenibilità
complessiva del sistema.
Ne consegue che, in continuità con il
precedente Piano, rimane prioritario l’intervento di
“rimodulazione delle unità di offerta, sviluppando una
flessibilità organizzativa per adeguare progressivamente gli
standard previsti dalla L.R. 22/2002 alle esigenze assistenziali e alla
sostenibilità economica del sistema”.
In connessione a quanto sopra, viene confermato il
carattere strategico della ricerca di forme innovative e flessibili di
risposta ai bisogni delle persone con disabilità, che siano
alternativi ai centri diurni e che valorizzino la persona, la sua
crescita e, persino, il suo contributo alle attività produttive,
anche mediante progetti inclusivi di inserimento mirato. Le
sperimentazioni conseguenti dovranno, in particolare, riguardare
iniziative finalizzate a razionalizzare l’uso dei sostegni e
supporti, a recuperare maggiori livelli di appropriatezza ed a garantire
la sostenibilità economica e la possibilità di promuovere
modalità di autofinanziamento nel tempo. Le medesime
sperimentazioni dovranno, inoltre, essere definite
nel quadro dei progetti personalizzati valutati e condivisi in sede di
UVMD Tali iniziative trovano ulteriori fattori propulsivi anche nella
cornice strategica già contemplata nel precedente PSSR, laddove
veniva disposta “la realizzazione di un welfare di comunità
attraverso il coinvolgimento del terzo settore nelle sue varie
espressioni (associazioni, cooperative, fondazioni, volontariato ...) in
un’ottica di collaborazione sia nella programmazione che nella
gestione corresponsabile anche economica dei servizi”, ed
evidenziati i ruoli, sempre più importanti, di risorsa sociale della
famiglia e della comunità locale nello sviluppo dei progetti di vita
e di inclusione sociale delle persone con limitazioni funzionali.
Alla luce di quanto sopra, il percorso di
razionalizzazione deve necessariamente tradursi in una azione generale di
riconversione e riqualificazione della spesa, per la quale
l’ospedalizzazione o l’istituzionalizzazione rappresentino
solo un temporaneo momento del ciclo terapeutico- assistenziale
coordinato nel progetto personalizzato, e per la quale, come detto, il
ruolo della famiglia e della comunità di appartenenza costituiscono
certamente punti cardini con ricadute positive nella risposta ai bisogni
delle persone con limitazioni.
Le persone con
disabilità
La persona con disabilità che si trovi in
questa condizione dalla nascita, o che si trovi ad affrontare il percorso
di una disabilità acquisita, deve essere posta nelle condizioni di
affrontare il percorso personale tale da permetterle di crescere e
maturare esperienze, di educazione, di studio, di formazione e lavoro, di
socializzazione il più possibile piene e complete.
Tale visione abbraccia tutti gli aspetti di vita
della persona dalla nascita in poi, secondo il progetto di vita di
ognuno.
L’aspetto culturale, peraltro, cresciuto anche
grazie alle famiglie dove sono presenti persone con disabilità, ha
permesso alla società di maturare esperienze e di far crescere il
mondo del Terzo settore, all’interno del quale si sono sviluppate
esperienze e progetti di spessore e qualità.
Nel descrivere, nel presente capitolo, il sistema
d’offerta dei servizi e l’integrazione socio-sanitaria
s’intende fotografare ed implementare l’esistente, tenendo
conto di quanto già indicato nel PSSR 2012-2016 rispetto al quale il
presente Piano costituisce un aggiornamento.
Pertanto il riconoscimento della condizione di
vulnerabilità e fragilità in termini di salute, pur di fronte
all’allungamento della vita, pone il tema della cronicità da
un lato e dell’invecchiamento che la persona con disabilità si
trova ad affrontare. In tal senso importante è la relazione con le
famiglie, il tema del “dopo di noi” e di modelli, anche
sperimentali, che potranno essere messi in atto per ipotizzare scenari
futuri e dare risposte alle persone nel prossimo futuro. Il tema
dell’abitare, è peraltro uno dei principali argomenti sul
quale concentrare l’attenzione.
Parallelamente si andrà a riconoscere percorsi
di vita per i giovani con disabilità, la cui plasticità nelle
relazioni permette di costruire esperienze anche con progetti innovativi
che possono integrare l’abitare, l’occupazione (formazione e
lavoro) e la socializzazione e crescita personale.
In tal senso una società “a misura di
persona” permette una maggior qualità di vita, le reti di
vicinato, piuttosto che le reti sociali contribuiscono a superare le
difficoltà relazionali permettendo alla persona un riconoscimento
nel luogo di vita e la sua partecipazione alla vita di quella
comunità.
Per quanto riguarda la “misurazione”
delle unità d’offerta e dei servizi si conferma
l’utilità del sistema informatico, in uso, per monitorare le
richieste, le liste d’attesa, l’applicazione della DGR
n. 740/2015 per quanto riguarda le rette tipo per i
Centri diurni per persone con disabilità e per i progetti di
sperimentazione in materia di semiresidenzialità, elementi questi
importanti per la programmazione regionale e la collaborazione con il
Tavolo Regionale della disabilità. In tal senso
si ritiene opportuna l’attivazione del
registro liste d’attesa in ogni Ulss e la redazione della carta dei
servizi per persone con disabilità e non autosufficienza.
Le persone con disturbi dello
spettro autistico
Il Gruppo di coordinamento tecnico regionale per i
Disturbi dello Spettro Autistico (ASD) ha il mandato di monitorare e
verificare l’applicazione a livello locale delle linee di
indirizzo, definire azioni prioritarie per migliorare la qualità e
l’efficacia degli interventi e definire percorsi che assicurino la
continuità di cura nell’arco della vita, affrontando la
criticità del transazione dall’età evolutiva
all’età adulta. Tale soggetto, farà da supporto al Tavolo
tecnico regionale sull’autismo anche alla luce delle recenti
disposizioni in materia di diagnosi, cura e riabilitazione delle persone
con ASD e di assistenza alle famiglia (DGR n. 2177 del 29 dicembre
2017).
Al fine di dare una risposta omogenea sul territorio
è stato dato corso ad una ricognizione in ordine agli interventi
attuati dai servizi sanitari con riferimento ai minori in età
prescolare e scolare, agli adolescenti ed alla persona adulta. Tale
attività risponde, peraltro, alla necessità di dare attuazione
alla L. 18 agosto 2015, n. 134 ed al Decreto 30 dicembre 2016 del
Ministro della salute di concerto con il Ministro all’Economia e
delle Finanze.
Lo sviluppo di un set di indicatori di diagnosi e
trattamento in grado di fornire una ampia rappresentazione del percorso
sanitario e socio sanitario, avrà lo scopo di raggiungere
l’obiettivo prefissato, pensando alla presa in carico della persona
attraverso la diagnosi precoce, così da garantire un percorso chiaro
al minore fin dalla tenera infanzia e nell’età adolescenziale
che rappresenta un target importante per i servizi di neuropsichiatria.
Sono stati inoltre adeguatamente sviluppati gli indicatori riguardanti
gli interventi con la famiglia e la scuola anche questi significativi per
i servizi di neuropsichiatria.
Per quanto riguarda la formazione è necessario
garantire l’integrazione di conoscenze e competenze fra le varie
figure professionali coinvolte.
Infatti, nel dare per appurata la diagnosi precoce,
rispetto alla quale si potrà solo agire nel migliorare
l’organizzazione, è necessario intervenire in modo da
realizzare percorsi positivi che possono influire sulla qualità di
vita della persona con ASD attivando progetti abilitativi precoci. In tal
senso è quanto mai necessario collegare i vari piani di assistenza
(sanitaria, sociale, educativa), garantendone l’interazione,
così da creare una rete di supporto mirata intorno al bambino e
definire, per il giovane, il percorso di vita in stretta collaborazione
con la famiglia.
In relazione alle Linee di Indirizzo regionali per i
Disturbi dello Spettro Autistico (DGR n. 2959 del 28 dicembre 2012)
sarà approvato il provvedimento che definirà di Linee
d’indirizzo per le persone con ASD.
Le Aziende ULSS dovranno realizzare, in armonia con
i due centri regionali di riferimento, la pianificazione delle
attività in relazione alle Linee di indirizzo per offrire alle
persone con ASD, ed alle loro famiglie, un’offerta di servizi
integrata che si concentri a migliorare il passaggio e la presa in carico
tra i servizi per l’Età evolutiva (Neuropsichiatria infantile)
e l’Età adulta (Area disabilità).
I Centri regionali di riferimento per
l’autismo sono così organizzati:
- il primo, a Verona, presso l’Azienda
Ospedaliera Universitaria Integrata/UO Neuropsichiatria Infantile, si
occuperà della ricerca, della diagnosi precoce, degli accertamenti
eziologici e degli approfondimenti internistici. Il centro formerà
gli operatori sanitari delle equipe multidisciplinari territoriali e
definirà gli interventi abilitativi precoci ed intensivi.
- l’altro, a Treviso, presso l’Azienda
Ulss 2 Marca Trevigiana/UO Neuropsichiatria Infantile, si occuperà
delle persone adolescenti e giovani adulte, favorendo le autonomie
personali, riabilitative e sociali nonché l’inserimento
lavorativo. Il Centro definirà il piano di assistenza e ne
valuterà l'andamento, costituirà punto di riferimento per le
famiglie tenendo conto del fatto che le tematiche da seguire
riguarderanno le abilità sociali e lo sviluppo di competenze
necessarie all’inserimento lavorativo.
I due centri si coordineranno con la Regione e con
l’Istituto Superiore di Sanità e svolgeranno attività di
consulenza per le equipe territoriali. I due centri di riferimento
svolgeranno funzione di coordinamento della rete dei servizi presente in
ogni Azienda ULSS, rafforzando il principio della partecipazione e del
coinvolgimento dei soggetti che fanno parte della organizzazione dei
servizi e di supporto alle famiglie.
L’assistenza alla persona si svolge inoltre
attraverso strutture socio-sanitarie residenziali e semiresidenziali, la
qualità dei servizi erogati sarà monitorata anche mantenendo un
riferimento che funga da regia regionale.
Le azioni strategiche
strumentali
In parallelo agli interventi su indicati occorre
porsi in una prospettiva strategica di innovazione per lo sviluppo di un
approccio globale e inter-istituzionale alla Long Term Care, considerato
che oggi nel sistema delle cure di lungo periodo sono presenti più
soggetti con competenze e risorse proprie (enti del SSSR/SSN, INPS, Enti
Locali).
L’obiettivo strategico da condividere su un
piano inter-istituzionale deve dare nuovo valore alla visione globale
dell’integrazione socio-sanitaria e spingere l’intera
organizzazione del sistema verso un welfare di iniziativa, mettendo a
fattor comune, in primis, le informazioni e conoscenze, affinché
l’azione coordinata delle varie istituzioni possa prendersi cura,
anche in un’ottica preventiva, pure di quelle persone che per varie
ragioni non sono in grado di esprimere il proprio stato di
bisogno.
In questa direzione, rileva l’obiettivo di
promuovere la realizzazione di una infrastruttura informativa che superi
la frammentazione delle banche dati appartenenti a soggetti autonomi
(aziende ULSS e altri enti del SSSR/SSN, da un lato, comuni e altri enti
locali, INPS, etc., dall’altro), ma operanti comunque nel sistema
sociale, socio sanitario e sanitario e consenta un quadro informativo
completo sulle caratteristiche (anagrafiche, sanitarie, sociali,
economiche, etc.) delle persone beneficiarie di attività e servizi
e/o che hanno preso contatto con i vari sportelli. In tal modo,
l’azione regionale si prefigge di ricostruire i percorsi della
cronicità, della non autosufficienza e della disabilità,
acquisendo dalla loro analisi le conoscenze necessarie a ricomporre le
risorse movimentate nel sistema secondo schemi allocativi di maggior
equità ed appropriatezza, nonché conoscenze sul tasso di
copertura del bisogno.
Al fine di dare corpo a tale azione di
razionalizzazione degli interventi di Long Term Care, si rende necessario
promuovere la definizione di formule di raccordo tra i vari organismi di
valutazione dei bisogni assistenziali: le UVMD delle aziende ULSS e le
Commissioni mediche per l’accertamento sanitario
dell’invalidità civile a fini INPS, nell’obiettivo di
pervenire a modalità strutturate di integrazione e condivisione
delle valutazioni secondo approcci multidimensionali e multidisciplinari,
tenuto conto di eventuali esperienze già maturate.
Gli ambiti di intervento
strategico sulle strutture di offerta socio-sanitarie
Sotto il profilo istituzionale, la governance
territoriale e l’integrazione socio-sanitaria, nel modello Veneto
si qualifica, all’interno degli ambiti distrettuali, per la
partecipazione delle comunità locali (Comitati e Conferenze dei
Sindaci) ai processi di pianificazione e per la delega dai comuni
alle
aziende ULSS della gestione di molteplici servizi
sociali. I processi di delega potranno essere estesi il più
possibile alla totalità dei servizi sociali, al fine di perseguire
l’obiettivo di ricomposizione globale delle risorse, evitando in
tal modo frammentazioni, sovrapposizioni e inefficienze di
sistema.
In tale contesto, lo strumento primario di
ricognizione dei bisogni per l’integrazione socio-sanitaria e per
la ricomposizione e l’ottimizzazione delle risorse, provenienti
dalle reti formali e informali e più in generale dal territorio,
è rappresentato dal Piano di Zona del Distretto.
Appare necessaria l'attualizzazione dei Piani di
Zona, attraverso linee di indirizzo che rispondono ai bisogni espressi
dalle comunità con particolare attenzione a nuovi ambiti
d’intervento e alle nuove emergenze su cui i Comitati dei Sindaci
sono già attivi. Fra questi temi, per quanto riguarda i giovani,
andrà valutata la questione dell’abbassamento
dell’età sull’uso di sostanze ed alcol da parti dei
minori, dipendenze compresa quella da gioco patologico, le forme di
bullismo e cyberbullismo, per gli adulti i vari temi quali la violenza
contro le donne, il gioco patologico, il contrasto alla povertà e il
monitoraggio degli anziani che vivono soli.
Dalla predetta ricognizione potranno emergere
valutazioni in ordine alla capacità produttiva esistente in rapporto
al fabbisogno e alla distribuzione delle unità di offerta per
tipologia e ambiti territoriali di riferimento.
Il Piano di Zona svolge, pertanto, una funzione di
fondamentale importanza nel procedimento regionale di accreditamento
delle unità di offerta. Quest’ultimo costituisce la sintesi
finale dei singoli processi valutativi locali effettuata dalla Giunta
regionale “al fine di meglio garantire l’accessibilità
ai servizi e valorizzare le aree di insediamento prioritario di nuove
strutture ... in conformità agli atti di programmazione
socio-sanitaria regionale vigenti” (art. 15 della L.R. 22/2002) e
“compatibilmente con le risorse regionali disponibili” (art.
8 quater del D.lgs. n. 502 del 1992).
L’accreditamento rappresenta, quindi, lo
strumento di regolazione dell’intero sistema di offerta del SSSR,
che si fonda sul rispetto della programmazione socio-sanitaria regionale
ed attuativa locale, integrando non solo un criterio di qualità
(art. 15 della L.R. 22/2002), ma anche di sostenibilità
economico-finanziaria globale.
L’inserimento di un’unità di
offerta nel Piano di Zona non costituisce, pertanto, l’unico
elemento in base al quale riconoscere l’accreditamento. Invero,
detto provvedimento richiede una ulteriore valutazione di
sostenibilità a livello complessivo di sistema in capo alla Giunta
regionale che dovrà, in ogni caso, privilegiare, anche nelle
successive fasi attraverso cui viene regolamentato il processo di
allocazione delle risorse previsto dalla L.R. 22/2002 (accordi
contrattuali), la resa e il rientro degli investimenti pubblici pure
sotto il profilo quali-quantitativo del servizio.
Nello specifico dell’area socio-sanitaria
operano in regime di accreditamento i soggetti fornitori accreditati per
l’erogazione delle prestazioni previste dai livelli essenziali di
assistenza aventi natura giuridica sia pubblica (Istituzioni Pubbliche di
Assistenza e Beneficenza e altri enti di emanazione comunale), sia
privata profit (soggetti imprenditoriali) e no profit (soggetti del
“terzo settore”). Inoltre, la disciplina L.E.A., con
riferimento alle prestazioni di assistenza residenziale, prevede
l’attribuzione di una quota della tariffa (quota
sociale/alberghiera) a carico della persona beneficiaria
dell’impegnativa di residenzialità.
Le strutture per i servizi socio-sanitari si trovano
così ad operare in un regime concorrenziale in cui sia la quota
alberghiera, sia il livello di qualità percepita dagli assistiti e/o
dai loro familiari costituiscono parametri fondamentali di attrazione,
mentre la possibilità di investire su di essi dipende, a parità
di altre condizioni, anche dalla struttura dei costi
“istituzionali” che caratterizzano le diverse tipologie di
soggetti.
L’ordinamento vigente in materia tributaria
stabilisce trattamenti differenziati a seconda della natura giuridica del
soggetto contribuente. Tale circostanza, unita alle attuali regole di
determinazione dei corrispettivi tariffari, indistinti rispetto alla
tipologia dei predetti oneri, genera distorsioni di sistema per le quali
la programmazione regionale intende valutare opportuni interventi
correttivi anche nell’ambito delle tariffe.
Inoltre, sono da valutare modalità atte a
rafforzare l’effettività del principio di libera scelta del
luogo di cura contemperandolo con l’esigenza di assicurare che la
pluralità dell’offerta si configuri secondo articolazioni su
strutture/centri di costo aventi dimensioni compatibili rispetto alla
sostenibilità economica, quale premessa necessaria per
l’operatività di sistemi efficienti e di qualità e
sicurezza del servizio e delle prestazioni e, nel contempo, migliorare i
parametri di accessibilità per macro ambiti territoriali. Per tale
finalità la strategia regionale prevede l’introduzione di
meccanismi budgetari per singolo Centro di Servizi o per loro
aggregazioni/reti strutturate, opportunamente modulati anche rispetto
alle esigenze degli assistiti che eserciteranno la libera scelta
all’interno dei budget, al fine di garantire l’erogazione dei
LEA per i non autosufficienti.
L’intervento persegue, altresì,
l’obiettivo di riqualificazione del posizionamento dei Centri di
Servizi pubblici nella rete assistenziale al fine di aprirli al
territorio integrandoli e rendendoli punto di riferimento della
comunità locale nel settore dei servizi sociali, socio-sanitari e
sanitari. Nell’ambito della programmazione locale dovrà essere
considerata la possibilità di riconversione e diversificazione della
gamma delle prestazioni da essi erogabili: dalla residenzialità alla
domiciliarità, qualificando, in termini di presa in carico,
l’attuale sistema delle impegnative di cura domiciliari con la
possibilità di destinarle all’acquisto di prestazioni dai
medesimi Centri di Servizi. Inoltre i Centri di Servizi pubblici
attiveranno i corsi di formazione, il registro per l’utilizzo e la
collocazione degli assistenti familiari presso le famiglie che ne
facciano richiesta.
In tale contesto, assume valenza strategica la
riforma del sistema delle Istituzioni Pubbliche di Assistenza e
Beneficienza (I.P.A.B.), mediante la loro trasformazione in Aziende
Pubbliche di Servizi alla Persona (A.P.S.P.), con le seguenti
finalità, volte a garantire la modernizzazione, la riqualificazione,
l’efficienza e la sostenibilità nel tempo dell’intero
sistema delle nuove A.P.S.P.:
- prevedere la
costituzione delle nuove A.P.S.P. mediante la fusione e/o
l’aggregazione delle IPAB preesistenti su base distrettuale, anche
mediante percorsi intermedi di adeguamento graduale al nuovo assetto
organizzativo;
- riqualificare il ruolo
tecnico dei Direttori degli enti, anche mediante la costituzione di
elenchi di candidati professionalmente idonei a ricoprire tali
incarichi;
- valorizzare il ruolo
dei nuovi enti A.P.S.P. qualificandoli come soggetti della programmazione
regionale e della programmazione locale ed identificandoli quali partner
privilegiati nei processi di razionalizzazione dell’offerta
sociale, socio-sanitaria e sanitaria;
- prevedere una gestione
del patrimonio non strumentale, anche separata da quella relativa al core
business, secondo criteri di massima reddittività, nonché ai
fini della costituzione di un fondo di garanzia, quale strumento per la
riduzione dei costi di indebitamento e/o di ristrutturazione delle
complessive esposizioni debitorie delle A.P.S.P., con criteri di accesso
ai benefici del fondo rapportati ai conferimenti effettuati.
Inoltre, il sistema di mercato amministrato
delineato dalle regole del D.lgs. n. 502 del 1992 comporta la
necessità di rivedere i meccanismi di acquisizione di determinati
fattori e professionalità, tra cui rilevano i medici di medicina
generali, che ancora presentano rigidità non coerenti con le
dinamiche concorrenziali e con le difficoltà di reperimento dei
medesimi in ragione
della loro speciale disponibilità. Si
prescrive, pertanto, che l’assistenza medica a favore degli ospiti
non autosufficienti presenti nei Centri di Servizi venga assicurata
dall’Azienda ULSS di riferimento, incaricando uno o più medici
individuati dal Direttore Generale della medesima Azienda ULSS in accordo
con il Rappresentante Legale di ogni Centro di Servizi, tra i medici di
assistenza primario o di continuità assistenziale o in possesso
dell’attestato di scuola di formazione specifica in medicina
generale o dipendenti dell’Azienda ULSS o autorizzando il Centro di
Servizi ad incaricare uno o più medici di propria fiducia e di
comprovata esperienza o specializzazione attinenti l’assistenza
medica nei Centri di Servizi. Per quanto riguarda l’assistenza
medica specialistica saranno assicurati percorsi prioritari per favorire
l’accesso alle persone ospiti presso le strutture.
L’approccio di genere
nell’accesso ai servizi per il benessere delle
donne.
L’attività del SSSR in relazione alla
componente femminile della popolazione veneta è per molti aspetti
comune a quella definita in molte altre aree strategiche del presente
Piano. A tale proposito si sottolinea l’importanza
dell’offerta attiva di servizio per le procedure di screening per i
più rilevanti tumori femminili e allo sviluppo di Unità
dedicate alla cura dei più frequenti tra essi. Due aspetti peraltro
sono da segnalare perché specifici delle azioni che il sistema socio
sanitario deve svolgere per la salute e il benessere delle donne. Il
primo riguarda l’obiettivo di migliorare la diagnosi e il
trattamento della donna vittima di violenza e il secondo riguarda il
contrasto attivo di selezioni negative, e spesso sotterranee, fondate sul
genere nell’accesso a trattamenti e opportunità di
salute.
Andranno, altresì, ricercate in tale ambito
adeguate e specifiche azioni per le donne con disabilità.
La violenza contro le donne è oggi un fenomeno
diffuso e colpisce con dimensioni rilevanti anche la componente femminile
della popolazione veneta. Ha la sua matrice nella diseguaglianza ancora
persistente nei rapporti tra uomini e donne, diseguaglianza già
specificatamente individuata a partire dal 1993 dalla
“Dichiarazione sull’eliminazione della violenza contro le
donne” delle Nazioni Unite, che riconosce la violenza come un
fenomeno di carattere strutturale, non episodico o di carattere
emergenziale. La violenza intesa in questi termini richiede pertanto,
così come confermato dalla successiva legislazione nazionale - la
Legge Statale n. 119/2013 e il Piano d’azione straordinario contro
la violenza sessuale e di genere - un approccio multifattoriale, con un
insieme coordinato di interventi che spaziano dall’aspetto sociale,
a quello sanitario fino ad includere interventi per l’autonomia
abitativa e lavorativa della donna. Interventi che devono risultare in
grado di porre le donne nelle condizioni fisiche, psichiche, personali,
economiche di reale indipendenza da chi ha agito la violenza.
In Veneto, in base alla L.R. 5/2013, sono previste
strutture di accoglienza dedicate che si fanno carico della donna vittima
di violenza: i centri antiviolenza, le case rifugio e le case di secondo
livello. Strutture che operano su diversi livelli di intervento: dal
primo ascolto e analisi del problema, al supporto psicologico e di
riequilibrio personale, alla costruzione di un percorso di autonomia e
indipendenza e all’accoglienza abitativa. Le rilevazioni
sull’attività svolta dalle strutture di accoglienza nel 2016
registrano dati da considerare con molta attenzione: le segnalazioni e i
primi contatti ai centri antiviolenza sono stati 5.318 e le donne da
questi centri prese in carico 2.711. Questi numeri rispetto alla
popolazione femminile residente (2.518.601) evidenziano che per una donna
ogni 475 c’è una segnalazione/contatto al centro antiviolenza
per un possibile episodio di violenza mentre una donna ogni 900 è
stata presa in carico da un centro.
In termini generali, inoltre, la violenza verso le
donne costituisce un problema sociosanitario con conseguenze importanti
sui sistemi sanitari, perché interagisce pesantemente con il
potenziale di salute della popolazione. Gli interventi a favore delle
donne vittime di violenza sono anche previsti nel Decreto del Presidente
del Consiglio dei Ministri del 12 gennaio 2017 “Definizione
e
aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza,
di cui all’articolo 1, comma 7, del decreto legislativo 30 dicembre
1992, n. 502” all’articolo 24 lettera r) quali servizi
garantiti dal Servizio Sanitario nazionale. Le criticità registrate
dal sistema sanitario veneto al riguardo sono date da un lato dal ritardo
della individuazione della violenza nella diagnosi e dall’altro da
una non corretta presa in carico della donna, in particolare per le
conseguenze fisiche e psichiche che la condizione di maltrattamento
determina. Le azioni previste riguardano il riorientamento di servizi
esistenti (es. consultori familiari, dipartimenti di salute mentale, SERT
etc), la formazione di professionisti, in particolar modo dei Medici di
Medicina Generale (MMG), pediatri e del personale medico e
infermieristico attivi nei Pronto Soccorso e in specifici reparti
ospedalieri (ginecologia, ortopedia,...), e la definizione di percorsi
integrati. Nello specifico, i percorsi integrati devono riguardare
l’intera rete di servizi sanitari e sociali, la rete delle
strutture di accoglienza nonché altri attori coinvolti dal fenomeno
- come ad esempio le forze dell’ordine - per garantire la tutela
della donna e degli eventuali minori presenti nello stesso nucleo
familiare.
In particolare si prevede il potenziamento e
l’estensione del “Codice rosa”, con l’obiettivo
di uniformare le diverse esperienze, effettuate nelle singole ULSS, in un
percorso unico regionale che si attivi qualunque sia la modalità di
accesso al servizio sanitario, in area di emergenza-urgenza,
ambulatoriale o di degenza ordinaria, con precise procedure di allerta ed
attivazione dei successivi percorsi territoriali, nell’ottica di un
continuum assistenziale e di presa in carico globale.
Per quanto attiene le selezioni negative fondate sul
genere, con il presente Piano si intende mettere in campo una serie di
azioni sistemiche che ne permettano l’emersione, aumentando la
consapevolezza degli attori e dei decisori. A tale riguardo è
necessario che le informazioni derivanti dal patrimonio informativo
disponibile in Regione siano analizzate anche seguendo un approccio di
genere, al fine di mettere in luce le distorsioni e definire le azioni
specifiche da intraprendere. Anche in questo caso la formazione e
l’aggiornamento costituiscono strumenti preziosi per il
riorientamento delle abitudini e l’eventuale riorganizzazione di
alcune proposte assistenziali.
Il volontariato come
risorsa
La Regione del Veneto è caratterizzata da una
forte componente del volontariato con oltre un milione di soci volontari
impegnati nelle Associazioni di volontariato e quattrocentomila soci
inseriti nelle associazioni di promozione sociale. Il registro regionale
fotografa una situazione in cui le associazioni impegnate nel settore
sociale e socio sanitario rappresentano il numero più
consistente.
Il volontariato è dimostrazione di un
cambiamento significativo nel rapporto tra l’Amministrazione
pubblica ed i cittadini, che partecipano e si organizzano per rispondere
ai bisogni della società.
Nel tempo è cresciuta la componente orientata
alla gestione di servizi, sostenuta da una professionalizzazione delle
competenze dei volontari, ne sono un esempio il volontariato il campo
sanitario, socio sanitario e sociale per quanto riguarda
l’assistenza, il trasporto ed il sostegno alla persona. Il
volontariato si distingue nell’area sanitaria dove ha assunto
compiti di servizio ad elevata standardizzazione (soccorso ed emergenza)
e nella protezione civile.
Emergono le plurime funzioni del volontariato che
escono dalla funzione strettamente solidaristica per esprimere valori
orientati verso attività di natura promozionale in vari settori
della vita sociale anche producendo servizi e/o beni comuni altrimenti
indisponibili. In tale visione il mondo del volontariato si conferma come
promotore e produttore di interventi e di servizi che migliorano la
qualità della vita di tutti i cittadini. Questo ha determinato
processi di innovazione sociale che si è tradotta, in alcuni casi,
anche nell’innovazione organizzativa. Il volontariato, inteso nel
senso più ampio, si attesta come soggetto in cui si verifica la
corresponsabilità nella realizzazione di un
welfare mix partecipato, che tenga conto della
competenza dei servizi socio-sanitari, che sono responsabili del progetto
di cura e assistenza della persona, e con essi integrati ed attraverso il
quale vi è la diffusione della cultura della cittadinanza
attiva.
Per quanto riguarda il dono, pare utile attivare e
sostenere, tramite un’adeguata campagna informativa, tale
importante momento che costituisce fondamento per la società. La
promozione degli incontri potrà avvenire tramite i Centri servizi di
volontariato, rivolgendosi in particolare alle giovani generazioni e alla
popolazione studentesca, così da sensibilizzarla per promuovere i
servizi di urgenza ed emergenza ed il tema delle donazioni. Sarà
importante conoscere e monitorare la situazione legata al dono, in
termini di persone dedite alla donazione, utile istituire un tavolo di
coordinamento che coinvolga le associazioni. Verrà dedicata una
giornata specifica alla cultura della donazione.
9.2. LE DIPENDENZE
In Veneto, negli ultimi anni, si conferma
l’incremento dell’uso e dipendenza da sostanze psicotrope e
dell’abuso dell’alcol. L’assunzione di sostanze quali
cocaina, anfetamine, “droghe ricreazionali” è in
costante aumento e le modalità assuntive comportamentali vengono
sempre più a configurarsi come rituali sociali.
Mentre si configura stabile il consumo e il numero
di persone dipendenti da eroina, si registrano fenomeni nuovi, come la
diffusione tra le giovani generazioni del consumo di alcol, l’uso
improprio di farmaci e di vari tipi di sostanze, purtroppo, tutti
associati all’abbassamento dell’età per il primo consumo
nonché altre forme di dipendenza, fra le quali quella da utilizzo di
strumenti elettronici e la dipendenza da gioco.
Con la diffusione di Internet e delle tecnologie
associate, si sono diffuse nuove forme di dipendenze non legate
all’assunzione di sostanze, ma a comportamenti compulsivi, come il
gioco d'azzardo on line o l’utilizzo di strumenti senza i quali
l'esistenza sembra diventare priva di significato.
Permane il consumo di tabacco, che costituisce un
importante fattore di rischio per la salute: a fronte di una riduzione
del numero dei fumatori adulti, si assiste all’accrescimento del
consumo tra i più giovani.
L’approccio socio sanitario alle dipendenze
considera, in particolare, la tossicodipendenza come condizione della
persona con bisogni e problemi sanitari, psicologici e sociali.
La riorganizzazione dei servizi delle dipendenze
comporta l’adeguamento del numero e della tipologia degli stessi
alle esigenze della domanda, in una prospettiva di qualità ed
appropriatezza del servizio offerto.
L’introduzione del concetto di
“programma terapeutico individualizzato” che include le
prestazioni ritenute necessarie e appropriate, collegato alle
responsabilizzazione sulla gestione delle risorse economiche, dovrebbe
consentire alle Aziende ULSS di salvaguardare la piena corrispondenza tra
livelli di qualità previsti e quelli effettivamente erogati.
Rappresentano azioni prioritarie della
programmazione regionale da coordinare all’interno dei piani di
zona:
- nella prevenzione
primaria e selettiva:
• garantire informazione ed educazione alla
popolazione giovanile per prevenire i danni causati dall’uso del
tabacco, delle sostanze stupefacenti e dell’abuso di farmaci ed
alcolici;
• adottare programmi di prevenzione efficace
superando la logica dei singoli progetti territoriali;
• diffondere capillarmente i modelli di
intervento preventivo nei luoghi del consumo sociale e tradizionale
(coordinamento Safe Night) i quali, nati in Regione Veneto, sono stati
adottati su scala nazionale sulla base delle caratteristiche di efficacia
e impatto sulla popolazione. Tali programmi, basati sulla collaborazione
tra pubblico e privato:
a) abbassano ulteriormente la soglia di accesso ai
servizi;
b) permettono di raggiungere un target non
raggiungibile da altre forme di interventi tradizionali (scuole, lavoro,
ecc.);
c) utilizzano forme di comunicazione in continuo
aggiornamento;
d) offrono l’accesso in tempo reale a dati sul
consumo e sulle abitudini della popolazione utilizzabili in altri ambiti
(politiche giovanili, nomadismo notturno, contrasto a bullismo e
cyber-bullismo, iniziazione al gioco d’azzardo, ecc.)
• potenziare la promozione di comportamenti e
stili di vita sani in collaborazione con le famiglie;
• favorire il coinvolgimento attivo
dell’ente locale, della conferenza dei sindaci, del mondo della
scuola, dello sport, delle realtà parrocchiali, del volontariato e
dell’animazione, di tutti gli adulti significativi con funzioni
educative nei confronti dei bambini e degli adolescenti.
- nella cura e la
riabilitazione:
• favorire la presa in carico territoriale
dell’utenza il più precocemente possibile, mediante la
definizione di adeguati percorsi di cura e riabilitazione, in particolare
per le persone con doppia diagnosi;
• definire per l’utenza in carico
adeguati progetti personalizzati di cura e di riabilitazione;
• puntare al superamento della cronicità
assistenziale dei soggetti dipendenti da sostanze, attraverso la
promozione di un utilizzo più congruo del metadone e la
progettazione di percorsi socio-sanitari al fine di favorire il
reinserimento e l’integrazione sociale attraverso
l’attivazione di percorsi socio-lavorativi efficaci.
• accompagnare le famiglie coinvolte nel
percorso terapeutico del loro congiunto, attraverso un sostegno specifico
(psico-educazionale) e/o l’inserimento in gruppi di
auto-aiuto;
• individuare idonee strategie per coinvolgere
i minori e le loro famiglie, in particolare attraverso la realizzazione
di “spazi neutri non connotati”.
In materia di gioco d’azzardo patologico,
nella nostra Regione risulterebbe un livello di problematicità
superiore rispetto alle altre regioni del nord Italia (+ 0.8%) stimabile
in 32.500 giocatori ad alto livello di problematicità.
La letteratura scientifica riporta che circa
l’85-90% dei giocatori problematici non si rivolge ai servizi
pertanto l’utenza attesa stimata a livello regionale è di
almeno 3.200-3.700 persone.
Per far fronte a questa nuova emergenza è stato
predisposto un Piano regionale che articola le attività per
macroaree:
- governance,
- prevenzione,
- cura e
riabilitazione,
- ricerca.
Il piano vedrà l’applicazione attraverso
progettualità locali che si affiancano ai programmi terapeutici
già attivi e con finalità e obiettivi generali volte a ridurre
l’impatto gioco d’azzardo rafforzando azioni diversificate
per specifici target di popolazione.
Oltre al giocatore e alla sua famiglia, sono
previste azioni di sensibilizzazione e formazione in ambito scolastico
per studenti, insegnanti e altri lavoratori della scuola, genitori,
Amministratori locali, operatori dei servizi sociali comunali, del
privato sociale e dell’associazionismo, operatori e gestori dei
punti gioco, professionisti e Forze dell’Ordine, popolazione in
generale.
Obiettivi nella cura e riabilitazione:
- potenziamento
dell'accessibilità e organizzazione dei Servizi,
- ampliamento
dell'offerta e delle tipologie di cura,
- aggiornamento e
formazione degli operatori e dei servizi sanitari,
- sperimentazione di
forme di trattamenti residenziale e semiresidenziale.
L’attuazione di queste azioni strategiche, che
caratterizzerà la programmazione regionale, sarà garantita
dalla sinergia tra:
- servizi per le
dipendenze attivi in tutte le Aziende ULSS in integrazione con le diverse
componenti aziendali (distretto, dipartimento di prevenzione,
ecc.);
- la Conferenza dei
Sindaci;
- i Comitati dei Sindaci
di Distretto;
- l’integrazione
pubblico-privato sociale, nonché la rete del volontariato
locale.
I servizi per le Dipendenze sono collocati nei
Dipartimenti per le Dipendenze. Le Aziende ULSS saranno, inoltre,
chiamate a definire:
- la graduale messa a
regime, come attività ordinaria, delle azioni previste dalla
progettualità dei territori, per quanto attiene alle attività
di prevenzione e di reinserimento sociale;
- il sostegno alla rete
del volontariato, soprattutto nell’area alcologica, per potenziare
la rete dei gruppi di auto-mutuo aiuto operanti nel territorio
regionale;
- l’attività
di informazione, di assistenza specialistica medica, psicologica e
supporto sociale per le persone e le famiglie con disturbi da Gioco
d’Azzardo;
- la promozione di
modelli finalizzati all’autonomia, che prevedano la partecipazione
attiva ai percorsi di cura e riabilitazione da parte dell’utente e
della sua famiglia;
- il monitoraggio nel
territorio delle strutture residenziali e semiresidenziali, garantendo la
fase riabilitativa intensiva anche per quegli utenti particolarmente
gravi e cronici.
Saranno, inoltre, definiti in modo puntuale:
- il monitoraggio nel
territorio delle strutture residenziali e semiresidenziali, garantendo la
fase riabilitativa intensiva anche per quegli utenti particolarmente
gravi e cronici, mediante un utilizzo congruo delle risorse
dedicate;
- la graduale messa a
regime, come attività ordinaria, delle azioni previste dalla
progettualità dei territori, per quanto attiene alle attività
di prevenzione e di reinserimento sociale;
- il sostegno alla rete
del volontariato, soprattutto nell’area alcologica, per potenziare
la rete dei gruppi di auto-mutuo aiuto operanti nel territorio
regionale;
- attività di
informazione, di assistenza specialistica medica, psicologica e supporto
sociale per le persone e le famiglie con disturbi da Gioco
d’Azzardo;
- la promozione di
modelli finalizzati all’autonomia, che prevedano la partecipazione
attiva ai percorsi di cura e riabilitazione da parte dell’utente e
della sua famiglia.
Le risorse umane e strumentali impiegate nei Servizi
per le dipendenze dovranno essere standardizzate in relazione a programmi
appropriati, in costante riferimento alla valutazione degli esiti di cura
e in conformità alla adeguata determinazione dei costi standard
relativi.
9.3. L’INFANZIA,
L’ADOLESCENZA E LA FAMIGLIA
Di fronte ai costanti e molteplici mutamenti degli
stili di vita che caratterizzano l’odierna società, la
famiglia mantiene la propria identità. Non si tratta di
trasformazione, ormai ben consolidata con il passaggio dalla famiglia
patriarcale alla famiglia mononucleare, bensì di modificazioni del
tessuto sociale interconnesso con le innovazioni tecnologiche, le nuove
modalità di comunicazione e lo sviluppo imprevedibile dei sistemi
economici e di mercato.
Il panorama veneto attuale, che vede emergere
bisogni caratterizzati da un aumento trasversale sia della
complessità assistenziale sia degli interventi da mettere in atto
per farvi fronte, in una prospettiva di welfare di comunità, pone la
famiglia al centro delle dinamiche sociali, economiche, culturali,
attribuendole il ruolo effettivo di soggetto di politica sociale.
L’approccio che viene adottato prevede sì l’adozione di
misure di supporto alla famiglia, finalizzate alla risoluzione di
situazioni di disagio, ma anche, per uscire da un’ottica puramente
assistenzialistica, il sostegno, la promozione e il potenziamento delle
capacità della famiglia per ricoprire il ruolo attivo che oggigiorno
le viene affidato.
In questo contesto, "pensare" ad un moderno sistema
di servizi alle persone significa assumere come paradigma culturale,
strategico ed operativo la persona, il suo ambiente di vita e le sue
relazioni: ogni individuo è unico ed irripetibile, portatore di un
proprio patrimonio di storia, valori, tradizioni ed è quindi
potenziale risorsa della comunità. Assumere come prospettiva la
persona e i suoi “territori” significa valorizzare i sistemi
(reti) di relazioni, l'appartenenza ad una cultura, ad un sistema di
valori: riconoscere la famiglia quale soggetto fondante e fondamentale
per le comunità.
L’evoluzione del welfare in una prospettiva di
comunità propone la centralità della famiglia nelle dinamiche
sociali, economiche, culturali attribuendole il ruolo effettivo di
soggetto di politica sociale, specie in riferimento alle politiche
fiscali, del lavoro, scolastiche e sanitarie. Di qui la necessità di
introdurre riforme organizzative dei servizi, improntate su criteri di
qualità, di efficienza, di produttività, di riqualificazione,
per far fronte ai nuovi bisogni sociali, valorizzando le risorse presenti
e disponibili nelle comunità locali, a partire dalle famiglie
stesse, secondo il principio di sussidiarietà.
Le politiche per la famiglia, l’infanzia, i
minori ed i giovani devono prevedere, tra le altre, azioni volte al
sostegno della genitorialità in tutte le sue fasi, in una visione
complessiva dei servizi che ponga al centro il ruolo della famiglia e che
sviluppi una integrazione socio-sanitaria: una valida sintesi tra
famiglia, bambini e ragazzi, servizi e comunità. A tal fine risulta
strategica la collaborazione tra i soggetti pubblici e privati del
territorio, valorizzando il principio di sussidiarietà.
Il sostegno alla genitorialità deve realizzarsi
anche attraverso un’adeguata offerta di servizi per la prima
infanzia, in coerenza con gli obiettivi definiti dalla Strategia di
Lisbona. I servizi per la prima infanzia, infatti, sono essenziali da un
lato per perseguire obiettivi di tipo educativo nei confronti dei bambini
e della famiglia e dall’altro per garantire alla famiglia la
possibilità di condurre una vita sociale e produttiva adeguata, per
vivere le problematiche della prima infanzia in sintonia con altri nuclei
familiari e/o contesti omologhi.
Questa area si connota per una elevata integrazione
socio-sanitaria che include il Consultorio familiare, quale servizio
territoriale rivolto al singolo, alla coppia ed alla famiglia, il
servizio di età evolutiva/neuropsichiatria infantile rivolto ai
minori con difficoltà evolutive, disturbi dell’apprendimento
(tra cui anche la dislessia), disturbi relazionali e del comportamento in
ambito familiare, disturbi neurologici e psicopatologici, nonché i
servizi per la protezione e la tutela dei minori.
L’integrazione socio-sanitaria è qui
finalizzata a garantire una presa in carico globale della persona; in
tale prospettiva interventi preventivi e
diagnostico-terapeutici-riabilitativi devono ristabilire il benessere
fisico, psicologico, sociale, affettivo e relazionale. Al contempo,
diviene opportuno seguire la famiglia lungo il suo ciclo di vita, per
porre particolare attenzione al contesto e coinvolgimento nelle azioni di
tutti i soggetti che nel Veneto partecipano alla realizzazione di
specifici interventi di protezione sociale e di tutela giurisdizionale
(Enti locali, scuola, famiglie affidatarie, enti di gestione delle
comunità di accoglienza, tutori volontari, curatori speciali,
Garante regionale dei diritti della persona, Autorità Giudiziaria,
Centro di Giustizia minorile, volontariato, Forze di polizia).
Nell’ambito delle politiche per la famiglia si
vede la necessità di realizzare una programmazione duratura nel
tempo così da andare verso un piano poliennale per la famiglia che
incentivi e attivi politiche di sviluppo attraverso azioni rivolte al
sostegno della genitorialità, dei minori, dell’affidamento
familiare, delle adozioni, degli Sportelli famiglia, dei Consultori
Familiari Socio- Educativi, delle azioni per la conciliazione
famiglia-lavoro e delle alleanze per la famiglia. In questo contesto
s’inserisce la promozione dell’associazionismo familiare
(reti di famiglie a supporto di minori, di persone con disabilità,
di persone anziane). Nel promuovere la famiglia si terrà conto
dell’utilità di attivare sinergie con altri assessorati e con
i territori e gli enti locali che possono pensare alla famiglia come
risorsa (ad esempio nelle materie del turismo, del commercio, dei
trasporti pubblici, della cultura, dell’intrattenimento e dello
sport).
In riferimento all’integrazione
socio-sanitaria per l’infanzia, l’adolescenza e la famiglia
il Piano individua i seguenti obiettivi strategici:
− promuovere la centralità della famiglia
nelle dinamiche sociali, economiche, culturali attraverso:
• politiche e coordinamento di piani e
programmi per la famiglia in tutti i settori in cui le realtà
familiari incidono, ricercando modalità efficaci ed innovative in
una logica di rinnovamento, promozione e di conciliazione dei tempi di
vita e di lavoro e prendendo altresì in considerazione tutte le fasi
di vita del gruppo famiglia;
• rafforzamento di iniziative a favore di
famiglie in difficoltà al fine di prevenire disagi
conclamati;
• interventi di programmazione e
consolidamento dei consultori familiari e dei servizi socio sanitari in
materia di abuso sessuale e grave maltrattamento a favore dei minori e
delle loro famiglie
- promuovere, sostenere
e qualificare i servizi educativi per la prima infanzia attraverso: il
sostegno finanziario alle scuole dell’infanzia non statali.
- implementare,
sostenere e valorizzare i Consultori Familiari Socio-Educativi,
proseguendo nella costruzione di un percorso che favorisca il loro
sviluppo, anche attraverso l’opportunità di rientrare tra i
Servizi previsti dall’Allegato A della L.R. 22/2002;
- consolidare il sistema
dei servizi 0-3 anni potenziando il raccordo con le scuole dell'infanzia
per attuare il sistema formativo dalla nascita fino a sei anni, in
particolare promuovendo la sperimentazione di
azioni/progettualità/continuità con la scuola
dell'infanzia;
- assicurare, garantire
e promuovere la protezione e la tutela dei minori e delle loro famiglie
in difficoltà attraverso:
• la programmazione di azioni e governo dei
processi volti alla costruzione, al consolidamento, alla valorizzazione e
all’armonizzazione di un efficace sistema di
protezione e cura, oltre che di programmazione,
sviluppo e sostegno di azioni di accompagnamento nei processi adottivi
nell’ambito del sistema veneto adozioni;
• la valorizzazione di percorsi di
qualità per servizi educativi integrativi, al fine di creare
un’offerta di servizi omogenea ed offrire alle famiglie venete un
servizio integrativo innovativo e flessibile capace di rispondere ai loro
bisogni
- favorire la
partecipazione dei giovani a processi di cittadinanza attiva
mediante:
• l’avvio di piani di intervento in
materia di politiche giovanili relativi alle aree scambio generazionale,
creatività e cittadinanza attiva, elaborati e proposti dai comitati
dei Sindaci di Distretto;
• la promozione di interventi nel settore del
servizio civile nazionale/universale e regionale, con particolare
attenzione alla cittadinanza attiva e al supporto delle politiche sociali
regionali.
Particolari azioni da sostenere e potenziare,
laddove necessario in accordo con gli Enti locali:
- consolidare le opere a
sostegno delle neo-mamme a rischio psicologico ed il supporto alla donna
in gravidanza, in stretta collaborazione con l’Ospedale;
- rafforzare le
attività volte alla prevenzione delle gravidanze indesiderate ed il
monitoraggio delle malattie sessualmente trasmissibili;
- seguire e condurre le
coppie e le famiglie disponibili all’adozione, tramite le equipe-
adozioni composte da operatori specializzati come riferimento per tutto
il percorso adottivo, fino all’ingresso del minore nel nucleo
familiare, e il consolidamento dell’affido etero familiare nelle
varie tipologie favorendo una gestione associata tra Comuni;
- accrescere azioni
volte alla creazione delle “reti di buon vicinato” tra le
famiglie per il sostegno nella gestione dei tempi di cura (es. genitori
anziani, figli, housing sociale, ecc.);
- fortificare le
modalità di attività di ascolto, di educazione alla
relazionalità, all’affettività e alla sessualità e
di formazione e avvio alla genitorialità responsabile per
adolescenti e giovani;
- sviluppare degli
interventi di supporto alle famiglie in caso di crisi coniugale o di
eventi particolarmente rilevanti, attraverso la mediazione familiare, la
consulenza legale per le eventuali informazioni relative alla
separazione;
- accrescere le
politiche di promozione del benessere e tutela per i minori attraverso
gli strumenti già sviluppati nel Veneto, quali: servizio di
didattica territoriale, centri educativi e ricreativi, progetti giovani,
gruppi sportivi e di volontariato;
- sostenere gli
interventi di prevenzione e di trattamento delle situazioni di disagio e
di tutela del minore in caso di maltrattamento, abuso o violazione dei
suoi diritti, della sua dignità, dell’integrità e della
libertà personale;
- rafforzare i servizi
nella rete ospedaliera ed extra-ospedaliera (residenziali e
semiresidenziali) a favore dei soggetti in età evolutiva affetti da
disturbi neurologici e psicopatologici, ivi inclusi i minori con
provvedimento dell’Autorità giudiziaria;
- valorizzare
l’attività del garante dei diritti alla persona nella
formazione degli amministratori di sostegno;
- supportare, in
collaborazione con il Garante regionale dei diritti della persona (L.R.
37/2013), le iniziative di sensibilizzazione, monitoraggio e vigilanza
dello stato di effettività ed attuazione dei diritti dei minori, in
sintonia con i dettati normativi internazionali ed
europei, in rete con i diversi soggetti che a vario
titolo hanno competenze e responsabilità rispetto ai minori;
- sviluppare la
riedizione periodica delle Linee Guida per la protezione e la tutela dei
minori, nonché delle Linee Guida dei Consultori Familiari, le Linee
Operative in materia di abuso sessuale e grave maltrattamento;
- elaborare in
collaborazione con i comitati dei sindaci di distretto, i soggetti del
terzo settore e l’associazionismo del territorio, il piano di
intervento di promozione delle politiche giovanili;
- promuovere azioni di
formazione, sensibilizzazione e monitoraggio di progetti
nell’ambito del servizio civile, supportando enti pubblici e del
terzo settore e coinvolgendo le giovani generazioni al valore sociale e
civile del volontariato, alla cittadinanza attiva e all’impegno
civico;
- con riferimento al
Piano Nazionale per la Tutela e lo Sviluppo dei soggetti in età
evolutiva, si procederà ad adottare un nuovo Piano Regionale di
azione per la tutela e lo sviluppo dei soggetti 0-17 anni.
Pur non rappresentando un problema di natura socio
sanitaria, a meno che non vi sia sovrapposizione con problematiche che
richiedono l’assistenza psicologica o psichiatrica, esiste un
nutrito numero di persone giovani che non studiano, non lavorano e non
svolgono alcun tipo di attività, si tratta dei giovani compresi
nell’età fra i venti ed i trent’anni, o più, ancora
dipendenti dalla famiglia e quindi privi di propria autonomia, economica,
psicologica ed affettiva. In accordo con gli Enti locali, laddove
necessario, saranno promosse azioni volte a consolidare, accrescere e
fortificare quanto intrapreso e il percorso già avviato nelle
molteplici aree tematiche di interesse, in particolare promuovendo le
azioni di Garanzia Giovani.
9.4. PROMOZIONE DEL WELFARE
GENERATIVO
Il welfare generativo ha l’obiettivo di
valorizzare le capacità delle persone che ricevono contributi o
assistenza da parte della rete dei servizi sociali e del terzo settore.
Mettere al centro le persone e le loro capacità, e non soltanto i
loro bisogni, è una sfida per professionisti, volontari, operatori
di servizi pubblici e privati, soggetti con responsabilità
politiche, per superare le pratiche assistenzialistiche e dotare chi vive
in povertà non soltanto di supporti economici, ma di strumenti utili
a migliorare le proprie condizioni di vita.
Il sistema di welfare ha continuato (e continua) a
proporre offerte generalizzate in risposta ai bisogni delle persone,
senza tenere in considerazione le potenzialità generative delle
persone e dei luoghi di vita. Anche L’Unione europea punta molto
sull’innovazione. Innovazione degli approcci, delle metodologie e
delle tecniche che riguardano la spesa per il welfare.
Il cambiamento di prospettiva insito nei fondamenti
del welfare generativo prevede che la centralità non sia più
dei costi, bensì delle risorse che possono essere investite.
Il welfare generativo considera in primis le persone
come risorse (e non unicamente come destinatari di spesa sociale e
sociosanitaria). In secondo luogo è necessario ripensare al "ruolo
più ampio del welfare state come investimento" e non solo come un
impedimento alla crescita economica.
La sfida per la società attuale è riuscire
a trovare le modalità più idonee per generare, far emergere,
utilizzare, condividere, rigenerare le risorse e capacità, di ogni
tipo, sia materiali che
immateriali, delle persone, delle famiglie e delle
comunità.
Bisogna guardare oltre al welfare state come
un’istituzione in crisi e analizzarlo come un fattore produttivo di
occupazione e di aiuto allo sviluppo del capitale umano e sociale a
disposizione, generatore (generativo) di risorse, ovvero di capitale e
valore umano e sociale.
Il termine “capitale sociale” indica
l’insieme delle relazioni interpersonali, formali ed informali,
essenziali per il funzionamento anche di società complesse ed
altamente organizzate o la somma delle risorse, materiali o meno, che
ciascun individuo o gruppo sociale ottiene grazie alla partecipazione a
una rete di relazioni interpersonali basate su principi di
reciprocità e mutuo riconoscimento.
In genere le risorse di natura economica, fornite
attraverso il sistema di welfare, sono considerate esaurite nel momento
in cui vengono usufruite, in realtà le risorse economiche possono
essere ri- generate. Ad esempio la risorsa economica utilizzata per
fornire un sussidio di disoccupazione si trasforma in una risorsa-tempo
investita per curare il verde pubblico, che a sua volta costituisce
un’altra risorsa fruibile. La visione del welfare generativo in
termini di risorse è più calzante perché moltiplicativa di
valore rispetto a quella che propone di vedere una sorta di scambio,
quasi un do ut des, uno scambio tra una prestazione sociale di tipo
economico e una prestazione.
Infine, un’altra importante dimensione del
welfare da tenere in considerazione riguarda la coesione sociale, infatti
la funzione redistributiva propria dei sistemi sociali europei riveste
anche un ruolo fondamentale di coesione sociale.
L’aiuto unidirezionale dai sistemi di welfare
verso gli utenti, sebbene nel breve termine costituisca una soluzione ai
bisogni, contribuisce alla diminuzione della dignità delle persone
che richiedono aiuto e della loro autostima. Il nuovo modello di welfare
generativo invece propone un approccio in cui le risorse e le
capacità degli utenti sono valorizzate, punta sull’empowerment
e sulla generazione e rigenerazione delle risorse. L’ottica con cui
si guarda ai sistemi di welfare è centrata sulle risorse e sui
possibili investimenti, non sui costi.
Il welfare generativo può essere costruito
valorizzando i fondamentali di welfare a nostra disposizione. È
però necessario aggiungere al “raccogliere e
redistribuire” tre altre leve strategiche: “rigenerare,
rendere, responsabilizzare”. La ricetta del welfare generativo
è dunque costituita da 5 R. Infatti alcune strategie che potremmo
definire “rigenerative” sono già in uso nel lavoro
sociale, in particolare nel lavoro di rete e nella metodologia che
prevede non solo l’adesione dell’utente al progetto
individualizzato, ma anche la sua collaborazione attiva, strategia che si
può sintetizzare nella frase: “non posso aiutarti senza di
te”. Quindi non è soltanto la partecipazione ad un percorso,
ma il riconoscimento di proprie competenze che possono essere utilizzate
e considerate come risorse rigenerative e rigenerabili.
È necessario però un cambiamento di
approccio, infatti la spesa sociale in Italia continua a basarsi
prevalentemente su trasferimenti pubblici, piuttosto che su servizi
moltiplicativi di valore perché finalizzati ad aiutare ad
aiutarsi.
La crisi economica che la società occidentale
sta vivendo è una crisi di tipo sistemico che impatta su molti
settori, tra cui il welfare: le risorse non possono aumentare, devono
essere riqualificate, devono dare un maggior rendimento, vanno verificati
il loro utilizzo e i loro esiti.
Valorizzare le capacità delle persone,
considerare le capacità, le risorse e non solo i bisogni e i costi.
Questo pensiero costituisce il cuore delle politiche che si ispirano ad
un’ottica di welfare generativo. È possibile trasformare la
spesa sociale da costo a investimento, con l’aiuto e le
capacità delle persone in condizione di bisogno!
Considerando quindi che i servizi rendono più
dei trasferimenti, il futuro del welfare sarà quello di indirizzare
maggiori risorse verso i servizi, oppure verso i trasferimenti a fronte
di un servizio svolto dal ricevente a vantaggio della comunità. In
questo modo si potrebbe risolvere in parte l’annosa questione della
sostenibilità dei sistemi di welfare, che sono finanziati
essenzialmente attraverso le imposte sul reddito e sui consumi.
In conclusione "il maggiore rendimento dei servizi
può essere sintetizzato in quattro modi: occupazione di welfare,
valore trasformativo dell’aiuto professionale, maggiore rendimento
delle risorse, efficacia misurabile.
Le sperimentazioni multicentriche realizzate in
ambito sociale e sociosanitario dalla Fondazione Zancan, nel Veneto e in
altre regioni, evidenziano i potenziali di costo/risultato, di
costo/efficacia e di impatto sociale delle pratiche generative. È
innovazione che nasce dal Veneto e che anche oggi nella nostra Regione
prefigura la nostra capacità e possibilità di innovare le
politiche sociosanitarie e trasformarle da costo a investimento
economico, umano e sociale.
La logica del welfare generativo prevede che
l’erogazione di prestazioni sociali e sociosanitarie sia correlata
allo svolgimento di attività di utilità sociale.
L’ipotesi di accompagnare l’erogazione di una prestazione da
parte degli enti pubblici, con la previsione di una prestazione da parte
dei soggetti beneficiari finalizzata a porre in essere azioni a vantaggio
di altri, costituisce un “dare e avere” reciproco, nel quale
le varie dimensioni della solidarietà si combinano e producono un
“valore aggiunto” positivo per tutti. Questo è veramente
il cuore dell’innovazione sociale che la logica del welfare
generativo può apportare.
Alla luce di quanto esposto la Regione promuove e
sostiene il welfare generativo come modalità innovativa del sistema
regionale di welfare.
9.5. LA MARGINALITÀ E
L’INCLUSIONE SOCIALE
Al fine di concorrere all’attuazione delle
politiche di contrasto della povertà e della grave marginalità
(persone senza dimora, persone vittime di tratta e/o grave sfruttamento),
in linea con la programmazione comunitaria e nazionale, la Regione del
Veneto intende promuovere un’azione di rete con i vari interventi
regionali di contrasto alla povertà e alla grave marginalità
(sociali, socio-sanitari, della formazione, del lavoro e con il privato
sociale), ed un’azione di coordinamento dei servizi territoriali
impegnati nella progettazione personalizzata multidimensionale, che si
attua attraverso équipe multidisciplinari e che mira ad
un’inclusione sociale delle persone e delle famiglie.
A tal proposito le disposizioni normative a livello
nazionale rappresentano un’occasione fondamentale per ripensare a
livello regionale la programmazione di settore.
Gli obiettivi generali regionali, che saranno
raggiunti attraverso il conseguimento degli effetti combinati degli
obiettivi specifici di ciascun partner, all’interno
dell’obiettivo tematico “9 Inclusione sociale” del
Fondo Europeo di Sviluppo Regionale (FESR) Inclusione sociale,
sono:
- - diffondere
all’interno del territorio regionale le pratiche di “presa in
carico” fondate sulla valorizzazione della rete locale dei servizi,
per la realizzazione di un percorso che privilegi la politica
abitativa;
- - favorire il
passaggio da una cultura del bisogno e dell’assistenza incentrata
su un “approccio a gradini”, ad una cultura della
possibilità in cui la casa rappresenta l’intervento primario
di percorsi di integrazione sociale;
- - promuovere un
approccio di inserimento anche dei servizi e degli interventi di bassa
soglia, all’interno di un più ampio sistema integrato di lotta
alla emarginazione adulta superando una logica emergenziale;
- - armonizzare la
progettazione, le modalità di attuazione, di monitoraggio e
valutazione per una maggiore efficacia nella gestione degli interventi;
mediante analisi degli impatti e individuazione di nuove linee di
intervento.
Inoltre, una delle sfide individuate nel documento
“Europa 2020” è quella sociale, rispetto alla quale la
Regione del Veneto ha inteso riservare una particolare attenzione alle
condizioni di fragilità sociale presenti nel territorio attraverso
l’Asse 6 “Sviluppo Umano sostenibile” del POR FERS
2014-2020. L’intento è di perseguire il miglioramento duraturo
della vivibilità e della sostenibilità, ponendo particolare
attenzione alle fasce disagiate e alla marginalità, mediante
l’attuazione di strategie per lo sviluppo sostenibile. Le azioni
dovranno reggersi sugli strumenti di pianificazione e programmazione
vigenti in quanto finalizzate al rafforzamento delle politiche
ordinarie.
La Regione del Veneto, adotterà un atto, anche
nella forma di un Piano regionale per la lotta alla povertà, di
programmazione dei servizi necessari per l'attuazione di forme di
sostegno al reddito come livello essenziale delle prestazioni, nel
rispetto e nella valorizzazione delle modalità di confronto con le
autonomie locali e favorendo la consultazione delle parti sociali e degli
enti del Terzo settore territorialmente rappresentativi in materia di
contrasto alla povertà.
Nell'atto di programmazione andranno individuati
specifici rafforzamenti su base triennale del sistema di interventi e
servizi sociali per il contrasto alla povertà, tenuto conto della
programmazione nazionale. Tali previsioni avranno una ricaduta diretta
nel contesto degli ambiti territoriali individuati nella Regione del
Veneto nei comitati dei sindaci delle aziende Ulss di cui alla
L.R. 19/2017. All’interno di tali ambiti la
Regione individuerà le modalità di collaborazione e di
cooperazione tra i servizi sociali e gli altri enti od organismi
competenti per l'inserimento
lavorativo, l'istruzione, la formazione, le
politiche abitative e la salute, disciplinando in particolare le
modalità operative per la costituzione delle équipe
multidisciplinari e per il lavoro in rete finalizzato alla realizzazione
dei progetti personalizzati. I Comuni, inoltre, coordinandosi a livello
di ambito, in attuazione del piano regionale, dovranno adottare atti di
programmazione ordinariamente nella forma di una sezione specificamente
dedicata alla povertà nel piano di zona di cui all'articolo 19 della
legge n. 328 del 2000.
Una governance integrata tra i diversi settori
sarà finalizzata a rafforzare il ruolo del sistema del welfare anche
mediante l’avvio di un sistema informativo regionale, finalizzato
al monitoraggio della presa in carico delle persone e delle famiglie e
alla conoscenza del fenomeno del disagio sociale ed economico della
popolazione veneta.
Tale strumento consentirà il coordinamento con
i sistemi informativi già avviati, sia a livello nazionale che
regionale, e la valutazione dei bisogni e delle prestazioni/servizi di
cui le persone e le famiglie beneficiano o potranno beneficiare.
Nell’ambito della gestione di categorie di
bisogno complesso è da considerare la tutela della salute dei
detenuti in quanto è necessaria la collaborazione
inter-istituzionale con settori quali l’amministrazione
penitenziaria e la magistratura. La sanità penitenziaria è
preposta alla gestione unitaria di tutte le attività socio-sanitarie
a favore dei detenuti. Le sue funzioni principali si riassumono nelle
seguenti attività: prestazioni di medicina generale e specialistica,
comprese le attività dei presidi per le dipendenze, gestione delle
emergenze-urgenze, assistenza infermieristica, fornitura di farmaci e
presidi, secondo quanto previsto dai LEA. Va segnalata, inoltre, la
collaborazione con il Centro Giustizia Minorile per la presa in carico
dei minori di competenza.
Un importante obiettivo all’interno della rete
dei servizi sanitari penitenziari è sviluppare le articolazioni di
salute mentale e le sezioni di assistenza intensiva, secondo le
necessità regionali. Inoltre, vanno promossi i percorsi
riabilitativi integrati, al fine di ridurre il rischio della reiterazione
dei reati a seguito della scarcerazione. Infine, tenuto conto del
particolare contesto, va perseguita una politica finalizzata alla
riduzione del rischio clinico.
Presa in carico socio sanitario
delle persone indigenti e in situazione di povertà
Rispetto alle persone che vivono in stato di
povertà e marginalità sociale, in particolare nei comuni
capoluogo che hanno presenze rilevanti di senza fissa dimora,
sfruttamento della prostituzione, persone indigenti e fragili, immigrati,
verrà coordinata la presa in carico delle persone che hanno notevoli
difficoltà di accesso al sistema socio sanitario e soprattutto non
hanno capacità reddituali per far fronte ai percorsi di diagnosi,
cura e assistenza. Allo scopo verranno istituite modalità di
raccordo, anche informatico, tra Aziende ULSS, enti pubblici, del privato
sociale, enti religiosi e volontariato del territorio per monitorare il
fenomeno che è in crescita costante e per mettere in rete i servizi
erogati dalle Aziende ULSS e dal privato sociale.
Verrà valutata l’ipotesi di individuare
un codice regionale da apporre su ricette ed impegnative da parte di
medici autorizzati dall’Azienda ULSS, per far riconoscere agli
uffici preposti/farmacie che trattasi di soggetti che non possono pagare
ticket nè per visite specialistiche, nè per esami clinici,
nè per farmaci, non contemplati da un’eventuale esenzione per
patologia.
9.6. LA RETE DI SOSTEGNO AGLI
ANZIANI CON PATOLOGIE CRONICHE, DECLINO COGNITIVO E
DEMENZE
La tendenza all’invecchiamento della
popolazione, con il conseguente aumento della rilevanza delle patologie
croniche, con particolare riferimento alle demenze, richiede di far
fronte ai diversi bisogni di cura ed assistenza attraverso modelli di
presa in carico che si devono confrontare non più con i luoghi di
cura legati alla singola patologia, ma con la complessità della
multimorbilità. Per questo il modello di presa in carico della
cronicità per intensità di cura ed assistenza - già
descritto nel Capitolo 6 - è finalizzato ad assicurare una presa in
carico multiprofessionale ai pazienti con cronicità complessa ed
avanzata, compresi i pazienti affetti da decadimento cognitivo associato
a disturbi del comportamento. Sono pazienti per i quali ci si deve far
carico in modo coordinato e continuativo e con appropriatezza, in quanto
assorbono il 33% delle risorse, pur rappresentando il 5% della
popolazione con 250.000 persone classificate nei RUB 4 e 5 di ACG (cfr.
Capitolo 1, figura 1.7). Il numero dei pazienti affetti da demenze è
pari a circa 70.000 unità.
Il modello della rete di sostegno agli anziani con
patologie croniche, declino cognitivo e demenze deve puntare al
superamento della frammentarietà delle cure semplificando i percorsi
e assicurando un accesso continuativo ai servizi. Occorre perciò
evitare interventi basati sul bisogno emergente, e prevenire ricoveri
ripetuti che si associano in questi pazienti a ulteriore perdita di
autonomia. Il team di riferimento principale per tali pazienti è
costituito dallo specialista geriatra e dall’ infermiere-Care
Manager con il coinvolgimento di altri specialisti della cronicità
(cardiologo, pneumologo, diabetologo, neurologo ecc.) in sinergia con
altre figure strategiche coinvolte nel percorso di cura. Verranno
utilizzati sistemi innovativi di management (Population Health
Management/Case-mix) per agevolare l’identificazione dei pazienti
complessi, ma anche per favorire la definizione di linguaggi comuni e
contenuti condivisi, attraverso l’utilizzo di sistemi informatici
integrati (fascicolo sanitario elettronico, cartella
informatizzata/condivisa per piano di cura e appuntamenti).
I pazienti affetti da demenza moderata-grave
richiedono assistenza e sorveglianza continuative, la comparsa dei
disturbi del comportamento che si associano al decadimento cognitivo nel
50-75% dei casi, complicano ulteriormente la gestione e costituiscono la
principale causa di burn-out del caregiver e la richiesta di
istituzionalizzazione.
Per tale ragione la Regione del Veneto ritiene
opportuno potenziare la rete dei servizi territoriali per le demenze,
nella quale vanno ricercate soluzioni intermedie tra la rete familiare e
la residenzialità definitiva in struttura extraospedaliera,
potenziando ed adattando alle esigenze delle famiglie una gamma di
offerte complementari, “intermedie” ed integrate
quali:
- definizione della
figura del care manager,
- empowerment dei
caregiver,
- condivisione di
care giver familiari (badanti),
- centri sollievo
(diurni),
- centri diurni
sociosanitari,
- ospitalità
residenziale per sollievo,
- residenzialità
temporanea finalizzata alla gestione del disturbo del comportamento e
alla gestione clinica della complessità della persona con demenza
(SAPA o nuclei dedicati alle demenze all’interno dei Centri di
servizi),
- gestione del fine vita
delle persone con demenza,
- accoglienza
residenziale di utenti con particolari complessità ed elevata
intensità assistenziali (SVP, SLA e Sclerosi multipla).
Le relative proposte programmatorie formulate
all’interno del PDTA per le Demenze, in corso di predisposizione
sulla base del mandato attribuito al Tavolo regionale per la Rete per
l’Alzheimer costituito nel 2016 in attuazione del Piano
Nazionale.
Prevenzione della
demenza
Dato l’andamento demografico della
popolazione, la prevalenza di demenza nel Veneto è destinata a
crescere e, con la numerosità, anche la spesa. Utilizzando i dati
ottenuti dal sistema del case-mix territoriale (ACG), che nel 2016
contava circa 61.000 persone con demenza (Capitolo 1, figura 1.4bis), e
utilizzando le stime internazionali sui costi di ciascun caso si può
calcolare che il peso economico nel Veneto superi ogni anno un miliardo
di euro, di cui l’85% a carico di costi assistenziali e
sociali.
La demenza non è una conseguenza inevitabile
del diventare anziani. Diversi stili di vita possono modulare in positivo
o in negativo il rischio individuale. Nel corso degli ultimi decenni, in
diverse nazioni, quali Stati Uniti, Regno Unito, Svezia, Olanda e Canada
si è registrata una riduzione inaspettata dei tassi di incidenza e
un incremento dell’età di insorgenza della demenza.
Parallelamente, in Cina l’incidenza di malattia è cresciuta.
Questi dati confermano che il rischio di malattia sia modulabile da una
diversa esposizione a fattori di rischio o a fattori protettivi. Alcuni
dei fattori di rischio maggiori sono ormai noti ed è pure noto in
che misura influiscano sullo sviluppo e progressione di malattia.
L’educazione, ad esempio, risulta un forte fattore protettivo,
mentre la perdita delle capacità uditive un forte fattore di
rischio; ma anche fattori di rischio cardiovascolari come ipertensione
arteriosa, obesità, diabete e fumo giocano un ruolo importante
nell’insorgenza della demenza in genere ed, in particolare, nella
malattia di Alzheimer.
Non tutti questi elementi agiscono in modo uniforme
nel corso della vita. L’isolamento sociale, la depressione e
l’inattività fisica diventano particolarmente significativi
dopo i 60 anni. Altri aspetti come il trauma cranico, l’uso di
sostanze psicoattive e le abitudini dietetiche richiedono studi ulteriori
prima di essere incluse in campagne di prevenzione.
I dati sinora a disposizione dimostrano che se
venissero eliminati tutti i fattori di rischio modificabili si potrebbe
ottenere una riduzione del 35% dei casi di demenza e, se queste strategie
riuscissero a spostare l’età di insorgenza di malattia di soli
5 anni, il numero di persone colpite sarebbe dimezzato.
Date le dimensioni epidemiologiche ed economiche del
fenomeno e in assenza di trattamenti efficaci per le diverse forme di
demenza, acquisisce un rilievo strategico attuare delle misure di
prevenzione regionale. Un primo passo in questo senso è una campagna
d’informazione, rivolta sia ai sanitari che alla popolazione
generale, per aumentare la consapevolezza del peso significativo che le
nostre abitudini da giovani e adulti avranno sulla qualità di vita
da anziani. Si deve raccomandare il trattamento dell’ipertensione
sia nella mezza età (45-65 anni) che nelle persone più anziane
con più di 65 anni, il controllo ponderale e dei valori glicemici.
Per tale ragione risulta fondamentale il coinvolgimento delle aziende
sanitarie congiuntamente con i comuni, per iniziative rivolte a
problematiche prevalenti sul proprio territorio come l’isolamento
sociale e l’insufficiente attività fisica della persona
anziana, o l’abbandono scolastico e il fumo tra i giovani.
A supporto delle famiglie esiste e si consolida la
rete dei servizi sollievo a forte integrazione con le organizzazioni del
volontariato sociale che interviene con personale adeguatamente
qualificato e formato per sostenere, e supportare le famiglie dei
pazienti. L’attività è incentrata sul processo di mutuo
auto aiuto.
Per migliorare i servizi alla persona sarà
istituita una regia regionale, la riorganizzazione ed ottimizzazione dei
servizi ed il monitoraggio dei servizi erogati tramite le Aziende
sanitarie.
Le demenze
giovanili
In una percentuale significativa di casi (3-15%
secondo le casistiche) la demenza si presenta in età presenile
(prima dei 65 anni) o giovanile (prima dei 40 anni).
Si tratta di situazioni particolarmente
problematiche, spesso rapidamente evolutive, che richiedono adeguate
strutture diagnostiche e specifici aiuti sociali e familiari che ora sono
quasi esclusivamente rivolti agli anziani.
Almeno 1500 persone nel Veneto sono colpite da
queste forme di malattia. In alcuni casi si tratta di alterazioni
genetiche rare e sono riconosciute solo tardivamente.
Presso il CRIC e le Aziende Universitarie di Padova
e Verona sono presenti strutture di diagnosi e cura rivolte a questo tipo
di soggetti mentre il PDTA Regionale per le demenze definisce iniziative
specificamente destinate alle necessità di questi pazienti e diffuse
in tutte le ULSS territoriali.
La presa in carico delle persone
con demenza
L’insorgere della malattia ha come sensore e
primo contatto il medico di medicina generale che viene sempre più
chiamato ad intercettare precocemente la patologia, per indirizzare il
paziente ad una diagnosi tempestiva e poi lo specialista ospedaliero o
territoriale dei Centri per il Disturbo Cognitivo e le Demenze (CDCD) in
cui vengono ridefiniti e potenziati gli ambulatori attraverso rete di
lavoro sinergica tra le varie professionalità.
Per gli aspetti di diagnosi differenziale e di
terapia il paziente è seguito dalla rete dei CDCD del Veneto ed il
Centro Regionale Invecchiamento Cerebrale dove sono presenti specialisti
neurologi, geriatri, psicologi e infermieri.
La rete dei CDCD utilizza la cartella CaCEDem
(Cartella Clinica Elettronica per le Demenze) quale strumento informativo
unitario a livello regionale.
Costi di ricovero delle persone affette da demenza
Per quanto riguarda i costi delle prestazioni
erogate in regime di ricovero alle persone affette da demenza,
trattandosi di prestazioni sociali a rilevanza sanitaria, fanno carico
per il 50% al Servizio sanitario regionale e per il 50% agli assistiti
ovvero ai comuni nei casi di integrazione economica della retta.
Tale ripartizione muove dalla ricostruzione della
disciplina che regola la materia, svolta dal Consiglio di Stato
(Consiglio di Stato, Sezione Terza, sentenza 23 aprile 2015, n. 2046),
che ha escluso che gli interventi in favore delle persone affette da
demenza in regime di ricovero siano totalmente a carico del servizio
sanitario regionale. A tale riguardo, la Tabella allegata al DPCM 14
febbraio 2001 e l’Allegato C a DPCM 29 novembre 2001, prevedono che
agli anziani e alle persone non autosufficienti con patologie
cronico-degenerative a essi assimilate, nelle forme di lungo assistenza
semiresidenziali o residenziali, si applichi una ripartizione forfettaria
del costo complessivo pari al 50% a carico del SSR e pari al 50% a carico
del comune con la compartecipazione dell’utente secondo la
disciplina regionale e comunale.
Il DPCM 12 gennaio 2017, che ha aggiornato i livelli
essenziali di assistenza, nel riprendere i principi posti dai precedenti
giurisprudenziali richiamati, stabilisce all’articolo 30, con
riguardo ai trattamenti di lungo assistenza alle persone non
autosufficienti, la quota del 50% della tariffa giornaliera a carico del
servizio sanitario regionale.
L’U.O. Centro Regionale per lo studio e la cura
dell’Invecchiamento Cerebrale (CRIC)
Nella rete Alzheimer del Veneto è presente dal
1999 il CRIC, centro di terzo livello, la cui attività è
specificamente rivolta ad integrare le conoscenze biologiche, cliniche,
organizzative e assistenziali per ottenere un sistema di prevenzione,
diagnosi precoce e cura delle demenze. Svolge attività
clinico-assistenziali con un approccio multispecialistico su casi
selezionati e, parallelamente, attività di ricerca clinica
traslazionale. In collaborazione con altre istituzioni (Aziende ULSS, SSP,
Università), promuove attività di formazione e aggiornamento
professionale specifico. L’Obiettivo generale è di proporre
modelli di cura in cui concorrano in modo integrato le diverse figure
professionali che andranno a operare secondo un PDTA condiviso nei
diversi ambiti (Ospedale, domicilio, RSA, Centri Diurni, SAPA). Inoltre
il Centro collabora alle attività del Gruppo di lavoro per
l’implementazione del Piano Nazionale Demenze del Ministero della
Salute.
Attività Cliniche. Il Centro, in stretta
associazione con altre unità operative dell’ Azienda Ospedale-
Università di Padova (Clinica Neurologica, Clinica Geriatrica, UO di
Neuroradiologia, di Medicina Nucleare, Medicina di Laboratorio e
Genetica) e dell’Azienda Ospedaliera Universitaria integrata di
Verona (UOC Neurologia B) offre attività diagnostiche di alta
specializzazione secondo percorsi condivisi (PDTA Aziendale per le
Demenze Giovanili) su casi selezionati.
Il crescente numero di accessi ai reparti per acuti
da parte dei soggetti con disturbi cognitivi causa una serie di nuove
problematiche nella gestione clinica. La demenza presenta una
complessità trasversale all’ambito clinico, assistenziale e
riabilitativo, che ha ripercussioni cliniche, operative ed organizzative
in quanto richiede modalità di approccio specifiche, sia da parte
del singolo professionista, sia da parte dell’organizzazione
sanitaria in generale. Il CRIC ha il compito di sviluppare nuovi modelli
di cura e nuovi modelli organizzativi replicabili ed esportabili in
diversi contesti socio-sanitari (ospedale, territorio, centri diurni e
residenziali) e prevenire l’ospedalizzazione incongrua.
Servizi di riabilitazione. Il Centro offre servizi
di riabilitazione, sia in regime di ricovero che in forma ambulatoriale,
erogati da una équipe multiprofessionale formata da medico,
psicologo, logopedista, educatore, fisioterapista, infermiere e operatore
sanitario che operano sinergicamente. Dato l’elevato numero di
pazienti che necessitano attività di stimolazione cognitiva saranno
messe a punto tecnologie avanzate per la teleriabilitazione a domicilio e
il monitoraggio e il mantenimento dell’autonomia del paziente a
distanza.
Attività previste nel periodo di vigenza del
presente Piano
- Implementare la
raccolta di dati epidemiologici, di salute, predittivi di consumo di
risorse, dei costi relativi all’assistenza e cura
attraverso:
• dati provenienti dai flussi regionali
• cartella clinica regionale Cacedem
- Implementare la tutela
alla salute e l’assistenza socio-sanitaria attraverso
• la conferma del Centro Regionale per
l’Invecchiamento Cerebrale (CRIC) dell’ Azienda
Ospedale-Università di Padova come centro di riferimento regionale
per i pazienti con particolari complessità e necessità
diagnostico-differenziali di secondo e terzo livello (sezione con
approfondimento)
• la definizione dei criteri di accreditamento
per i CDCD, Centri Diurni per pazienti con demenza e nuclei di RSA
definiti per Alzheimer con indicazioni specifiche circa i programmi che
si propongono
• l’implementazione della collaborazione
multidisciplinare, promuovendo servizi sul territorio che puntino a
percorsi di integrazione socio-sanitaria con l’obiettivo di
implementare la qualità delle cure e
l’assistenza continuativa, favorendo la diagnosi tempestiva, il
supporto dopo la diagnosi e percorsi riabilitativi di stimolazione
cognitiva, cosi come la presa in carico del fine vita
• la creazione di percorsi informativi
accessibili su servizi e programmi basati sulle evidenze
• la creazione di percorsi formativi per
operatori dell’ambito sanitario e sociale per creare competenze nei
confronti dell’approccio al malato con demenza
• la valutazione ed il monitoraggio dei
servizi dedicati alla demenza con definizione di report specifici
- Ridurre
l’incidenza del rischio di demenza attraverso
• la promozione di programmi e campagne di
prevenzione dei fattori di rischio modificabili
• il monitoraggio dei dati epidemiologici,
attraverso il case mix della popolazione
• la creazione di un link tra la demenza e le
malattie croniche non trasmissibili
• percorsi formativi di promozione di salute
pubblica tra i provider socio-sanitari
- Supportare il
caregiver e la famiglia attraverso
• la creazione di modalità di
consultazione partecipata che coinvolga i soggetti con demenza e le loro
famiglie per migliorare la conoscenza della malattia ed il superamento
dello stigma (es. creazione di sportelli per le demenze gestiti dalle
associazioni familiari)
• programmi di tutela per i caregiver per
superare l’isolamento sociale, la discriminazione come incontri
psicoeducativi, tenuti dallo psicologo e dal personale della
riabilitazione, colloqui psicologici, sino alla terapia familiare
• un inquadramento di tipo sociale finalizzato
a rilevare la presenza-affidabilità dei caregiver ed il relativo
grado di collaborazione nel raggiungimento dei possibili obbiettivi di
cura del paziente con valutazione del carico assistenziale ed il grado di
stress dei caregiver
- Favorire la creazione
di comunità accoglienti attraverso
• la creazione di momenti di sensibilizzazione
regionale e locale in cui ci sia il coinvolgimento delle persone malate e
dei loro famigliari per creare collaborazione partecipata, aumentare le
conoscenze e l’accettazione della malattia
• la realizzazione di contesti sanitari e
sociali sicuri, inclusivi, partecipati
• la definizione di programmi che incoraggino
la nascita di comunità accoglienti negli ambiti pubblici e privati,
valorizzando il concetto di coinvolgimento attivo e rafforzamento del
senso di comunità ed responsabilizzazione (co-progettazione, co-
azione e co-valore)
- Favorire programmi
innovativi attraverso
• il monitoraggio dei flussi delle
attività dei CDCD, attraverso la Cartella Elettronica Digitale per
le Demenze (CaCEDem), uno strumento informativo unico regionale per la
registrazione della presa in carico clinica delle persone con demenza,
fonte informativa
di riferimento per quantificare i pazienti e
tracciare e documentare le attività sanitarie dei Centri,
alimentando il fascicolo elettronico regionale.
• programmi di ricerca innovativi che offrano
opportunità di partecipazione dei malati e dei loro caregivers
secondo i requisiti etici
- Promuovere un sistema
di governo clinico centrato sulla misurazione dei risultati attraverso un
sistema di indicatori per la valutazione:
• degli esiti di salute
• dei processi organizzativi
• dell’esperienza di cura e del grado di
coinvolgimento attivo della persona al fine di responsabilizzare tutti
gli attori nella gestione integrata della demenza e della
multimorbidità
PARTE II:
I SISTEMI
DI SUPPORTO
10. IL GOVERNO DEL SISTEMA E IL GOVERNO DELLE
AZIENDE
|
Parole chiave
|
Multilivello, Modello di
rete, sussidiarietà , responsabilità, ciclo di
performance
|
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Obiettivi
strategici
|
OS1. Garantire
l’equità del SSSR e la tenuta del Sistema nonché
l’attuazione del principio solidaristico e di
sussidiarietà
OS2. Promuovere la
trasparenza e partecipazione al processo decisionale e la
valutazione diretta dei cittadini in ottica di
“rendicontazione sociale”
OS3. Sviluppare un
modello di governance multilivello consolidando il ruolo di
indirizzo e pianificazione del livello centrale, il ruolo di
gestione e controllo del livello intermedio, il ruolo di
produzione ed erogazione dei servizi delle Aziende sanitarie e il
ruolo di supporto degli enti strumentali
OS4. Promuovere
sistemi di finanziamento efficienti e sistemi informativi
all’avanguardia OS5. Favorire il confronto nazionale e
internazionale
OS6. Assicurare
coerenza tra gli strumenti di pianificazione controllo e
valutazione della performance puntando sulla collaborazione
sistematica dei beneficiari di ciascun servizio
OS7. Migliorare i
processi di pianificazione, controllo e valutazione delle
attività aziendali favorendo il coinvolgimento degli
operatori nel processo di miglioramento continuo e
l’utilizzatore finale ai fini della valutazione di
efficacia ed efficienza
|
10.1. LA GOVERNANCE DEL
SISTEMA
Al fine di consentire al SSSR di affrontare le nuove
sfide, è fondamentale enucleare i principi idonei ad assicurare un
governo efficace del sistema e a garantirne la sostenibilità.
In primo luogo campeggia il principio solidaristico,
volto ad assicurare l’assistenza sanitaria e l’accesso ai
servizi ai cittadini, nel rispetto dei bisogni di salute, di
appropriatezza delle cure e di economicità nell’impiego delle
risorse pubbliche. Il principio universalistico che sta alla base del
SSSR impone infatti, al fine di rendere possibile la sopravvivenza e
l’implementazione del SSSR alla luce degli obiettivi di salute
pubblica individuati in sede programmatoria, che tutti gli interlocutori
del sistema siano consapevolmente impegnati nel fornire risposte
flessibili in quanto ancorate ai bisogni.
Per il perseguimento della sua vocazione
universalistica, il SSSR deve improntare la propria azione al principio
di trasparenza e di adeguata informazione agli interlocutori del sistema
e ai cittadini, i quali partecipano, attraverso gli strumenti previsti
dal sistema democratico, alla formazione stessa del SSSR e sono i
destinatari della sua azione.
La molteplicità degli attori del sistema di
offerta e la necessità di definire un percorso di cura sempre
più integrato danno conto della complessità del governo del
SSSR e della necessità che gli strumenti programmatori siano in
grado di prevedere e intercettare gli scenari futuri, assicurando la
“tenuta” del sistema e la sua adattabilità
operativa.
Un sistema sostenibile necessita di un complesso
governo multilivello, che preveda ruoli chiari nell’individuazione
di fabbisogni e aree di intervento primarie e la successiva
pianificazione degli obiettivi, al fine di consolidare le azioni di
indirizzo e di programmazione.
Alla luce dei positivi risultati derivanti
dall’adozione del modello c.d. di “Hub e Spoke” e della
pianificazione-programmazione per reti dedicate, si ritiene di poter
mutuare tale impostazione anche nel sistema di governo, inteso dunque
come modello di rete costruito su più livelli determinati dal
coinvolgimento di ogni nodo di rete in base alle caratteristiche dei
livelli e ciò allo
scopo di garantire una maggiore flessibilità,
assicurando nel contempo trasparenza e partecipazione alle scelte
programmatorie.
La Regione
Con riferimento al ruolo della Regione, si richiama,
in via preliminare, quanto previsto dallo Statuto, secondo il quale
spetta al Consiglio regionale la determinazione dell’indirizzo
politico e amministrativo regionale, mediante la definizione di principi
e indirizzi generali, nonché il controllo dell’attuazione
(articolo 33); spetta alla Giunta regionale definire e realizzare gli
obiettivi di governo e di amministrazione (articolo 54).
E’ nel rispetto delle suindicate sfere di
competenza, pertanto, che si procede a fissare gli indirizzi di politica
sanitaria e pianificare gli interventi strategici per il raggiungimento
degli obiettivi di salute, individuando programmi finalizzati ad
assicurare il diritto alla salute, l’accessibilità alle cure e
l’integrazione tra servizi e attività sanitaria e
socio-sanitaria, determinando anche le risorse necessarie a sostenere
l’organizzazione del sistema SSSR e la complessa rete dei servizi
erogati dal SSSR.
Il processo della programmazione, con riferimento al
Piano Socio Sanitario, si sviluppa attraverso un iter che vede il
coinvolgimento di:
- Giunta regionale, che
adotta il piano socio sanitario regionale e lo trasmette al Consiglio
regionale per l'approvazione (articolo 2, comma 4, LR 56/1994);
- Commissione
consiliare permanente competente in materia di politiche socio -
sanitarie, che esamina preventivamente il relativo disegno di legge
(articolo 44, comma 1, dello Statuto) e che quindi, attraverso una
articolata fase istruttoria, che vede il coinvolgimento di cittadini,
singoli o associati, enti, associazioni e organizzazioni, che forniscono
pareri ed eventuali proposte di modifica nella fase di formazione di
provvedimenti legislativi, approva il testo del progetto di legge che
viene quindi proposto all’approvazione del Consiglio
regionale;
- Consiglio regionale
che, nell’esercizio delle funzioni attribuitegli dallo Statuto
(sopra richiamate) e con le modalità fissate dal Regolamento,
approva il provvedimento legislativo.
L’Area Sanità e
Sociale
All’Area Sanità e Sociale, macro
struttura della Giunta regionale, che ai sensi di quanto previsto dallo
Statuto regionale (art. 44, comma 2) e dal Regolamento del Consiglio
regionale (art. 54, comma 1), viene coinvolta nell’attività
della Commissione consiliare competente in materia di politiche socio -
sanitarie, al fine di fornire informazioni, atti, documenti, nonché
al fine di riferire al Consiglio regionale sull’attività delle
aziende e degli enti del sistema socio-sanitario regionale (ai sensi di
quanto previsto dall’art. 11, comma 4, lett. c), della LR 19/2016),
compete la realizzazione degli obiettivi socio-sanitari di
programmazione, indirizzo e controllo, individuati dagli organi
regionali, nonché il coordinamento delle strutture e dei soggetti
che a vario titolo afferiscono al settore socio-sanitario (ai sensi di
quanto previsto dall’art. 1, comma 4, della LR 23/2012 Piano
Socio-Sanitario 2012-2016).
L’Area, dunque, armonizza, sviluppandole e
verificandone la corretta attuazione, le politiche sanitarie e
socio-sanitarie, operando in coerenza con le scelte espresse negli atti
di programmazione.
Contribuisce a dare realizzazione agli obiettivi
socio-sanitari di programmazione, fornendo indicazioni attuative per la
programmazione alle aziende sanitarie e agli enti del sistema
sanitario
e disponendo con propri atti le azioni di
coordinamento e raccordo degli interventi degli enti del sistema
sanitario.
Verifica la coerenza del sistema della
programmazione, con il livello qualitativo e con i bisogni di salute
attraverso gli indicatori di efficienza, efficacia e qualità
nazionali e regionali e le analisi tecniche di Azienda Zero, al fine di
consentire ai competenti organi regionali la valutazione dei risultati
raggiunti.
L’Area propone alla Giunta regionale i
provvedimenti, quali la definizione del sistema di
«standard», che permettono di programmare
e monitorare l’organizzazione dei servizi, dei processi e delle
performance, delle risorse umane, della tecnologia e degli esiti di
salute del SSSR.
Proprio per assicurare la congruità delle
scelte con la programmazione socio-sanitaria nonché la convenienza
economica, in linea con le proprie funzioni di indirizzo, al Direttore
dell’Area è stata, altresì, attribuita la presidenza
della Commissione regionale per gli investimenti in tecnologia ed
edilizia della Regione (CRITE), che consente l’assegnazione delle
risorse finanziarie con l’obiettivo di migliorare il governo della
spesa e dei dispostivi garantendo la coerenza tra gli obiettivi di Piano
e i vincoli di bilancio imposti, oltre al controllo delle politiche degli
investimenti.
L’Area infine si pone ed è riconosciuta
come interlocutore nei tavoli tecnici nazionali nonché in diverse
iniziative di rilievo internazionale.
Il Direttore generale dell’Area Sanità e
Sociale presiede il Comitato dei Direttori Generali, composto dai vertici
delle Aziende sanitarie che opera al fine di garantire la piena
attuazione di alcune funzioni di Azienda Zero e coordinarne
l’azione nei confronti delle Aziende sanitarie, come previsto
dall’articolo 3 della LR 19/2016.
L’Area si avvale di Azienda Zero come supporto
tecnico per attività di coordinamento, controllo e vigilanza del
SSSR.
L’Azienda
Zero
Le attività di Azienda zero si possono
ricondurre a tre macro obiettivi di:
- supporto
all’attuazione degli indirizzi regionali in materia sanitaria e
socio-sanitaria;
- coordinamento e
supporto alle aziende sanitarie nel miglioramento dei processi tecnico
amministrativi e di organizzazione sanitaria e socio sanitaria;
- gestione di
attività tecnico amministrative specialistiche a livello
regionale.
L’azione di supporto all’attuazione
della programmazione si concretizza nel fornire a Area Sanità e
Sociale i dati, le analisi, le informazioni e il supporto tecnico
necessario ad assumere decisioni o proporre provvedimenti, alla Giunta
regionale.
Ad esempio l’utilizzo di un sistema di
«standard» rende necessario che Azienda Zero monitori
l’organizzazione dei servizi, dei processi e delle performance,
delle risorse umane, della tecnologia e dei risultati di salute del SSSR,
mediante una verifica costante dei risultati raggiunti.
Nell’ambito dei processi tecnico
amministrativi Azienda Zero gestisce alcune funzioni per le quali
l’accentramento permette una migliore risposta in termini di
efficienza e semplificazione dei processi.
Altri processi tecnico amministrativi che
necessitano di una gestione più vicina al luogo dove si eroga la
prestazione o che sono a supporto delle funzioni gestionali aziendali
restano in capo alle aziende sanitarie ma Azienda Zero svolge un
fondamentale ruolo di supporto all’omogeneizzazione e al
coordinamento delle stesse a livello regionale.
Questa distribuzione di funzioni consente di
coordinare le azioni e razionalizzare le risorse determinando,
altresì, un significativo risparmio di spesa e lo sviluppo di alte
competenze tecniche, come ad esempio, avviene nell’ambito del
coordinamento degli acquisti sanitari che permette di contenere tempi e
costi nelle gare di approvvigionamento di beni e servizi ed una utile
comparazione delle caratteristiche tecniche dei beni sanitari.
Azienda Zero infine eroga le risorse secondo quanto
definito dalla Giunta e assegnato dall’Area, presiede la funzione
della gestione sanitaria accentrata e monitora l’andamento
economico finanziario segnalando all’Area Sanità e Sociale gli
scostamenti rilevanti.
La coerenza e la sostenibilità degli interventi
programmatori e di indirizzo operativo vengono valutate dal Comitato dei
Direttori generali che si pone come garante di un proficuo raccordo
strategico tra l’Area Sanità e sociale, Azienda zero e Aziende
sanitarie.
Il Comitato dei Direttori generali, che contribuisce
a dare operatività e perseguire indirizzi programmatori, è
istituito e è composto da tutti i Direttori generali delle Aziende
sanitarie e Azienda Zero e è presieduto dal Direttore di Area
Sanità e Sociale.
Le Aziende
Sanitarie
Con il termine aziende sanitarie si intendono le 9
Aziende ULSS, le Aziende ospedaliere e lo IOV.
La riduzione delle ULSS nella recente riforma ha
tenuto in necessaria considerazione il mantenimento di strutture e
direttori responsabili che coprano gli ambiti territoriali delle ULSS
accorpate a salvaguardia della vicinanza tra chi eroga i servizi socio
sanitari e la popolazione stessa.
I 26 Distretti delle Aziende ULSS sono infatti
articolazioni che sono deputate a fare valutazioni di sintesi tra i
bisogni di salute della popolazione di riferimento e l’offerta di
servizi dell’Azienda ULSS.
È compito primario delle aziende in parola
infatti, individuare i fabbisogni di salute espressi e inespressi e
verificare il grado di soddisfacimento dei cittadini rispetto ai servizi
offerti, perciò l’azienda ULSS analizza e individua i bisogni
di salute e organizza il sistema di offerta delle prestazioni pubbliche
individuando gli erogatori in: strutture proprie, strutture private
accreditate o altri erogatori a totale partecipazione pubblica.
L’Azienda ULSS ha il compito di organizzare i
servizi per i cittadini, mediante la presa in carico del paziente per
tutto il percorso di cura assicurando al cittadino un servizio sicuro e
di qualità. L’opera delle Aziende sanitarie deve vertere anche
sull’organizzazione ottimale dei servizi affinché essi siano
efficaci ed efficienti ed appropriati.
Le Aziende ULSS quindi assicurano nel territorio le
prestazioni previste nei livelli uniformi di assistenza realizzando le
scelte della programmazione contenute nel piano socio sanitario regionale
e sugli atti di programmazione adottati dalla Giunta regionale.
Sono tenute, inoltre, a applicare gli indirizzi di
pianificazione e programmazione e organizzazione efficiente determinati
da Consiglio, Giunta, Area sanità e sociale.
Nell’esercizio delle loro funzioni accrescono
le competenze e le conoscenze del sistema sanitario attraverso la
valorizzazione del capitale umano e la promozione di strumenti per il
miglioramento del governo clinico
Le aziende ospedaliere e lo IOV, che per loro natura
sono strutture che erogano di prestazioni sanitarie si configurano tra le
aziende del SSSR come Hub di eccellenza e punto di riferimento per le
alte competenze e specializzazioni presenti e per la loro collaborazione
con le università in ambiti di cura, ricerca e formazione.
I soggetti
catalizzatori
Oltre agli organi regionali, l’Area, Azienda
Zero e Aziende sanitarie, nel sistema di governance multilivello sono
identificati, per il loro ruolo di supporto alle fasi
dell’attuazione della programmazione, alcuni soggetti definibili
come “catalizzatore“ di governance, ossia quei soggetti che
favoriscono lo sviluppo dei processi di governo del SSSR.
La
Fondazione SSP Scuola di Sanità Pubblica
Fondazione Scuola di Sanità Pubblica (FSSP), ha
l’obiettivo di sostenere e contribuire al miglioramento dei servizi
sanitari e socio-sanitari, attraverso la valorizzazione e lo sviluppo
delle competenze del personale del SSSR, lo studio dei modelli
organizzativi e gestionali, la ricerca e l’innovazione nei Sistemi
Sanitari nazionali ed internazionali. FSSP realizza inoltre attività
finalizzate alla promozione e diffusione dell’informazione in
materia di donazione e trapianto di organi e tessuti.
Il programma di attività, su indicazione della
Regione, si rivolge al personale dipendente e convenzionato delle Aziende
ULSS, Aziende Sanitarie e IRCSS del Veneto. FSSP progetta e realizza
percorsi di formazione manageriale per le direzioni strategiche, i
direttori di struttura complessa e il middle management; percorsi di
formazione specialistica sanitaria e tecnico-amministrativa, in
particolare dedicata alle nuove figure professionali che la
trasformazione del SSSR ha individuato. Le attività vengono
realizzate attraverso collaborazioni con le migliori Università
italiane, con il contributo di Scuole di formazione manageriale con cui
è stato costituito un network regionale nonché con il confronto
con Sistemi Sanitari che rappresentano eccellenze internazionali nel
campo della Salute.
Nell’ambito delle finalità di formazione,
sviluppo e aggiornamento delle competenze del personale e dei
professionisti del SSR, la FSSP svolge specifica attività formativa
nel campo dell’assistenza primaria; a tale fine, alla Fondazione
è affidata l’organizzazione didattica e la gestione del corso
di formazione specifica in medicina generale di cui al d.lgs. 368/1999,
che avrà sede operativa presso la sede della Fondazione
stessa.
L’obiettivo formativo deve essere quello di
garantire una formazione specifica che privilegi gli aspetti tipici del
ruolo del medico di medicina generale, con particolare riferimento
all’attuale contesto epidemiologico ed organizzativo della Regione,
fornendo gli strumenti per lo sviluppo del sistema delle cure primarie
all’interno della più ampia riorganizzazione del servizio
socio sanitario regionale.
In considerazione della rilevanza di tale
attività, sarà istituito nell’ambito della Fondazione un
Comitato scientifico composto dal direttore della struttura regionale
competente per le cure primarie con funzioni di presidente e quattro
membri di comprovata esperienza nell’ambito formativo
dell’assistenza primaria ed in rappresentanza della medicina
generale, nominati dal consiglio di amministrazione della Fondazione
stessa.
Il Comitato scientifico avrà le seguenti
funzioni:
- programmazione
dell’attività formativa in coerenza con le linee di indirizzo
nazionale e regionale;
- pianificazione
annuale degli eventi formativi e conseguentemente approvazione del
calendario annuale dei corsi;
- individuazione del
corpo docenti;
- valutazione del
regolare andamento dei corsi;
- verifica qualitativa
del corso triennale, attraverso adeguati strumenti.
Infine, in considerazione della specifica competenza
formativa in materia di assistenza primaria, il Consiglio di
amministrazione della Fondazione sarà integrato da un rappresentante
dei medici di medicina generale.
Il
Consorzio per la Ricerca Sanitaria - CORIS
Il Consorzio per la Ricerca Sanitaria, ente di
ricerca, costituito tra enti operanti nel settore della sanità,
ricerca scientifica e assistenza sociale, quali le Aziende sanitarie e le
Università, opera nel pubblico interesse e si propone di promuovere,
incrementare e sostenere la ricerca regionale scientifica, in campo
sanitario e socio sanitario.
Gli ambiti nei quali opera rispettano le
priorità definite periodicamente a livello regionale e possono
includere settori specifici, quali, ad esempio, l’oncologia, i
trapianti, la medicina rigenerativa, o tematiche più trasversali che
riguardano l’organizzazione e il miglioramento dei servizi offerti
nel SSSR, come, ad esempio, lo sviluppo di nuovi percorsi diagnostico
terapeutici e la valutazione delle tecnologie sanitarie, o lo sviluppo di
progettualità volte alla tutela della salute, ex ante ed ex post,
ivi compresa, a titolo esemplificativo, la farmacovigilanza.
Le attività si articolano prevalentemente nelle
tre aree sotto descritte:
- Promozione e sostegno
alla ricerca scientifica - che include tutte le azioni necessarie alla
ricerca di finanziamenti per la ricerca e alla partecipazione a bandi
nazionali ed internazionali
- Gestione dei progetti
di ricerca - che prevede che CORIS supporti i progetti anche attraverso
la diretta gestione dei fondi assegnati dai bandi;
- Attività di
valutazione, progettazione, coordinamento, partenariato anche con il
settore privato, a favore di tematiche di ricerca ritenute prioritarie -
dove rientra anche l’attività di supporto alla Ricerca
Sanitaria Finalizzata Regionale.
Particolare rilievo assume l’attività di
sostegno alla ricerca clinica, attraverso il supporto amministrativo e
gestionale ai nuclei di ricerca clinica e ai comitati etici e attraverso
la costituzione di un registro delle sperimentazioni cliniche.
Anche questo Consorzio acquisisce un ruolo chiave
quale strumento operativo nella realizzazione del modello di governance
del sistema. In particolare contribuisce a rendere più flessibile
l’organizzazione del SSSR in un’ottica di miglioramento dei
servizi offerti e di soddisfacimento dei bisogni del cittadino.
Arsenàl.IT – Centro Ricerca e Innovazione
per la Sanità digitale
Il consorzio tra le Aziende del SSSR,
Arsenàl.IT – Centro Veneto Ricerca e Innovazione per la
Sanità Digitale, il soggetto promotore dello studio, della ricerca,
della diffusione della conoscenza e del sapere digitale nel campo
dell’e-Health e si avvalgono del supporto dello stesso per la
realizzazione di iniziative di interesse regionale e locale nel medesimo
campo, compresa l’uniformazione informativa dei processi interni
agli enti medesimi.
Il Consorzio, infatti, raccogliendo i rappresentanti
delle Aziende SSSR (i direttori generali) che siedono negli organi
consortili, realizza le proprie funzioni istituzionali e rappresenta il
punto di riferimento nel campo ICT per gli enti del SSSR consorziati,
garantendo sistemi e servizi informativi uniformi e replicabili sul
territorio del Veneto. Contribuire a sviluppare gli indirizzi
programmatori regionali, è fondamentale per poter realizzare la
necessaria convergenza informativa del sistema.
Arsenàl.IT, quale centro di competenza per
l'eHealth persegue il miglioramento dei processi sanitari e
dell'assistenza offerta al cittadino in un’ottica di collaborazione
interaziendale.
Il Consorzio deve essere promotore di modelli
sostenibili di servizi sanitari, promuovere il miglioramento del sistema
nel contenimento dei costi, con forte accento sull'interoperabilità
e sull'utilizzo di standard internazionalmente riconosciuti e svolge
un’attività di ricerca per l'innovazione, progettando nuove
soluzioni mirate al perfezionamento dell'organizzazione.
Il sistema di valutazione delle
performance: gli obiettivi dei Direttori generali
L’esigenza di una organizzazione sempre
più attenta per il soddisfacimento di bisogni sanitari, accresce
l’importanza del tema della misurazione e valutazione delle
performance del SSSR .
L’impianto di assegnazione degli obiettivi,
monitoraggio e valutazione dei risultati, è stato oggetto negli
ultimi anni di significativi interventi legislativi ed ha dimostrato di
supportare il più ampio processo di governo delle aziende sanitarie,
un processo che deve tendere a collegare gli obiettivi di programmazione
regionale con gli obiettivi del ciclo di programmazione delle performance
aziendali.
I criteri di valutazione dell’attività
dei Direttori Generali considerano infatti il raggiungimento degli
obiettivi definiti nel quadro della programmazione regionale, con
riferimento all’efficienza, efficacia e funzionalità dei
servizi e qualità.
La valutazione globale dei risultati, volta a
garantire la qualità dei servizi offerti ai cittadini nel rispetto
dell’equilibrio economico-finanziario del SSSR. È in capo alla
Giunta, al Consiglio e alla Conferenza dei sindaci, in
particolare:
- garanzia dei livelli
essenziali di assistenza (LEA) nel rispetto dei vincoli di bilancio, di
competenza della Giunta Regionale;
- rispetto della
programmazione regionale derivante da specifici provvedimenti della
Giunta regionale per l’anno di riferimento, di competenza della
competente Commissione del Consiglio regionale;
- qualità ed
efficacia dell’organizzazione dei servizi sociali e socio sanitari
sul territorio delle Aziende ULSS, di competenza della relativa
Conferenza dei Sindaci.
La definizione degli obiettivi dovrà consentire
la conciliazione di due finalità potenzialmente conflittuali:
- la piena aderenza
regionale alle disposizioni normative ed ai sistemi di misurazione e
valutazione nazionale, cosa che richiede l’omogeneizzazione dei
risultati sul territorio a fronte di standard che spesso rappresentano
una performance media;
- mantenere e
incrementare, le eccellenze presenti nel SSSR, confrontandole con le
migliori pratiche a livello internazionale e adottando i più evoluti
sistemi di valutazione della performance.
Si possono pertanto identificare le seguenti
direttrici di sviluppo del sistema di assegnazione degli obiettivi ai
Direttori Generali:
- l’apertura
ancora più significativa, del sistema di assegnazione degli
obiettivi e di valutazione della performance agli stimoli esterni,
nazionali, internazionali e dei cittadini;
- la maggior
personalizzazione degli obiettivi integrati tra le Aziende Ospedaliere di
Padova e Verona, lo IOV, le ULSS con i suoi ospedali, anche utilizzando
modelli organizzativi dipartimentali, in modo da attuare una integrazione
effettiva tra i servizi territoriali con
quelli ospedalieri, tenendo conto del dato di
partenza, degli standard nazionali ed internazionali e delle concrete
soluzioni perseguibili dalle singole aziende;
- la gestione degli
obiettivi con tempistiche adeguate ad una funzionale interazione con il
Ciclo della performance aziendale.
10.2. LA GOVERNANCE DELLE AZIENDE
Nell’ambito del nuovo sistema di governance
regionale dei SSSR del Veneto, delineato nel paragrafo precedente ed in
linea con quanto previsto dalla L.R. 19/2016, le Aziende sanitarie sono
chiamate a ridelineare in loro modelli di governance interna, anche in
applicazione di quanto previsto dai nuovi Atti aziendali.
Le Aziende, con il nuovo assetto organizzativo e la
rifocalizzazione della loro mission, dovranno essere in grado di
realizzare il processo di cambiamento, garantendo sempre più elevati
livelli quali/quantitativi dei servizi ai cittadini.
In particolare esse dovranno:
- sviluppare
modalità operative innovative nell’organizzazione ed
erogazione dei servizi;
- garantire la presa in
carico globale della persona (e della sua famiglia/caregiver) nei diversi
contesti socio-sanitari;
- perseguire il
miglioramento continuo della qualità dell’assistenza;
- introdurre percorsi
assistenziali innovativi finalizzati a garantire la continuità delle
cure, l’integrazione degli operatori e dei servizi nonché un
utilizzo appropriato ed equo delle risorse;
- mantenere elevati
livelli di qualità riducendo i costi in applicazione degli standard
regionali;
- garantire
l’assistenza come competenza fondamentale, che deve essere prestata
con continuità e secondo criteri di integrazione organizzativa e
multidisciplinare;
- sviluppare la pratica
professionale e clinica guidata dalle più aggiornate tecniche e
procedure;
- assicurare gli
standard più elevati dei servizi secondo criteri di
appropriatezza;
- garantire la
formazione continua del personale quale strumento di miglioramento
dell’assistenza, finalizzata all’accrescimento del capitale
umano dell’Azienda ed all’incremento/aggiornamento delle
conoscenze e competenze. (L.R. 19/2016)
Tutte le aziende del SSSR dovranno, quindi,
presidiare e razionalizzare, in una logica di innovazione, i loro sistemi
gestionali, i meccanismi operativi e gli strumenti di governo, tra cui
tra i principali si ricordano:
- il ciclo di
programmazione, che dovrà essere basato sulla capacità di
misurare il reale bisogno delle popolazione del territorio, diversificato
per classi di rischio (impiego del sistema ACG) e la connessa
attività di controllo di gestione;
- la valutazione e la
rendicontazione delle performance;
- la rendicontazione
sociale (in una logica di “rendere conto” e relazione con i
“portatori di interesse”);
- la gestione delle
cosiddette operation, attraverso l’enucleazione delle piattaforme
erogative (sale operatorie, poliambulatori, degenze, ...);
- il ridisegno dei
processi amministrativi, sia per le attività che rimangono in capo
alle aziende sanitarie che per quelle ricondotte in Azienda Zero;
- la
certificabilità dei bilanci aziendali, sviluppando il Percorso
Attuativo della Certificabilità (PAC);
- il sistema informativo
e la dematerializzazone dei documenti;
- la gestione del
rischio clinico;
- i controlli
interni;
- la trasparenza e
l’anticorruzione;
- la gestione dei
sinistri e dei costi assicurativi;
- lo sviluppo delle
competenze e la motivazione del personale.
Dal punto di vista delle responsabilità
gestionali e professionali, fermo restando il ruolo degli organi
aziendali (Direttore generale, Collegio sindacale, Collegio di
direzione), dei componenti la direzione generale (Direttore
amministrativo, Direttore sanitario, Direttore dei servizi socio-
sanitari), del Consiglio dei sanitari, delle Direzioni degli ospedali e
delle Direzioni dei dipartimenti, tra gli aspetti significativi che
derivano del processo di riforma in atto e che devono essere sviluppati
dalle aziende vanno evidenziati:
- il nuovo ruolo dei
Direttori dei distretti in linea con la crucialità delle funzioni
territoriali;
- la presenza di figure
di coordinamento, rispettivamente sanitario, amministrativo e dei servizi
socio-sanitari per le aziende di più grandi dimensioni;
- la previsione di
alcune nuovi servizi in staff alla direzione generale (innovazione e
sviluppo organizzativo; internal auditing, formazione);
- la previsione di una
Direzione della funzione ospedaliera e di una Direzione della funzione
territoriale per le aziende ULSS;
- la previsione di
strutture semplici a dirigenti delle professioni sanitarie in capo alle
strutture Ospedale, Distretto e Dipartimento di Prevenzione delle aziende
ULSS;
- la previsione di
alcuni incarichi di natura professionale di dirigenti delle professioni
sanitarie per gli ospedali hub;
- la previsione di
incarico di natura professionale di dirigente delle professioni sanitarie
per il Dipartimento funzionale di riabilitazione ospedale territorio
delle aziende ULSS;
- altri incarichi di
natura professionale di dirigente delle professioni sanitarie per alcune
aree/ servizi particolari (diagnostica di laboratorio e per immagini per
la aziende aulss sede di ospedali hub/spoke, punti nascita per numero di
parti superiore a 3000/anno).
La presenza di tali nuovi ruoli organizzativi,
prefigura un potenziamento del middle management aziendale, il cui ruolo
appare fondamentale in una fase di aumento delle dimensioni delle aziende
territoriali.
La Direzione generale sarà quindi chiamata in
particolare a:
- sviluppare le funzioni
di programmazione, allocazione, committenza e controllo;
- dare concreta
attuazione ai nuovi modelli organizzativi, adottando un approccio
dinamico e flessibile, in grado di adattarsi, nella fase di transizione,
in modo osmotico al progressivo sviluppo dell’organizzazione e
delle attività dell’Azienda Zero.
- individuare le figure
più idonee a ricoprire i nuovi ruoli organizzativi previsti;
In questo contesto sarà fondamentale
riconoscere e sviluppare il ruolo strategico dei Direttore
Amministrativo, del Direttore Sanitario e del Direttore dei Servizi
Socio-Sanitari nello svolgimento delle funzioni della Direzione generale,
in affiancamento al Direttore generale.
Il Direttore dei servizi socio-sanitari e il
Direttore sanitario, ciascuno per il proprio ambito di competenza, sono
responsabili, inoltre, di assicurare i collegamenti funzionali tra il
Distretto e il Dipartimento di Prevenzione, il Dipartimento di Salute
Mentale, il Dipartimento per le Dipendenze e tutte le strutture
aziendali, al fine di garantire la continuità ed il coordinamento
assistenziale per il paziente.
Le macro strutture organizzative delle Aziende ULSS
(Distretto, Ospedale, Dipartimento di Prevenzione), della Aziende
Ospedaliere e dello IOV, dovranno concentrarsi invece sulla produzione
dei servizi per gli utenti, garantendo il massimo livello di efficacia,
qualità ed efficienza.
In questo ambito assume un ruolo centrale il
Direttore di Distretto, quale “gestore della rete
territoriale” in grado di governare molteplici servizi e risorse
del territorio, nonché di alimentare e creare, laddove mancanti, le
connessioni tra i soggetti (nodi) di una rete, agendo come facilitatore
dei processi di integrazione al fine di garantire il raggiungimento degli
obiettivi di salute (anche con riferimento alle strutture ospedaliere e
del Dipartimento di prevenzione). Il Direttore di distretto agisce quindi
come garante della salute della comunità. A lui sarà affidata
in primo luogo, quindi, la gestione delle relazioni con gli stakeholder
del territorio di riferimento.
11. LA GESTIONE DEL PATRIMONIO INFORMATIVO
SOCIO-SANITARIO
|
|
Convergenza informativa,
Digitalizzazione, Esperienza dell’utente
|
|
Obiettivi
strategici
|
OS1. Potenziare la
cooperazione informativa e informatica tra tutte le strutture
sanitarie regionali
OS2. Potenziare il
sistema informatico, garantendo la massima interoperabilità
e il governo in tempo reale delle informazioni OS3. Controllare e
validare le soluzioni informatiche adottate a livello regionale
ed aziendale
OS4. Mantenere ed
evolvere il fascicolo socio sanitario elettronico regionale e
garantire la sua alimentazione continuativa con dati e documenti
digitali permettendo agli assistiti l’accesso, la
consultazione e la gestione di essi
OS5. Garantire ampio
accesso e utilizzo dei servizi innovativi proposti con
particolare riguardo per i cittadini anziani e/o con scarsa
attitudine alla tecnologia
|
La strategia di
digitalizzazione della sanità delineata nello scorso piano ha
permesso di costruire adeguate fondamenta per la progressiva
armonizzazione dei sistemi informativi e la nascita di alcuni servizi,
già oggi a disposizione dei cittadini della Regione del
Veneto.
Dal punto di vista del governo delle informazioni,
il panorama socio sanitario si presenta come un ecosistema in rapida
evoluzione che richiede ulteriori azioni strategiche al fine di
completare il processo di convergenza informativa delle Aziende
sanitarie/distretti e lo sviluppo di ulteriori soluzioni innovative.
L’obiettivo è sfruttare le potenzialità del digitale per
rispondere alle sfide legate ai nuovi bisogni di salute.
Data la particolare rilevanza dell’argomento
in questione e al fine di raggiungere gli obiettivi preposti, assume
ancora maggior valore il tema dello sviluppo del Fascicolo Socio
Sanitario Elettronico regionale.
Sarà inoltre fondamentale armonizzare alcuni
temi rilevanti, tra loro interconnessi:
- raggiungere un buon
livello di convergenza informativa in modo tale da assicurare una rapida
adozione del Fascicolo Socio Sanitario Elettronico regionale e la
digitalizzazione dei processi;
- studiare ed
implementare servizi innovativi capaci di sfruttare al meglio le
potenzialità informatiche;
- dare una forte
connotazione umana allo sviluppo dei servizi, coinvolgendo quanto
più possibile gli utenti, siano essi cittadini o professionisti del
settore, nel disegno partecipato degli stessi.
L’evoluzione tecnologica ha infatti
determinato che il settore socio sanitario, nella sua complessità ed
estensione geografica/territoriale, sia rappresentabile tramite un
patrimonio informativo sempre più esteso ed articolato:
l’informatizzazione di un numero sempre maggiore di attività
socio-sanitarie ha ormai raggiunto ottimi risultati in termini di
affidabilità e completezza del dato, punto di partenza per una
efficiente analisi dei processi oggetto di studio.
Il governo del settore socio sanitario si basa sulla
conoscenza sempre più approfondita, condivisa a livello
aziendale/distrettuale e trasparente per il cittadino, di tale patrimonio
informativo, e mira a:
- individuare le
migliori pratiche erogate nei singoli servizi, comprenderne i motivi di
successo e di estenderle su tutto il territorio regionale;
- identificare le
eventuali criticità esistenti, definire le azioni di miglioramento
necessarie alla loro risoluzione e monitorarne lo stato di
attuazione;
- valutare le eventuali
sovrapposizioni/ridondanze di attività svolte nelle singole
aziende/distretti, nonché le eventuali difformità nel loro
svolgimento, ricondurle a un processo di omogeneizzazione e, dove
possibile, di centralizzazione, anche ai fini di liberare risorse da
dedicare ad attività in grado di creare maggior valore per il
cittadino.
L’intera filiera relativa alla produzione
delle informazioni di carattere socio sanitario prevede nello
specifico:
- il recepimento dei
contenuti dei flussi informativi trasmessi dagli attori del SSSR;
- il controllo
logico-formale della qualità del dato (es. rispetto delle
regole di compilazione predisposte per i singoli flussi
informativi);
- il controllo di
appropriatezza clinica dei contenuti;
- la validazione e
certificazione della qualità del dato;
- l’elaborazione
delle informazioni, mediante la gestione diretta dei più
moderni strumenti di analisi, integrazione e gestione dei dati
raccolti;
- la generazione di
indicatori e cruscotti direzionali mediante tecniche avanzate di
business intelligence;
- la pubblicazione e la
diffusione delle elaborazioni;
- la definizione di
proposte di azioni correttive da implementare da parte degli attori
oggetto di studio per risolvere le eventuali criticità
riscontrate;
- il mantenimento delle
relazioni con tutti gli attori del SSN (es. Ministero della Salute) per
l’adempimento di tutte le attività/debiti informativi previsti
dai Livelli Essenziali di Assistenza (LEA).
La corretta gestione dei flussi informativi
rappresenta il nodo iniziale e imprescindibile per la disponibilità
di un patrimonio informativo agile da consultare, affidabile nei
contenuti e aggiornato nelle informazioni.
Il governo delle informazioni è in capo ad
Azienda Zero. Il raggiungimento degli obiettivi sotto riportati coinvolge
a vario titolo i “catalizzatori di governance” quali
Arsenàl.IT, Fondazione Scuola di Sanità Pubblica e CORIS, in
base agli ambiti di competenza.
Gli attuatori delle disposizioni definite sono le
Aziende sanitarie/distretti e tutte le strutture private accreditate che
producono dati e documenti atti ad alimentare il sistema informativo
regionale.
Si possono quindi individuare i seguenti obiettivi
strategici:
- Perseguire la
convergenza informativa tra le strutture afferenti al SSSR
attraverso:
• la cooperazione informativa e informatica
(interoperabilità) tra l’Area Sanità e Sociale, Azienda
Zero e le Aziende sanitarie/distretti, attraverso l’introduzione di
soluzioni tecnologiche e organizzative uniformi e convergenti sul sistema
informativo regionale;
• l’inclusione nel sistema informativo
socio sanitario regionale di tutte le strutture private accreditate,
grazie all’integrazione e l’interoperabilità con i
sistemi informativi presenti nelle Aziende sanitarie/distretti;
• l’introduzione e adozione di modelli
di gestione degli applicativi informatici basati su logiche di avviamento
e dismissione agili orientate a massimizzare la fruibilità per gli
operatori e facilitare il cambiamento;
• l’innovazione e la razionalizzazione
del parco applicativo esistente presso le Aziende sanitarie/distretti,
rendendolo maggiormente flessibile e interoperabile, in un’ottica
di convergenza;
• la completa attuazione della funzione di
supporto tecnico di Arsenàl.IT, attraverso il controllo e la
validazione delle soluzioni informatiche adottate dal sistema informativo
socio sanitario della Regione del Veneto;
• l’implementazione di un sistema
regionale di monitoraggio e controllo in tempo reale delle
informazioni;
• il potenziamento della connettività
interaziendale, puntando a realizzare reti ad elevate prestazioni in
grado di aumentare l’affidabilità e la sicurezza;
• la razionalizzazione dei data-center
attraverso l’adozione di soluzioni innovative orientate
all’iperconvergenza e al cloud computing (“nuvola
infromatica”).
- Perseguire lo sviluppo
del Fascicolo Socio Sanitario Elettronico regionale e la digitalizzazione
dei processi. Il Fascicolo in particolare risulta essere lo strumento
principale per lo sviluppo del sistema socio sanitario regionale e a tal
fine si ritiene strategico prevedere:
• il suo mantenimento e l’evoluzione con
tutti i dati e i documenti disponibili, in linea con quanto definito dai
documenti di indirizzo nazionali e regionali di riferimento;
• l’alimentazione continua di dati e
documenti da parte delle Aziende sanitarie/distretti, verso
l’infrastruttura regionale;
• agile accesso, consultazione e gestione dei
dati e documenti digitali da parte del cittadino;
• l’implementazione di nuove soluzioni e
canali di erogazione dei servizi per l’accesso al Fascicolo Socio
Sanitario regionale quali ad esempio applicazioni su dispositivi mobile,
in grado di assicurare l’utilizzo diffuso delle informazioni da
parte di cittadini e operatori socio-sanitari;
• l’integrazione sistematica e organica
dei servizi di telemedicina, teleassistenza e telemonitoraggio sviluppati
e in corso di evoluzione all’interno dell’infrastruttura
tecnologico-informativa del FSSE regionale al fine di rendere strutturale
il disegno della rete dei servizi al cittadino, nell’ottica di
rafforzare l’ambito territoriale di assistenza, contribuendo ad
assicurare equità nell’accesso alle cure nei territori remoti
con particolare supporto alla gestione delle cronicità, così da
migliorare la qualità della vita e, quindi, l’inclusione dei
pazienti affetti da patologie croniche, in particolare gli
anziani;
• l’utilizzo di strumenti di
appropriatezza e di sistemi di analisi di dati complessi per supportare
la cura, la ricerca e il governo del sistema socio sanitario.
- Promuovere il disegno
partecipato dei servizi, date le potenzialità della tecnologia e il
suo crescente utilizzo nell’ecosistema sanitario al fine di:
• creare servizi accessibili e di facile
utilizzo in grado di rispondere in maniera adeguata e repentina alla
continua evoluzione dei bisogni degli utenti correlata alle
trasformazioni socio-economiche in atto;
• garantire ampio accesso e utilizzo dei
servizi innovativi proposti per cittadini e operatori del SSSR, con
particolare riguardo per il cittadino fragile e/o con scarsa attitudine
alla tecnologia, creando un sistema di comunicazione integrato e
coordinato a livello regionale;
• diffondere modelli di sviluppo partecipato
dei servizi, nei quali gli utenti possano collaborare con gli operatori
socio-sanitari nel disegno degli stessi, in modo da garantire maggiore
rispondenza ai bisogni reali dei cittadini e aumentare così il
livello di utilizzo degli strumenti innovativi introdotti;
• supportare gli operatori SSSR nella gestione
del cambiamento conseguente all’introduzione di nuovi servizi e
tecnologie digitali;
• creare percorsi di alfabetizzazione e
diffusione della cultura digitale, nonché promuovere luoghi di
intermediazione capaci di garantire ampio accesso e utilizzo dei servizi
proposti.
- Monitorare e valutare
gli indicatori ospedalieri e territoriali:
• attivare una reportistica a livello
regionale sempre più sintetica e focalizzata su singoli aspetti
dell’attività, al fine di garantire all’Area Sanità
e Sociale, Azienda Zero, Aziende sanitarie/distretti un’agile
consultazione delle informazioni, mirata all’individuazione delle
migliori pratiche ed, eventualmente, delle criticità in materia di
erogazione dei servizi socio sanitari;
• potenziare l’attività di
definizione di indicatori dedicati alle Aziende sanitarie/distretti in
modo da assicurare la disponibilità di un unico “metodo di
misura”, l’omogeneità territoriale nell’adozione
degli algoritmi e nella valutazione dei fenomeni da esaminare, garantendo
efficienti strumenti di confronto tra i vari attori del SSSR.
12. IL GOVERNO DELLA FARMACEUTICA E DEI DISPOSITIVI
MEDICI
|
Parole chiave
|
Innovazione ,Appropriatezza,
Efficienza, Interdisciplinarietà,
Sostenibilità
|
|
Obiettivi
strategici
|
OS1.
Garantire l’accesso alle
terapie innovative e l’uso etico delle risorse
OS2.
Consolidare il modello
organizzativo del rilascio delle autorizzazioni alla prescrizione
dei farmaci e dispositivi medici più innovativi, in coerenza
con le reti cliniche
OS3.
Centralizzare le valutazioni di HTA
e gli acquisti delle tecnologie sanitarie OS4. Garantire la sicurezza dei farmaci e dei dispositivi in
tutti i luoghi di cura OS5. Valorizzare le Farmacie di comunità attraverso i nuovi
Servizi
|
Il continuo progresso
tecnologico e le dinamiche demografiche attese legate
all’invecchiamento della popolazione italiana determineranno nei
prossimi anni un’ulteriore espansione della domanda di nuove e
costose tecnologie sanitarie (farmaci, dispositivi medici, attrezzature
sanitarie e sistemi diagnostici) che rende indispensabile un incessante e
rinnovato impegno verso livelli di efficienza ed efficacia ottimali,
nell’azione di governo del sistema sanitario nel suo
complesso.
La spesa per le nuove tecnologie può diventare
un investimento solo quando produce risultati in termini di salute o
riduce altri costi sanitari. E’ corretto quindi valutare la spesa
delle nuove tecnologie in modo trasversale, abbandonando la logica dei
budget silos, per andare verso la valutazione del costo complessivo del
trattamento sanitario.
In ambito farmaceutico spetta ad AIFA il compito di
definire le condizioni di rimbosabilità e il prezzo dei farmaci, ma
le Regioni possono svolgere un ruolo importante nella definizione del
posizionamento terapeutico rispetto alle alternative e
nell’indirizzare verso un uso etico delle risorse. Al fine di poter
effettuare una buona programmazione dell’assistenza
nell’ambito delle risorse disponibili , spetta alle Regioni
effettuare valutazioni preventive sull’impatto di spesa atteso
delle nuove tecnolgoie e sugli eventuali risparmi che si possomo
verificare in altri settori .
Per i dispositivi medici, in assenza di un
prontuario nazionale , le regioni hanno un ruolo ancora più
rilevante nelle valutazioni , nelle scelte e nella programmazione della
spesa.
Nel processo di selezione delle tecnologie svolge un
ruolo fondamentale l’Health Tecnology Assessment (HTA) che deve
pertanto essere ben organizzato a livello regionale . In particolare per
i dispositivi medici dovrà interagire con il livello centrale
nell’ambito del Programma Nazionale di valutazione di HTA dei
dispositivi medici sancito con l’Accordo Stato Regioni del 21
settembre del 2017.
La complessità delle terapie farmacologiche e
l’aumento dell’eta dei pazienti sono di frequente causa di
interazioni farmacologiche con conseguenti reazioni avverse e abbandono
delle terapie. Particolare attenzione dovrà essere pertanto dedicata
al tema della aderenza della terapia e alla farmacovigilanza.
L’attenzione alla sicurezza dei farmaci e dei dispositivi è
importante in tutti i setting di cura ma va riservata una attenzione
particolare alle situazioni meno presidiate: è intenzione della
Regione proseguire l’attività di sorveglianza soprattutto
nelle Residenze per Anziani e negli Istututi penitenziari.
Il nuovo assetto organizzativo delle Aziende ULSS
rappresenta l’occasione per ripensare le reti delle farmacie
ospedaliere e dei servizi farmaceutici territoriali che dovranno essere
sempre più coinvolti nei processi di: selezione delle tecnologie
valutandone benefici, rischi e costi; vigilanza
sulla sicurezza; monitoraggio
dell’appropriatezza prescrittiva, instaurando pertanto un rapporto
dinamico e costruttivo con medici e infermieri in ospedale e sul
territorio. La riorganizzazione consentirà inoltre di beneficiare di
un processo di aggregazione delle risorse e delle competenze conseguendo
importanti economie di scala.
Al governo della farmaceutica dovranno partecipare
con ruolo attivo le farmacie pubbliche e private convenzionate, tramite
un rafforzamento delle funzioni di informazione sul corretto uso delle
terapie, di verifica della aderenza terapeutica e di prevenzione, tramite
la promozione dei corretti stili di vita attraverso il miglioramento del
coinvolgimento attivo del cittadino.
Gli obiettivi
strategici
Al fine di accompagnare gradualmente il SSSR verso
la piena operatività di un modello unificante di governo a rete
delle tecnologie sanitarie, sono identificati quali obiettivi strategici
della programmazione:
- Garantire a tutti i
cittadini l’accesso alle terapie innovative promuovendo l’uso
etico delle risorse;
- Proseguire nel
percorso di miglioramento continuo dell’appropriatezza
prescrittiva;
- Favorire l’uso
dei farmaci a brevetto scaduto quale strumento per liberare
risorse;
- Consolidare il modello
organizzativo di rilascio delle autorizzazioni in rete alla prescrizione
dei farmaci ad alto costo e dell’utilizzo di dispositivi medici
innovativi , basato su criteri di razionalità e
appropriatezza;
- centralizzare le
valutazioni di Health Technology Assessment (HTA) nel quadro di un
innovativo Programma Regionale di Valutazione che sappia anche migliorare
la trasferibilità nel SSSR delle valutazioni condotte a livello
nazionale ed internazionale;
- centralizzare gli
acquisti dei farmaci e dei dispositivi medici
- assicurare la
sicurezza delle tecnologie con particolare attenzione alla interazione
tra farmaci, alla aderenza terapeutica, alle transizioni di cura e al
controllo degli errori farmacologici;
- aumentare la
partecipazione del cittadino alle politiche farmaceutiche;
- valorizzare il ruolo
delle farmacie di comunità attraverso la sperimentazione dei nuovi
servizi.
La declinazione degli obiettivi
strategici
Gli
obiettivi annuali assegnati alle Aziende Sanitarie
La Regione intende perseguire la sostenibilità
del SSSR mediante un efficiente sistema a rete di governo atto a
garantire il massimo equilibrio tra i Livelli Essenziali di Assistenza
(LEA) ed il sistema dei finanziamenti stabiliti a livello nazionale.
L’Area Sanità e Sociale, avvalendosi dell’Azienda Zero,
stabilisce annualmente:
- obiettivi strategici
di governo e limiti di costo, tra loro organicamente integrati e
correlati con le esigenze del territorio di riferimento, da assegnare
alle Aziende ULSS, alle Aziende ospedaliere e all’IRCCS Istituto
Oncologico Veneto, nonché alle strutture private accreditate per
quanto concerne la spesa a carico SSSR tenendo in debita considerazione
l’interrelazione tra le stesse, in modo da rendere effettivamente
coordinata l’offerta dei servizi ai cittadini;
- obiettivi operativi e
indicatori di misurazione delle performance, fornendo alle Aziende
sanitarie i risultati intermedi e consolidati, anche in collaborazione
con Arsènal.IT.
Inoltre, si impegna a reinvestire parte delle
risorse derivanti dagli accordi negoziali e payback e
dall’applicazione dei costi standard nell’investimento in
tecnologie sanitarie innovative nei limiti degli equilibri di finanza
pubblica.
Le Aziende ULSS, le Aziende ospedaliere e
l’IRCCS Istituto Oncologico Veneto fanno propri gli obiettivi e li
inseriscono nel ciclo della performance. In particolare, per quanto
riguarda l’assistenza territoriale, è compito del responsabile
delle Cure Primarie, in collaborazione con il Servizio farmaceutico
territoriale assegnare gli obiettivi ai MMG e specialisti ambulatoriali,
organizzare gli incontri ed effettuare le necessarie verifiche e
interventi correttivi. Allo stesso modo è compito del Direttore
Medico Ospedaliero in collaborazione con la Farmacia ospedaliera
monitorare l’aderenza agli obiettivi assegnati e intervenire nelle
situazioni di criticità.
La
valutazione delle tecnologie
Dal momento che la gestione della spesa per
tecnologie sanitarie è fortemente influenzata dall’acquisto di
prodotti farmaceutici innovativi di particolare rilevanza , ma di
altissimo costo , il cui accesso deve essere garantito in modo uniforme
su tutto il territorio nazionale, la Regione del Veneto proseguirà
il proprio programma di governo già iniziato con l’abbandono
dello storico Prontuario Terapeutico Ospedaliero Regionale (PTOR) in
favore di un approccio incentrato sul governo clinico, che pone al centro
della programmazione e della gestione dei servizi sanitari i bisogni
degli assistiti e valorizza il ruolo e la responsabilità dei medici
e degli altri operatori sanitari per la promozione della qualità
dell’assistenza.
L’Area Sanità e Sociale
- coordina le
valutazioni delle nuove tecnologie (fase di appraisal
dell’HTA) e esprime un giudizio tenendo conto delle migliori
evidenze disponibili, dei rapporti di HTA e della programmazione
regionale, gestendo il livello di incertezza delle informazioni sulle
tecnologie sanitarie anche attraverso programmi di ricerca.
- Approva
raccomandazioni e indirizzi prescrittivi
- Promuove lo studio del
valore clinico e dei costi evitati dalle nuove tecnologie
Il processo di valutazione e le raccomandazioni
avvengono all’interno di Commissioni regionali multidisciplinari
costituite da medici, esperti in discipline sanitarie, organizzative ed
economiche, con la partecipazione delle associazioni di pazienti. Un
ruolo particolare riveste la definizione di raccomandazioni
nell’abito della Rete Oncologica Veneta e la Rete Ematologica
Veneta.
L’Area Sanità e Sociale partecipa
attivamente al Programma Nazionale di valutazione di HTA dei dispositivi
medici sancito con l’Accordo Stato Regioni del 21 settembre del
2017.
L’Azienda Zero tramite l’Unità di
HTA:
- si candida a diventare
un Centro collaborativo regionale della rete nazionale.
- elabora le valutazioni
di HTA
- identifica e diffonde
approcci innovativi nell’uso pratico delle tecnologie e cura la
diffusione delle linee di indirizzo regionali, anche tramite
l’organizzazione di incontri e corsi di formazione con le Aziende
Sanitarie, favorendo lo scambio di informazioni e la diffusione delle
conoscenze di HTA;
- potenzia la
partecipazione ad iniziative volte a migliorare la gestione della
trasferibilità nel SSSR delle valutazioni prodotte in contesti
nazionali ed internazionali;
- attiva un sistema per
intercettare in modo tempestivo i fabbisogni di nuove tecnologie
(dispositivi medici e attrezzature) ed effettuare una valutazione rapida
sul valore aggiunto e il rapporto tra costi e benefici, in modo da
governare i processi di acquisto delle Aziende sanitarie;
- potenzia la
qualità dei flussi informativi e sviluppa nuovi indicatori per
valutare l’appropriatezza, gli esiti e i costi assistenziali
complessivi .
Le Aziende ULSS, le Aziende ospedaliere e
l’IRCCS Istituto Oncologico Veneto fanno proprie le decisioni e i
relativi documenti e ne curano la diffusione anche tramite
l’organizzazione di incontri con gli operatori sanitari. In
particolare per quanto riguarda il governo della farmaceutica e dei
dispositivi medici sono confermate presso ogni Azienda sanitaria la
Commissione Tecnica Aziendale dei Farmaci e la Commissione Tecnica
Aziendale dei Dispositivi Medici, con compiti di verifica sugli acquisti,
adozione degli indirizzi regionali, diffusione e monitoraggio della loro
applicazione. Si prevede inoltre per i Dispositivi medici,
l’attivazione di Unità Aziendali di Valutazioni delle
richieste di acquisto che operino in stretta relazione con
l’Unità di HTA di Azienda Zero.
Le
autorizzazioni all’uso dei farmaci e dispositivi innovativi
L’Area Sanità e Sociale intende
proseguire e consolidare il modello organizzativo del rilascio delle
autorizzazioni in rete alla prescrizione dei farmaci ad alto costo e
dell’utilizzo di dispositivi medici basato su criteri di
razionalità e appropriatezza. Tale modello dovrà tenere conto
della presenza di reti cliniche, di centri Hub & Spoke,
dell’epidemiologia attesa, dell’esperienza richiesta e delle
esigenze dei pazienti. In particolare per i farmaci sottoposti a
monitoraggio tramite Registro AIFA o Piano Terapeutico informatizzato, la
Regione individua e autorizza i centri prescrittori sulla base delle
informazioni fornite dall’Autorità regolatoria, e si riserva
di delegare la somministrazione di farmaci ad alto costo e ad alta
specializzazione ai Centri Spoke previa autorizzazione e supervisione dei
Centri Hub, al fine di una maggiore efficienza del modello
organizzativo.
La
centralizzazione degli acquisti di farmaci, di ausili e dei dispositivi
medici
La centralizzazione degli acquisti di farmaci di
ausili e dei dispositivi medici è considerato un ulteriore obiettivo
strategico della programmazione regionale, in quanto consente di
abbattere i costi di acquisto e favorisce, al contempo,
l’armonizzazione dei percorsi terapeutici tra gli ospedali pubblici
e privati accreditati della Regione. A tal riguardo, annualmente,
l’Area Sanità e Sociale approva il documento di programmazione
degli acquisti e lo integra in caso di sopravvenute esigenze.
Successivamente l’Azienda Zero attiva un programma per addivenire
alla completa centralizzazione di tutti gli acquisti di beni e servizi
necessari alle Aziende ULSS, alle Aziende ospedaliere e all’IRCCS
Istituto Oncologico Veneto, che si sviluppa secondo le seguenti
direttive:
- attivazione di un
osservatorio delle nuove tecnologie introdotte in commercio;
- rilevazione dei
fabbisogni anche tramite l’utilizzo di piattaforme informatiche e
conseguente programmazione triennale degli acquisti con aggiornamento
annuale;
- predisposizione di
rapporti di HTA o valutazioni rapide di supporto alla CRITE;
- predisposizione di
documenti di indirizzo sulla stesura dei capitolati di gara in base alle
specifiche necessità, orientati a garantire l’accesso alla
innovatività, la standardizzazione delle procedure e la concorrenza
tra i fornitori;
- espletamento delle
procedure di acquisto ordinarie e straordinarie;
- monitoraggio
dell’effettiva e corretta distribuzione degli ausili e dispositivi
medici, garantendo l’omogenea e standardizzata distribuzione ai
cittadini in possesso di prescrizione, da parte di tutte le strutture
aziendali. E’ importante quindi che ogni Ulss nell’ambito del
Dipartimento funzionale di Riabilitazione organizzi un Centro Ausili
Complessi per poter offrire al paziente risposte omogenee e
tecnologicamente all’avanguardia in tutto il Veneto.
Garantire la sicurezza nell’uso dei farmaci e dei
dispositivi medici
L’Area Sanità e Sociale definisce
annualmente gli obiettivi generali e le azioni di miglioramento volte a
garantire la sicurezza nell’uso dei farmaci e dei dispositivi
medici al fine di tutelare la salute e la sicurezza dei pazienti e degli
operatori sanitari, quale obiettivo strategico regionale.
Le azioni di si focalizzano in particolare sulla
sorveglianza dei pazienti a cui sono stati somministrati farmaci o
utilizzati dispositivi medici oggetto di segnalazioni o ritiri dal
commercio, per garantire un sollecito richiamo e il follow-up.
Ulteriori aree oggetto di approfondimento sono
rappresentate dalla sorveglianza sulle reazioni avverse dei farmaci nei
pazienti anziani o in trattamento con politerapie, la riconciliazione
farmacologica nelle fasi di transizione nei diversi contesti
assistenziali, il miglioramento della aderenza terapeutica.
Proseguirà l’attenzione dedicata alla
qualità dei processi di allestimento dei farmaci in tutte le aree di
assistenza, sfruttando l’esperienza già acquisita attraverso
la messa a norma del processi di allestimento degli antitumorali e la
riorganizzazione delle Unità di Allestimento Farmaci Antiblastici
(UFA) , e verrà promossa la progressiva adozione delle tecnologie
logistiche innovative che consentono di tracciare e registrare in
sicurezza tutto il percorso del farmaco e del dispositivo medico,
dall’acquisto fino alla somministrazione o impianto nel
paziente.
Le azioni e i programmi di sorveglianza sui farmaci
tengono conto degli Accordi sottoscritti dalla Conferenza permanente dei
rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Provincie autonome che definiscono
Indirizzi per la realizzazione di Programmi di farmacovigilanza mediante
stipula di convezioni tra le Regioni e AIFA per l’utilizzo delle
risorse stanziate ai sensi dell’art.36 comma 14 della Legge n 449
del 17.12.1997. L’Azienda Zero e il Centro Regionale di
Farmacovigilanza supportano l’Area sanità e sociale nella
raccolta informatizzata delle segnalazioni e successivo invio al
Ministero della Salute e AIFA, nella realizzazione di progetti mirati,
nonché nella informazione e sensibilizzazione verso tutti gli
operatori sanitari.
Le Aziende ULSS, le Aziende ospedaliere e
l’IRCCS Istituto Oncologico Veneto e le strutture private
accreditate affidano alle Farmacie ospedaliere e ai Servizi farmaceutici
territoriali le funzioni di vigilanza dei farmaci e dei dispositivi
medici, da svolgere in stretta collaborazione con i responsabili del
rischio clinico e i servizi di ingegneria clinica.
Sono individuati quali ulteriori macro-obiettivi
della programmazione regionale:
- il coinvolgimento
attivo del cittadino mediante la partecipazione delle Associazioni di
pazienti ai programmi di governo e l’attivazione di canali di
informazione per assicurare il loro pieno coinvolgimento sulle scelte di
politica farmaceutica a garanzia di un servizio sanitario regionale
sostenibile e di qualità;
- la promozione della
Farmacia dei Servizi . Nell’ambito della riorganizzazione delle
Cure Primarie si intende sviluppare la Farmacia dei servizi riconoscendo
alla rete delle farmacie pubbliche e private professionalità e
vicinanza al cittadino, soprattutto nelle aree più disagiate.
L’Area Sanità e Sociale promuoverà pertanto programmi per
sviluppare nuove funzioni della Farmacia, in particolare il controllo
della aderenza terapeutica,
l’informazione sulla corretta assunzione dei
farmaci e la farmacovigilanza, avvalendosi di Azienda Zero per la
conduzione e il monitoraggio dei progetti e di Arsenàl.IT per
sviluppare il Dossier farmaceutico all’interno del FSE.
La Regione, attraverso il raggiungimento degli
obiettivi strategici ed operativi descritti precedentemente, ambisce a
migliorare la qualità dell’assistenza farmaceutica ad ogni
livello, posizionandosi tra le migliori regioni rispetto agli indicatori
farmaceutici annualmente definiti a livello nazionale (Nuovo Sistema di
Garanzia). Infine, il rispetto dei tetti assegnati a livello nazionale e
ricompresi negli adempimenti LEA (farmaceutica e dispositivi medici)
garantisce il conseguimento delle premialità in sede di riparto
annuale e quindi risorse aggiuntive per l’innovazione e la
sostenibilità del sistema.
13. IL GOVERNO E LE POLITICHE PER IL PERSONALE
|
Parole chiave
|
Bisogni, Flessibilità,
Innovazione, Interdisciplinarietà, Motivazione,
Multiprofessionalità, Risultati, Standard, Sviluppo,
Valorizzazione
|
|
Obiettivi
strategici
|
OS1. Definire nuovi
orizzonti nella trasformazione della “geografia”
delle professioni sanitarie OS2. Incrementare le competenze e
favorire lo sviluppo del potenziale del personale
OS3. Innovare
modalità e strumenti per la gestione del personale
OS4. Assicurare la
piena copertura dei fabbisogni di personale del sistema del
Servizio Sanitario Regionale OS5. Definire strumenti per
affrontare la carenza di medici
|
I bisogni socio-sanitari
emergenti sono caratterizzati da un aumento trasversale sia della
complessità clinico-assistenziale sia degli interventi da mettere in
atto per farvi fronte. Per rispondere con servizi appropriati, di
qualità e sostenibili, è necessario riaffermare la
centralità della persona, promuovendo ulteriormente il cambiamento
organizzativo-assistenziale introdotto negli ultimi anni attraverso il
supporto di adeguate politiche di governo del personale che richiedono la
definizione e l’utilizzo di standard minimi fondamentali per
garantire l’equilibrio tra efficacia ed efficienza del sistema
salute.
Obiettivi strategici del PSSR
1. Definire nuovi orizzonti nella trasformazione
della “geografia” delle professioni sanitarie;
2. Incrementare le competenze e favorire lo sviluppo
del potenziale del personale;
3. Innovare modalità e strumenti per la
gestione del personale
4. Assicurare la piena copertura dei fabbisogni di
personale del sistema del Servizio Sanitario Regionale.
Elementi di innovazione del PSSR:
- Valorizzare la
flessibilità nel cambiamento dei contesti di lavoro;
- Utilizzare al meglio
le peculiarità generazionali del personale presente nei diversi
ambiti lavorativi;
- Valorizzare le
competenze del personale;
- Definire standard
minimi per il personale nei diversi contesti;
- Introdurre la cultura
dei risultati;
- Ripensare i processi
chiave dell’organizzazione ponendo il personale al centro del
sistema;
- Creare sinergie tra le
politiche aziendali e le pratiche di gestione del personale.
Definire nuovi orizzonti nella
trasformazione della “geografia” delle professioni
sanitarie
La ridefinizione di ruoli e funzioni dei
professionisti che operano nel contesto regionale è fondamentale per
articolare risposte integrate e coordinate alla molteplicità dei
bisogni tra loro interdipendenti e complementari. Questo è favorito
dall’introduzione di modelli organizzativo-
assistenziali innovativi che migliorino la presa in
carico dei pazienti e nel contempo motivino e valorizzino il personale,
che negli ultimi anni ha visto da un lato un importante evoluzione dei
livelli formativi e dall’altro, a seguito delle riforme
pensionistiche, un significativo cambiamento della propria
demografia.
Contestualmente si sta realizzando una profonda
trasformazione della “geografia” delle professioni sanitarie
coinvolte sia in processi di ridefinizione dei propri contenuti
professionali, sia in modelli organizzativi che richiedono
l’integrazione e la collaborazione tra diverse
professionalità.
La crescente domanda di servizi sanitari e il
cambiamento dell’epidemiologia regionale hanno evidenziato la
necessità di strutturare un’offerta formativa adeguata e
coerente con i bisogni emergenti, di poter utilizzare compiutamente
l’intero ventaglio di competenze previste dai profili professionali
degli operatori, ma anche di rimodulare i contesti di lavoro attraverso
interventi riorganizzativi e, ove necessario, l’adeguamento della
composizione professionale (skill-mix) dei professionisti
sanitari.
L’evoluzione delle competenze necessarie a
rispondere ai mutati bisogni di salute e la conseguente riorganizzazione
e adeguamento degli skill-mix dei professionisti deve prendere avvio
anche con la contestuale revisione degli obiettivi di apprendimento e dei
contenuti dei percorsi formativi di base e post-base da realizzare
attraverso forme di collaborazione con gli atenei che concorreranno con
la Regione alla formazione dei futuri professionisti sanitari.
Considerata inoltre la crucialità della gestione
dell’apprendimento dei futuri professionisti sanitari nei contesti
clinici delle strutture del Servizio Sanitario regionale, sarà
necessario revisionare l’attuale modello organizzativo della
formazione regionale di base nell’ottica della massimizzazione dei
risultati e dello sviluppo delle competenze e la definizione dei ruoli
del personale coinvolto.
Per strutturare i fabbisogni formativi dei
professionisti sanitari, la Regione del Veneto ha aderito, tramite il
Ministero della Salute, ad un progetto europeo denominato “European
Health Workforce Planning and Forecasting” che ha visto il
coinvolgimento e la partecipazione di molti soggetti istituzionali, e si
è posto come obiettivo la diffusione di “buone pratiche”
di pianificazione e la previsione di fabbisogni di professionisti
sanitari già sviluppate in alcuni Stati europei, nonché
l’elaborazione di un modello previsionale formulato in base alle
specificità nazionali.
Tale modello che guarda al medio-lungo periodo,
poggia su uno schema teorico di riferimento che individua la domanda
futura di professionisti in base all’offerta.
Il modello previsionale necessita di essere
migliorato e implementato mediante la costituzione di banche dati sul
numero di professionisti, affidabili e consolidate, e la definizione
puntuale ed esaustiva della domanda futura di salute della popolazione,
variabile di non semplice interpretazione e quantificazione, atteso che
afferisce a valutazioni sui possibili scenari epidemiologici che potranno
influire sulle necessità delle diverse figure professionali.
Gli obiettivi così definiti richiedono
l’istituzione di un team permanente e pluridisciplinare a cui
affidare lo sviluppo e l’affinamento della metodologia e la
creazione ed il mantenimento di banche dati regionali.
Nell’ambito della trasformazione della
geografia delle professioni sanitarie e degli altri operatori, un
fenomeno che ha caratterizzato gli anni recenti è
l’allungamento della vita lavorativa del personale che ha indotto
un rilevante cambiamento demografico e la conseguente necessità di
realizzare politiche di age management, che tengano in considerazione il
progressivo aumento dell’età media dei lavoratori.
Contestualmente si rende necessario introdurre politiche proattive di
gestione del personale che considerino l’intero arco della vita
lavorativa, favorendone il benessere e il mantenimento all’interno
del contesto di lavoro. Tali interventi dovranno essere tra di
loro
coordinati ed integrati e dovranno riguardare sia
gli aspetti organizzativi ed ergonomici del lavoro sia la promozione
della salute.
Un ulteriore aspetto del quale è necessario
tener conto rispetto al passato, è la maggior presenza nei contesti
di cura di professionisti appartenenti a diverse
“generazioni”, che sono portatori di conoscenze, competenze,
valori ed esperienze molto diversi tra loro che, se valorizzati,
divengono risorse per il contesto. In un ambito di lavoro
“multigenerazionale” è pertanto necessario realizzare
interventi volti a motivare e coinvolgere il personale in maniera
dinamica, ricercando strategie per valorizzare le peculiarità e il
contributo di ogni fascia di età, massimizzandone l’impegno e
la motivazione. Questo richiede approcci diversificati, quali ad esempio
l’utilizzo del personale senior in attività di tutoraggio per
facilitare l’inserimento di personale neoassunto o neoinserito o
l’utilizzo del personale più giovane per attività di
“tutoraggio al contrario” (reverse- mentoring), finalizzate a
supportare l’acquisizione di conoscenze e competenze
prevalentemente tecnico-informatiche nel personale senior.
In un contesto improntato all’innovazione e
allo sviluppo del personale, la funzione manageriale espressa a diversi
livelli organizzativi assume un ruolo strategico per il raggiungimento
degli obiettivi di programmazione regionale caratterizzata da nuove reti
organizzative nelle quali i manager, nei diversi contesti in cui operano,
ricoprono un ruolo fondamentale nel perseguire le strategie necessarie al
complesso governo del contesto socio sanitario regionale.
Un importante contributo è richiesto in
particolare alle Direzioni delle Professioni Sanitarie per orientare il
personale di riferimento al conseguimento dei risultati anche attraverso
l’utilizzo di modelli organizzativi e processi di lavoro
innovativi, modelli assistenziali che identifichino, misurino e
perseguano esiti di salute per i pazienti, valorizzando e sviluppando nel
contempo le competenze del personale e promuovendone l’integrazione
con le altre professioni che operano nel Sistema.
Infine, anche le funzioni dei middle manager,
espresse da professionisti appartenenti a diverse aree contrattuali e
perni centrali per diffondere la visione globale ed il pensiero
strategico aziendale, in quanto situati in posizione intermedia tra
l’alta direzione e le strutture operative, dovranno ulteriormente
essere supportate e valorizzate attraverso strategie di sviluppo e
progettualità innovative.
Incrementare le competenze e
favorire lo sviluppo del potenziale del personale
Per rispondere in modo adeguato ai nuovi bisogni
socio-sanitari è altresì necessario organizzare in una rete
dinamica gli ospedali, i servizi del territorio e i diversi
professionisti coinvolti, promuovendo, attuando e diffondendo modelli
organizzativo-assistenziali innovativi focalizzati sulla persona e sulle
soluzioni più favorevoli per la sua condizione clinico-assistenziale
che ne incrementino la resilienza all’interno delle comunità,
passando da una logica funzionale e prestazionale a quella dei risultati
di salute.
A tal fine è fondamentale riconoscere il
contributo di tutte le professioni sanitarie, individuando gli ambiti che
richiedono l’espansione e/o l’estensione delle competenze
proprie di ogni profilo e definendone fluidamente e proattivamente
autonomia e responsabilità. L’adeguamento della risposta del
sistema sanitario regionale a una realtà epidemiologica
caratterizzata da bisogni di salute mutevoli, non può prescindere
anche dalla definizione di standard di risultato per misurare, attraverso
panel di indicatori specifici, i risultati degli interventi erogati. Per
l’ambito assistenziale, ciò può essere perseguito, ad
esempio, definendo un set di indicatori degli esiti sensibili
all’assistenza infermieristica, i cui dati convergano nei flussi e
nei cruscotti regionali.
L’individuazione delle competenze da
aggiornare, sviluppare ed integrare, propedeutiche al cambiamento che
deve essere messo in atto, va preceduta da una approfondita analisi dei
fabbisogni professionali presenti nel contesto regionale, a cui deve far
seguito lo sviluppo di azioni progettuali innovative, la promozione di
buone pratiche e la loro contestualizzazione nell’ambito socio
sanitario regionale.
Lo sviluppo di queste nuove architetture
organizzative richiede che contestualmente siano definite in modo
proattivo e fluido le competenze distintive dei professionisti e la loro
autonomia e responsabilità e che le stesse siano sviluppate anche
mediante percorsi di formazione post-base, formazione continua ed
interventi di apprendimento situato nei contesti di vita
lavorativa.
Le Aziende sanitarie hanno perciò
necessità di essere supportate per governare questo processo di
cambiamento, anche attraverso percorsi di formazione sul campo
finalizzati allo sviluppo delle competenze manageriali della dirigenza
strategica e dei dirigenti di linea (middle manager), figure
quest’ultime che nelle nuove organizzazioni ricoprono ruoli
chiave.
Oltre ai programmi di formazione manageriale, per
rafforzare il ruolo di guida del management nel processo di cambiamento,
verrà promossa a livello regionale un’attività di
certificazione delle competenze specialistiche ed, in particolare,
manageriali.
La formazione continua in particolare rappresenta
una determinante fondamentale per gestire il cambiamento necessario, per
garantire una qualità sempre più elevata dei servizi erogati e
per raggiungere gli obiettivi prefissati dalla programmazione
regionale.
Le performance dei servizi sanitari sono
strettamente correlate a quelle dei singoli professionisti e la
formazione durante la vita lavorativa, permette l’aggiornamento
costante delle conoscenze e delle competenze necessarie per poter
rispondere ai bisogni dei pazienti, alle esigenze del Servizio sanitario
e al proprio sviluppo professionale.
Per l’erogazione della Formazione Continua in
Medicina (ECM), la Regione del Veneto, già nel 2012 ha avviato sul
territorio regionale il sistema di accreditamento dei Provider pubblici e
privati, abilitati ad erogare formazione individuando parametri per la
verifica dei requisiti di accreditamento.
Il sistema si è strutturato con la
realizzazione di diverse procedure necessarie per regolamentare la
formazione continua e le attività di monitoraggio dei requisiti di
accreditamento dei Provider e dell’offerta formativa, sia dal punto
di vista quantitativo sia qualitativo.
La gestione del procedimento di accreditamento
provvisorio e standard dei suddetti erogatori ECM e le diverse
attività amministrative connesse alla realizzazione degli eventi,
sono ora affidate all’Azienda Zero.
Lo sviluppo della formazione manageriale e
specialistica, di valenza regionale, è assegnata alla Fondazione
Scuola di Sanità Pubblica, Management delle Aziende socio-sanitarie
e per l’incremento dei trapianti d’organo e tessuti (FSSP).
Soggetto al quale è affidato anche il coordinamento dei programmi
formativi e delle attività del Centro di Simulazione e Formazione
Avanzata della Regione del Veneto (Si.F.A.R.V.) finalizzate ad offrire
formazione di elevato livello per migliorare l’appropriatezza
clinica ed organizzativa in tutti i settori della Sanità attraverso
la metodica della simulazione e l’utilizzo di tecnologia ad
integrazione della formazione teorica. Si prospetta così la
realizzazione di un Parco Scientifico per la Formazione che consenta un
continuo miglioramento della metodica della simulazione anche attraverso
aspetti innovativi quali la realtà virtuale.
Per contribuire al miglioramento delle attività
formative rivolte al comparto della Sanità, saranno promosse
collaborazioni con altre Scuole regionali di formazione che operano nel
territorio
nazionale con l’obiettivo di mettere a fattore
comune le esperienze maturate nel settore socio sanitario promuovendo
l’introduzione di metodologie e strumenti innovativi che permettano
un efficace ed efficiente utilizzo delle risorse.
Assicurare la piena copertura dei
fabbisogni di personale del sistema del Servizio Sanitario
Regionale
Innovare modalità e
strumenti per la gestione del personale
Considerata l’importanza strategica e la
centralità del personale nelle Aziende sanitarie, risulta
fondamentale individuare politiche di gestione integrate e sinergiche con
quelle organizzative e produttive a partire dalla definizione di standard
necessari a garantire erogazione e qualità dei servizi.
A tal fine vanno individuati indicatori di
efficienza e appropriatezza allocativa delle risorse, rapportandoli a
indicatori di appropriatezza organizzativa e a valutazioni
sull’erogazione dei LEA. Gli strumenti rilevatori così
individuati, denominati standard, costituiscono l’unità di
misura per una corretta valutazione dell’adeguatezza delle risorse
impiegate rispetto all’attività richiesta e
programmata.
Nel governo del personale in sanità, lo
standard descrive la combinazione di professionisti in grado di garantire
l’erogazione del servizio e il suo “buon esito”,
evitando gli sprechi. Nell’organizzare il personale è
necessario valutare il principio di efficienza allocativa, considerando
sempre la centralità del rapporto con il paziente e del suo percorso
di cura.
Negli ultimi anni la Regione del Veneto ha definito
i valori minimi di riferimento per il personale infermieristico e di
supporto delle aree di degenza ospedaliere, per il personale che opera
nei pronto soccorso e parametri di riferimento per il personale medico
che opera presso le strutture ospedaliere estendendo tale approccio anche
all’individuazione di valori di riferimento per tutti gli altri
ambiti delle strutture ospedaliere nonché per il territorio.
Le Aziende del SSSR sono periodicamente monitorate e
i dati che ne derivano sono oggetto di valutazione, e supportano
l’individuazione di modelli organizzativi e buone pratiche per le
diverse strutture ospedaliere definite dalla programmazione regionale. La
definizione di valori minimi di riferimento ha, altresì, lo scopo di
individuare principi e criteri univoci e omogenei che, pur
nell’ambito delle specifiche peculiarità delle singole
aziende, garantiscano una base comune e un riferimento applicativo per
ogni funzione e ruolo.
Va precisato che gli standard, data la
complessità delle realtà analizzate, sono valori tendenziali
che devono essere adeguati alle specifiche tipicità aziendali e alle
peculiarità delle strutture e alla funzione loro attribuita dalla
programmazione regionale.
I valori così determinati e gli esiti dei
monitoraggi periodici devono essere supportati da una approfondita
analisi dei modelli organizzativi che metta a confronto diverse
realtà erogative, analizzandone le potenzialità e
criticità. Il ruolo della Regione è anche quello di fornire
strumenti condivisi, utili per l’analisi e il confronto
costruttivo, a livello regionale e locale. Inoltre, i valori per il
personale dovranno necessariamente confrontarsi con indicatori di esito,
così da valutare le risorse impiegate in base al modello
organizzativo scelto e i risultati ottenuti.
I vincoli nazionali sui costi e la crescente domanda
di salute hanno innescato, nel tempo, problematiche in materia di
politica sanitaria, in particolare riguardanti il governo delle
risorse
umane. È necessario che il sistema regionale
individui un livello di equilibrio sostenibile in termini di efficacia ed
efficienza, compatibile con le scelte programmatorie. In questo contesto,
le scelte che riguardano la gestione e l’organizzazione del
personale svolgono un ruolo strategico ed è necessario presidiarle
sia a livello regionale e locale.
In tal senso saranno sviluppati strumenti di
monitoraggio e analisi, implementando un sistema di osservazione costante
nel medio e lungo periodo. L’analisi osservazionale e lo studio dei
sistemi complessi che sono alla base delle organizzazioni sanitarie
saranno approfonditi con l’obiettivo di individuare le migliori
pratiche possibili.
Le scelte di governo del personale, l’analisi
delle modalità organizzative, lo studio di modelli efficienti per
l’allocazione delle risorse umane sono un momento fondamentale per
la determinazione del fabbisogno di personale e le aziende devono
disporre di dati di confronto per poter attuare le migliori pratiche
organizzative. In questo senso la definizione di standard e parametri di
riferimento costituirà un riferimento fondamentale cui tendere per
il raggiungimento dell’efficienza organizzativa.
In quest’ottica, la Regione del Veneto
proseguirà il percorso di individuazione di valori di riferimento
per tutte le aree funzionali delle aziende sanitarie, individuando,
così, uno strumento di confronto e di analisi adattabile al
fabbisogno di personale e alle esigenze derivanti dalla programmazione
dell’offerta di salute.
Per innovare la gestione del personale, è
altresì basilare strutturare interventi finalizzati a favorire e
promuovere il benessere organizzativo e la valorizzazione delle
competenze e dei punti di forza degli operatori lungo l’intero arco
della vita lavorativa.
Tra essi risultano prioritari la promozione di
interventi maggiormente flessibili per la prevenzione dei problemi di
salute e delle inidoneità/limitazioni lavorative tipiche delle
“professioni di cura, anche attraverso la promozione di stili di
vita sani, il miglioramento degli ambienti di lavoro e della loro
ergonomia, il supporto psicologico individuale e la conciliazione
vita-lavoro, soprattutto in presenza di monogenitorialità, figli
minori e disabili.
Anche la soddisfazione e la motivazione del
personale sono fattori strategici da promuovere, in quanto condizionano
il senso di appartenenza all’azienda, dando un significato
all’agire professionale, influenzandone efficacia, efficienza,
produttività e sviluppo, con impatto positivo anche sulla
performance complessiva delle organizzazioni.
Fondamentale risulta a tal fine la periodica
rilevazione del clima organizzativo, che permette di monitorare le
modalità di coinvolgimento del personale, il miglioramento della
comunicazione interna all’organizzazione, la partecipazione dei
lavoratori al raggiungimento degli obiettivi.
A tal fine, dal 2016 la Regione del Veneto ha
previsto la rilevazione periodica del clima organizzativo,
nell’ambito del sistema di valutazione della performance dei
Sistemi Sanitari Regionali, coordinato dal Laboratorio Management e
Sanità (MeS) della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa.
Definire strumenti per affrontare
la carenza di medici (14)
Incarichi individuali con contratto di lavoro autonomo
La carenza dei medici specializzati, soprattutto in
talune specialità rende problematica per talune aziende sanitarie
l’erogazione delle prestazioni comprese nei livelli essenziali di
assistenza laddove risulti impossibile il reclutamento di personale
medico in rapporto di dipendenza o convenzionamento.
Pertanto, allo scopo di garantire l’erogazione
delle prestazioni di assistenza diretta ai pazienti comprese nei LEA, le
aziende sanitarie possono, in via eccezionale, conferire a medici
incarichi individuali con contratto di lavoro autonomo anche per lo
svolgimento di funzioni ordinarie, a condizione che l’azienda
abbia:
a) accertato l’impossibilità oggettiva di
utilizzare le risorse umane disponibili al suo interno anche in relazione
al ricorso a tutti gli istituti previsti dai contratti collettivi
nazionali di lavoro del personale dipendente;
b) accertato l’assenza di valide graduatorie
di concorso pubblico o avviso pubblico, cui attingere per eventuali
assunzioni a tempo indeterminato o a tempo determinato;
c) accertato, pur in presenza di graduatorie di cui
alla precedente lettera b), il rifiuto del personale utilmente collocato
nelle stesse graduatorie all’assunzione;
d) indetto, nell’ipotesi di assenza di
graduatorie, procedure per assunzioni di personale a tempo indeterminato
o determinato, in rapporto alla natura permanente o temporanea delle
funzioni che deve garantire; l’indizione delle procedure per
assunzioni a tempo determinato non è obbligatoria qualora sia
presumibile che il loro tempo di espletamento superi la durata della
situazione che ha determinato l’attivazione delle procedure di
conferimento dell’incarico.
Il personale cui viene conferito l’incarico
deve essere in possesso dei requisiti previsti dall’ordinamento per
l’accesso alla dirigenza medica e deve essere selezionato
attraverso procedure comparative.
Qualora risulti oggettivamente impossibile il
reperimento di medici in possesso della specializzazione richiesta, la
selezione potrà essere estesa anche a medici in possesso di diploma
di specializzazione in disciplina equipollente o affine. Qualora il
reperimento di professionisti risulti infruttuoso anche con
l’estensione alle discipline equipollenti o affini, si potrà
procedere al reclutamento di medici privi del diploma di specializzazione
sulla base di linee di indirizzo regionali che definiscano le
modalità di inserimento dei medesimi all’interno delle
strutture aziendali e di individuazione degli ambiti di autonomia
esercitabili col tutoraggio del personale strutturato. Le Regioni
potranno anche organizzare o riconoscere percorsi formativi dedicati
all’acquisizione di competenze teorico-pratiche negli ambiti di
potenziale impiego di medici privi del diploma di specializzazione. Il
diploma di specializzazione è sempre richiesto per le
specialità di Anestesia, rianimazione e terapia intensiva e del
dolore, Medicina nucleare, Radiodiagnostica, Radioterapia e
Neuroradiologia. In luogo della specializzazione in Neuroradiologia sono
ammesse le specializzazioni in Radiologia diagnostica, Radiodiagnostica,
Radiologia e Radiologia medica.
Il contratto è risolto anche prima della
scadenza qualora l’azienda sia in grado di disporre per lo
svolgimento della stessa attività assunzioni con contratto di lavoro
subordinato, ovvero, nell’ipotesi di incarico a medici in possesso
di diploma di specializzazione in disciplina equipollente o affine, di
conferire l’incarico a medici in possesso del diploma nella
specializzazione prevista.
Il contratto può essere rinnovato per una sola
volta previa nuova verifica della sussistenza di tutte le condizioni
previste.
Restano salve, per quanto non diversamente
disciplinato nel presente articolo, le disposizioni in materia di
rapporti di lavoro autonomo contenute nell’articolo 7, comma 5-bis
e seguenti del d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165.
Formazione specialistica dei medici
Al fine di ampliare il numero di medici
specializzati, la Regione può attivare percorsi di formazione
specialistica, alternativi ai contratti di formazione specialistica
disciplinati dal d.lgs. 17 agosto 1999, n. 368, presso le strutture delle
aziende ed enti del servizio socio sanitario regionale in
possesso degli standard generali e specifici
relativi alle capacità strutturali, tecnologiche, organizzative ed
assistenziali previste dalla normativa nazionale e regionale.
L’inserimento dei medici nelle strutture nelle
strutture delle aziende ed enti del servizio sanitario regionale avviene
sulla base di una procedura di selezione finalizzata all’assunzione
di medici in formazione specialistica con contratti a tempo determinato
di durata pari a quella del corso di specializzazione o corrispondente
all’ultimo biennio del corso di specializzazione.
I medici in formazione medico-specialistica sono
affiancati da tutor proposti dal rispettivo direttore della struttura in
cui operano e designati dal direttore sanitario dell’azienda o ente
presso cui svolgono la formazione.
I medici assunti con il contratto a tempo
determinato di cui al presente paragrafo non rientrano nella dotazione
organica e il contratto non dà diritto all’accesso ai ruoli
del servizio sanitario regionale, nè all’instaurazione di
alcun rapporto di lavoro a tempo indeterminato con lo stesso, se non
interviene una ulteriore procedura selettiva a tal fine dedicata. Il
trattamento economico è equivalente al trattamento economico dei
titolari dei contratti di formazione specialistica disciplinati dal
d.lgs. 17 agosto 1999, n. 368.
La Giunta regionale, per l’attivazione dei
percorsi di formazione specialistica di cui al presente paragrafo,
stipula protocolli d’intesa con le Università sedi delle
facoltà di medicina e chirurgia.
La Giunta regionale può inoltre promuovere la
stipula di convenzioni tra la Regione, i Ministeri competenti, le
università e gli altri organismi pubblici e privati competenti
dell’Unione europea per il riconoscimento della formazione
specialistica dei medici conseguita presso le università ed
organismi parti della convenzione.
A seguito della formalizzazione delle convenzioni la
Giunta regionale concorda con le università e gli altri organismi
pubblici e privati competenti degli Stati membri dell’Unione
europea l’attivazione e il finanziamento di posti di formazione
specialistica dei medici.
Accesso al servizio sanitario regionale dei medici non
specializzati
Al fine di garantire le prestazioni comprese nei
livelli essenziali di assistenza, le aziende e gli enti del servizio
sanitario regionale possono assumere, previa procedura concorsuale,
medici in possesso di laurea in medicina e chirurgia e abilitazione
all’esercizio della professione e medici in possesso del diploma di
formazione specifica in medicina generale per lo svolgimento di
attività medico chirurgiche di supporto in coerenza con il grado di
conoscenze, competenze ed abilità acquisite, con autonomia vincolata
alle direttive ricevute da un dirigente medico responsabile.
I medici assunti sono inseriti nella struttura
sanitaria per lo svolgimento di servizi di emergenza e urgenza,
limitatamente alle prestazioni rientranti nei codici verdi o bianchi, di
guardie notturne e festive presso i dipartimenti ospedalieri con il
supporto di reperibilità integrativa di medici specialisti, o di
assistenza sanitaria presso i servizi di trasporto secondari.
Valorizzazione della professionalità del personale
dipendente del servizio sanitario regionale
Al fine di favorire un complessivo miglioramento dei
servizi offerti e di fornire alle aziende ed enti del servizio sanitario
regionale strumenti per il conseguimento dei più elevati livelli di
efficienza dei servizi anche attraverso la valorizzazione e
l’incentivazione del personale, la Giunta regionale,
nell’ambito delle previsioni contenute nella contrattazione
collettiva nazionale, che prevede integrazioni regionali finalizzate
all’efficacia ed efficienza, promuove la sottoscrizione di
specifici accordi con le organizzazioni sindacali maggiormente
rappresentative per destinare specifiche risorse aggiuntive ad
integrazione della struttura stipendiale del personale dipendente del
servizio sanitario regionale ad incentivo e valorizzazione della
professionalità.
La Giunta regionale può altresì destinare
specifiche risorse aggiuntive regionali per il personale dipendente in
servizio presso sedi particolarmente disagiate
Incremento del massimale
di scelte degli incarichi temporanei di assistenza primaria assegnati ai
medici in formazione specifica in medicina generale.
In relazione alla contingente carenza di medici di
medicina generale, aggravata dagli effetti della recente emergenza
epidemiologica da COVID-19 al fine di garantire i livelli essenziali di
assistenza e di scongiurare la possibilità di interruzioni di
pubblico servizio nell’assistenza territoriale, le aziende del
servizio sanitario regionale possono prevedere nelle convenzioni
concernenti gli incarichi temporanei di assistenza primaria assegnati ai
medici iscritti al corso di formazione specifica in medicina generale un
massimale di scelte fino ad un massimo di 1.000 assistiti per il primo
anno, e di 1.200 assistiti per gli anni successivi al primo.
Le ore di incarico di assistenza primaria risultanti
dalla convenzione sottoscritta dal medico iscritto al corso di formazione
specifica in medicina generale con l’azienda saranno computabili
quali attività pratiche del corso (15) (16)
14. IL GOVERNO DELLE RISORSE FINANZIARIE E
STRUMENTALI
|
|
Modello di riparto
pluriennale Strumenti finanziari Centralizzazione Equilibrio
finanziario Sostenibilità Approvvigionamento elettronico
Digitalizzazione Efficienza Soggetti aggregatori Economie di
scala
|
|
Obiettivi
strategici
|
OS1. Rendere
congruente il modello di riparto del FSR al reale profilo dei
bisogni delle popolazioni del territorio ed ai cambiamenti
istituzionali ed organizzativi del SSSR del Veneto
OS2. Aumentare la
flessibilità nell’utilizzo delle risorse finanziarie
OS3. Reperire risorse finanziarie aggiuntive
OS4. Garantire alla
popolazione del Veneto uniformità di cura e di accesso ai
servizi OS5. Garantire l’efficacia e l’efficienza del
patrimonio immobiliare e tecnologico del SSSR OS6. Garantire la
sostenibilità degli investimenti per il SSSR
OS7. Aumentare la
qualità e l’efficienza delle forniture dei beni e dei
servizi per le aziende del SSSR OS8. Aumentare la trasparenza del
processo di acquisto
OS9. Semplificare il
processo di acquisto
OS10. Risparmiare sui
costi di approvvigionamento
|
14.1. LE RISORSE FINANZIARIE
Il modello di
riparto del Fondo Sanitario Regionale
L’incertezza finanziaria che contraddistingue
il sistema economico del nostro paese da alcuni anni a questa parte ha
rilevanti ricadute anche sul SSN e, di riflesso, sui singoli sistemi
sanitari regionali.
Attualmente le Regioni si trovano a programmare ed
organizzare i propri sistemi sanitari e quindi ad erogare i livelli
essenziali di assistenza, in un contesto caratterizzato da una forte
variabilità, incertezza che si riverbera sul fronte delle risorse
finanziarie con sistematici tagli nella disponibilità del Fondo
Sanitario Nazionale (FSN).
Per questo motivo, il modello di riparto del Fondo
Sanitario Regionale (FSR) deve essere ripensato, basandosi
sull’assunto che l’ammontare complessivo delle risorse da
ripartire fra le Aziende sanitarie del Veneto sia un dato esogeno, frutto
di scelte effettuate a livello nazionale e dipendenti da dinamiche
congiunturali.
Considerato, quindi, che l’ammontare
complessivo ogni anno è soggetto a variazione (o anche con frequenza
infrannuale) i finanziamenti alle Aziende sanitarie sono definiti sulla
base di quote percentuali di accesso alle risorse del FSR e non in
termini assoluti.
Il modello di riparto deve, inoltre, valorizzare e
accentuare il ruolo decisionale degli organi di governo della Regione,
attraverso la predisposizione di un modello pluriennale con decisioni
inerenti:
- la distribuzione
percentuale delle risorse fra i programmi di spesa e fra i vari
LEA;
- i criteri per la
ripartizione alle singole Aziende sanitarie, all’interno di ciascun
LEA, delle risorse percentuali stabilite al punto precedente.
La definizione dei precedenti punti compete alla
Giunta Regionale, previo parere del Consiglio regionale.
Il modello di riparto del FSR deve poi tenere in
considerazione la peculiarità dei sistemi regionali, come i
cambiamenti istituzionali ed organizzativi del SSSR conseguenti
all’entrata in vigore della L.
R. 19/2016. Quest’ultima, oltre alla
riorganizzazione territoriale delle Azienda sanitarie componenti il
sistema, ha istituito l’ente di governance Azienda Zero
affidandole numerose funzioni, tra le quali la gestione dei flussi di
cassa relativi al finanziamento del fabbisogno sanitario regionale.
È quindi l’Azienda Zero ad erogare mensilmente le risorse alle
Aziende sanitarie, dando applicazione al modello definito come descritto
poc’anzi.
Nella formulazione del modello di riparto, ovvero
delle scelte inerenti la distribuzione percentuale delle risorse fra i
programmi di spesa e fra i LEA, nonché dei criteri per la
ripartizione alle Aziende sanitarie per ciascun LEA, sono tenuti in
considerazioni i seguenti elementi:
1. Il principale canale di finanziamento alle
Aziende sanitarie è quello del finanziamento, a titolo indistinto,
dei LEA, assegnato sulla base di:
- quota capitaria pesata
(criterio che viene applicato esclusivamente per il riparto alle Aziende
ULSS). Tale criterio si fonda su due dati fondamentali, ovvero, da un
lato, il numero e la composizione demografica della popolazione residente
(età e sesso); dall’altro, i fabbisogni sanitari per ogni
residente di una particolare classe di età e sesso pesati per il
carico di malattia o case-mix;
- finanziamenti a
funzioni (criterio che viene applicato in via esclusiva per il riparto
alle Aziende Ospedaliere e IOV, e in parte anche per il finanziamento
delle Aziende ULSS). Questo criterio si fonda sulla valorizzazione
economica, a costi standard di produzione, di specifiche funzioni
assistenziali così come previsto dal D.Lgs. n. 502/1992;
- dotazioni e costi
standard in coerenza con la programmazione regionale dei servizi
sanitari.
2. Si prevede una percentuale del FSR da destinare
come “contributi da assegnare alle Aziende sanitarie”
per:
- favorire
l’equilibrio economico e finanziario delle Aziende sanitarie in
presenza particolari situazioni;
- incentivare le Aziende
che hanno rispettato gli obiettivi della programmazione, tenendo conto
delle difficoltà gestionali;
- come stabilito
dall’articolo 15 dello Statuto e in coerenza con quanto previsto
dal presente PSSR nella parte afferente alla rete ospedaliera, consentire
alle Aziende ULSS afferenti in tutto o in parte al territorio montano,
lagunare, del Polesine, di garantire, nel rispetto delle specificità
assegnate, l’equo accesso di tutti gli utenti ai servizi
socio-sanitari previsti dalla programmazione regionale che, proprio in
ragione della particolare collocazione territoriale, presentano maggiori
criticità e complessità di erogazione.
Il modello di riparto deve ricomprendere anche i
criteri per l’assegnazione delle risorse per l’erogazione dei
LEA relativi alla non autosufficienza. Queste ultime risorse rientrano
nel complesso di quelle assegnate a titolo indistinto per
l’assistenza distrettuale, mentre per le risorse relative alla non
autosufficienza da finanziamento statale o da specifici ed ulteriori
finanziamenti regionali, permane il vincolo di destinazione ai sensi
della L.R. 30/2009.
La necessità di migliorare il SSSR secondo
criteri di maggiore uniformità e corretta distribuzione delle
risorse, oltre che secondo criteri di razionalizzazione a fronte di costi
sempre crescenti, impone che vengano adottati opportuni piani di
programmazione per quanto riguarda le decisioni relative alla dismissione
e all’eventuale conseguente acquisto di nuove apparecchiature,
scelte che vanno condivise tra il livello aziendale e quello
regionale.
Strumenti finanziari
innovativi
Stante la progressiva riduzione di fonti di
finanziamento statali per gli investimenti, può rendersi opportuno
esplorare nuove modalità di acquisizione di risorse, eventualmente
anche mediante il diretto ricorso al mercato attraverso l'emissione di
strumenti finanziari.
Si tratta di attivare strumenti qualificabili come
“a finalità etica”, la cui attuazione favorisca fasce di
popolazione individuabili come deboli, critiche o a rischio (ad esempio
patologie infantili, malattie rare, patologie oncologiche ecc.).
Tale sistema consente di “fidelizzare”
la popolazione veneta al proprio sistema sanitario, direttamente mediante
i propri risparmi o indirettamente (ad esempio attraverso le Fondazioni
bancarie) e, di contro, responsabilizzare ulteriormente il management
sanitario sull’utilizzo razionale, appropriato ed efficiente degli
investimenti realizzati, che devono anche consentire il rimborso e la
remunerazione (a tassi contenuti, ma sicuri) del capitale ai
risparmiatori.
L’operazione richiede:
- la partnership con un
soggetto finanziario, particolarmente qualificato, che possa attivare e
veicolare gli strumenti;
- un board di altissimo
livello che garantisca ai risparmiatori ed alla cittadinanza tutta,
sull’utilizzo delle risorse finanziarie secondo le finalità
etiche, sociali e sanitarie per le quali si è realizzata la
raccolta;
- un piano di
comunicazione che consenta di favorire una fidelizzazione sul
territorio.
14.2. GLI
INVESTIMENTI
Il finanziamento degli investimenti in edilizia e
tecnologie sanitarie andrebbe dimensionato, in coerenza con
l’impianto generale del modello, come quota percentuale del FSR o
risorse regionali. Le risorse destinate a questa finalità
comprendono sia quelle destinate a finanziare nuovi investimenti sia
quelle necessarie a garantire l’efficacia e l’efficienza del
patrimonio immobiliare e tecnologico esistente.
L’istituzione dell’Azienda Zero e lo
sviluppo dei servizi tecnici per la valutazione dell’Health
Technology Assessment (HTA), consentono lo sviluppo di piani regionali di
investimento per le principali tecnologie sanitarie elettromedicali per
il pieno sfruttamento del patrimonio tecnologico.
In tal modo è possibile prevedere annualmente
un fabbisogno finanziario per mantenere la dotazione di macchinari
all’interno di predefiniti parametri di qualità e sicurezza,
garantendo uniformità di cura e di accesso alla popolazione
regionale, a seconda delle specificità previste dalla programmazione
sanitaria e dell'andamento di opportuni indicatori di performance.
Al fine di accompagnare gradualmente il SSSR verso
la piena operatività di un modello unificante di governo a rete
delle tecnologie sanitarie, viene identificato come obiettivo generale
della programmazione l’implementazione di un Programma Regionale di
Valutazione delle Tecnologie Sanitarie per l’aggiornamento del
processo di segnalazione e di valutazione dell’appropriatezza
d’uso delle tecnologie nella prospettiva del Sistema
Sanitario.
Commissione Regionale per
l’Investimento, Tecnologia e Edilizia (CRITE).
La CRITE supporta la Giunta regionale nella funzione
di definizione e realizzazione degli obiettivi di governo e di
amministrazione (art. 54, comma 1, dello Statuto regionale), sulla base
dei principi ed indirizzi generali della programmazione regionale
generale, di competenza del Consiglio regionale (art. 33 dello Statuto
regionale), verificando sia la coerenza con la programmazione regionale
sia la sostenibilità economico-finanziaria di progetti di
investimento, di tecnologia e di edilizia in ambito sanitario e socio
sanitario.
Per la realizzazione delle attività definite
della programmazione nell’ambito sopra descritto, le Aziende
dovranno dotarsi di piani generali di adeguamento da sottoporre
all’esame della CRITE.
Infatti, nella concreta attuazione dei progetti di
investimento, la CRITE ha un ruolo centrale e, come previsto dalla sua
istituzione, ha il compito di supportare l’organo di governo
regionale nella scelta dei progetti d’investimento di entità
economica superiori alla soglia comunitaria attraverso il rilascio di
parere, tenendo conto della congruità con la programmazione
socio-sanitaria regionale, della conformità sugli aspetti tecnico
sanitari, della convenienza economica e della
fattibilità/sostenibilità finanziaria.
La sua competenza negli investimenti si articola in:
edilizia sanitaria e socio-sanitaria, grandi macchinari, impianti,
attrezzature, informatica e macchine d'ufficio, altri ambiti, quali
mobili, arredi, automezzi, immobilizzazioni immateriali ed altro,
valutazione preventiva sulle procedure degli acquisti centralizzati in
capo alla CRAV, come previsto dalla L.R. 19/2016.
La CRITE analizza e valuta “progetti di
investimento” in cui rientrano anche:
- gli investimenti per
service sanitari e quelli che comportano il noleggio e/o il leasing di
apparecchiature/strumentazioni nonché la fornitura di attrezzature
in comodato d’uso gratuito;
- gli investimenti
previsti nell’ambito di contratti di finanza di progetto o di
concessioni, compresi eventuali atti aggiuntivi;
- le richieste di
autorizzazione alla contrazione di mutui, ai sensi degli artt. 5 e 6
della L.R.
55/1994.
Le competenze della Commissione si sono nel tempo
ampliate e ad essa sono state attribuite nuove funzioni in ragione del
mutato contesto economico-finanziario che ha posto in primo piano la
necessità di realizzare un’attenta politica degli investimenti
nel settore sanitario e socio sanitario e, conseguentemente, di
potenziare le funzioni di coordinamento, razionalizzazione e di controllo
della Giunta regionale in tale ambito.
In particolare alla CRITE è stato affidato il
compito di supportare la Giunta regionale nel processo di approvazione
dei Piani degli Investimenti triennali presentati dalle Aziende sanitarie
esaminando la loro compatibilità rispetto alle risorse disponibili o
rispetto a eventuali finanziamenti specificamente dedicati.
La Commissione esamina, altresì, gli appalti
che prevedono la fornitura di attrezzature in comodato d’uso
gratuito, indipendentemente dal loro valore economico; inoltre formula
pareri in merito alla economicità delle gare d’appalto
(compresi i rinnovi) per l’acquisizione di beni e servizi di valore
economico superiore alla soglia comunitaria, assicurando così un
risparmio a livello aziendale e quindi regionale, considerata la notevole
attività contrattuale posta in essere dalle Aziende, atteso anche il
parere sui costi e prezzi posti a base d’asta in relazione
all’OPRVE (Osservatorio Prezzi Regione del Veneto).
Nell’attuale processo riorganizzativo del
Sistema Sanitario Regionale la CRITE, anche in continuità con le
azioni già individuate e realizzate dal Piano Socio-Sanitario
2012-2016, procederà nell’azione di supporto dell’organo
di governo regionale attraverso i pareri di coerenza degli investimenti
con la programmazione regionale e di sostenibilità
economico-finanziaria in funzione della massima razionalizzazione della
spesa ed assumerà, grazie alle diverse professionalità di cui
dispone, un ruolo sempre più determinante nel lavoro di analisi e di
attività altamente qualificate volte a individuare i fabbisogni
delle nuove Aziende sanitarie in una prospettiva di coordinamento delle
politiche di investimento.
Al fine di garantire la coerenza con le innovazioni
introdotte da fonti normative ed amministrative nazionali e regionali,
con i dettami della programmazione sanitaria regionale, con i vincoli di
sostenibilità economico – finanziaria imposti dal legislatore
nazionale, nonché di verificare periodicamente il progressivo
raggiungimento dei valori minimi di riferimento adottati con
provvedimenti di Giunta Regionale per alcuni profili del personale
dipendente, possono essere sottoposti alla disamina/analisi della CRITE
anche i piani trimestrali di assunzione del personale presentati dalle
Aziende e dagli enti del SSSR.
Tra gli ulteriori ambiti rientrano i Percorsi
Diagnostico Terapeutici (PDTA), approcci volti a garantire al paziente la
continuità dell’assistenza e il collegamento funzionale tra i
nodi della rete dei luoghi di cura ma soprattutto il miglior esito delle
cure a livello locale. Le proposte di PDTA saranno (17) adottate con decreto del Direttore
dell’Area Sanità e Sociale. I PDTA saranno successivamente
monitorati al fine di verificare i risultati perseguiti nell’ottica
della loro sostenibilità economica.
La disamina/analisi può concludersi con
l’emissione di specifica nota di autorizzazione del Direttore
Generale dell’Area Sanità e Sociale e consente l’avvio
delle apposite procedure selettive di reclutamento normativamente
previste.
Il ruolo di supporto della CRITE può esplicarsi
pertanto in tutti quegli ambiti in cui ci sarà l’esigenza di
verificare la sostenibilità economica di azioni attuative della
programmazione regionale, anche in relazione a eventuali limiti di spesa
o di risorse assegnate.
Interventi edilizi
Allo scopo di ottimizzare l'allocazione delle
risorse finanziarie disponibili, oggi sempre più limitate, appare
innanzitutto rilevante razionalizzare l'efficacia degli interventi sulle
strutture sanitarie.
Tra gli obiettivi che si vuole perseguire per il
controllo degli investimenti, vi è l’adeguamento ed
innalzamento della sicurezza degli edifici e degli impianti nel rispetto
di quanto stabilito dalle norme in materia di antincendio e protezione
dagli eventi sismici, assicurando in tal modo la piena funzionalità
degli edifici ospedalieri e socio-sanitari.
Da quanto è emerso dalla ricognizione operata
presso le strutture è risultato necessario coordinare le esigenze di
adeguamento funzionale delle strutture sanitarie con gli interventi di
adeguamento alle norme di sicurezza, sia antincendio che sismica,
recuperando altresì gli investimenti necessari per garantire la
continuità dell'esercizio.
Nel quadro di sintesi sopra illustrato è
fondamentale, nel rispetto del risparmio e dell'efficienza nell'utilizzo
delle limitate risorse finanziarie a disposizione, avviare un percorso
coordinato di interventi le cui procedure operative e contenuti tecnici
sono stati ampiamente definiti; pertanto nel prossimo futuro, dovranno
essere implementati gli adeguamenti sopra descritti in base alle risorse
finanziarie disponibili.
Azioni prioritarie che la programmazione regionale
deve perseguire sono l’ottimizzazione degli spazi attualmente
occupati prevendendo l’accorpamento delle strutture socio-sanitarie
ed il riuso razionale degli spazi, anche mediante la dismissione di
immobili di proprietà utilizzati ad uso istituzionale e la
cessazione dei rapporti di locazione passiva in essere.
Le dismissioni e cessazioni di immobili e locali
sono finalizzate anche alla razionalizzazione degli spazi destinati
all’Azienda Zero per consentire l’operatività degli
uffici aziendali.
14.3. GLI
APPROVVIGIONAMENTI
La centralizzazione delle procedure di
approvvigionamento di beni e servizi, unita all'utilizzo di strumenti
evoluti di approvvigionamento elettronico, consente di ottenere benefici
sia in termini di risparmi sia di aumento della qualità delle
forniture, trasparenza, semplificazione ed efficacia delle stesse, dunque
le procedure di acquisti centralizzati rappresentano, l’elemento
che più evidenzia i cambiamenti intercorsi nell’area degli
acquisti, nonché la base da cui partire per assumere le opportune
decisioni nel medio/lungo periodo.
Accanto alle collaudate centrali di committenza
(Consip, regionali), la Legge 89/2014 ha introdotto la figura del
Soggetto Aggregatore Abilitato - dopo la qualificazione
dell’Autorità Nazionale AntiCorruzione - anche ad
approvvigionare gli enti dei beni/servizi standardizzati e normalmente
acquisiti dalla pubbliche amministrazioni, a tale scopo ha perciò
istituito il “Tavolo tecnico dei soggetti aggregatori”
prevedendo, tra l’altro, che ogni anno ciascun soggetto trasmetta
dati e informazioni relative ai propri fabbisogni di spesa.
La medesima Legge all’interno
dell’Anagrafe unica delle stazioni appaltanti, ha previsto:
- un elenco di Soggetti
Aggregatori di cui fa parte Consip e una centrale di committenza per
ciascuna Regione;
- altri soggetti che
svolgono attività di Centrale di Committenza in possesso degli
specifici requisiti definiti con Decreto del Presidente del Consiglio dei
Ministri.
Inoltre con apposito DPCM, entro il 31 dicembre di
ogni anno, vengono individuate categorie di beni e servizi, nonché
soglie di obbligatorietà economica nel perimetro delle quali i
Soggetti Aggregatori e le amministrazioni ivi contemplate, espletano le
procedure di gara per i relativi approvvigionamenti. Attualmente vige il
DPCM del 24.12.2016 che, con riferimento al biennio 2016-2017, determina
le categorie merceologiche e le soglie.
Successivamente con altri interventi normativi (il
D.Lgs. 50/2016 sul nuovo codice degli appalti e la Legge 208/2015 Legge
di stabilità 2016) è stato rafforzato il processo di
centralizzazione e aggregazione delle varie committenze stimolando,
peraltro, forme più efficaci di collaborazione per ottimizzare le
economie di scala, sul fronte dei costi operativi e su quelli degli
effettivi approvvigionamenti attivati.
Si deve poi registrare anche la spinta ad una
progressiva digitalizzazione dei sistemi di acquisizione di beni e
servizi con l’implementazione di piattaforme elettroniche da
condividere fra più stazioni appaltanti.
In Veneto già da qualche anno opera la Centrale
di Committenza per le aziende sanitarie ed il percorso di
centralizzazione degli approvvigionamenti regionali si è concluso
con l’affidamento all’UO Acquisti Centralizzati SSSR - CRAV
operante all'interno della Direzione Risorse Strumentali SSSR - CRAV
delle funzioni di Soggetto Aggregatore regionale.
La programmazione del sistema degli acquisti ha come
obiettivo di breve periodo quello, una volta a regime la riforma di cui
alla L.R. 19/2016, di ridurre le strutture preposte agli
approvvigionamenti che dovranno interfacciarsi con il Soggetto
Aggregatore regionale, affidato all’Azienda Zero.
Atteso il quadro sopradescritto spetta alla centrale
di acquisto regionale al fine di alleggerire le Aziende sanitarie dalle
funzioni meramente amministrative, soddisfare i bisogni di
approvvigionamento di beni e servizi, accentrando le procedure di
espletamento che più efficacemente possono essere condotte a livello
unificato.
A livello decentrato, viceversa, sarà richiesto
uno sforzo maggiore nell’ individuare i fabbisogni di beni e
servizi qualitativamente e quantitativamente corretta, nonché nella
verifica dell’esecuzione
contrattuale da parte degli operatori economici
aggiudicatari delle procedure di acquisizione; l’utilizzo di
strumentazioni elettronico-telematiche favorirà la rapida esecuzione
delle procedure di acquisizione e lo scambio dati fra la Centrale di
Committenza e le Aziende sanitarie.
In tale direttrice di efficientamento si può
prevedere un piano operativo, per gli acquisti centralizzati, che
persegua i seguenti obbiettivi:
- incremento del numero
delle procedure di gara, con progressivo utilizzo delle procedure
telematiche, con ampliamento delle categorie di beni e servizi oggetto di
acquisizione;
- incremento del numero
degli strumenti di acquisto a disposizione delle Aziende sanitarie, anche
mediante la conclusione di accordi con altri Soggetti Aggregatori;
- potenziamento
dell’attività di formazione e di aggiornamento per il
personale chiamato ad operare nei processi di acquisizione dei beni, sia
esso operante presso la centrale di acquisto che a livello
decentrato.
15. RICERCA, INNOVAZIONE E VALUTAZIONE DELLE TECNOLOGIE
SANITARIE
|
Parole chiave
|
Ricerca, Innovazione,
Internazionalizzazione, HTA, Ricerca trazionale
|
|
Obiettivi
strategici
|
OS1. Promuovere
ricerca ed innovazione in ambito sanitario
OS2. Favorire mediante
la ricerca e l’Health Technology Assessment (HTA) il
processo di introduzione delle nuove tecnologie OS3. Promuovere,
a livello nazionale ed internazionale, le eccellenze del
Veneto
OS4. Sostenere la
ricerca sanitaria trazionale negli ambiti di interesse
prioritario, ivi compresi gli studi di fase IV OS5. Favorire la
sperimentazione clinica
|
Promuovere e sostenere ricerca e innovazione di
qualità per i servizi di prevenzione, cura e riabilitazione è
un investimento che alimenta le conoscenze scientifiche e operative a
beneficio dello stato di salute delle persone, della qualità del
servizio sanitario e dello sviluppo dell’intero sistema
economico.
Ricerca e innovazione in sanità richiedono un
approccio progettuale ed operativo fortemente interdisciplinare, in
stretta collaborazione con università, enti di ricerca, aziende
sanitarie e imprese. Cruciale per il SSSR è infatti la capacità
del sistema di garantire il sostegno al trasferimento tecnologico, per
integrare nell’offerta di servizi sanitari risorse, strumenti e
processi che ne migliorino la qualità.
È in questa cornice di sistema che la Regione
intende svolgere la propria funzione di regia, delegando al Consorzio per
la Ricerca Sanitaria – CORIS gli aspetti operativi, esso infatti
annovera tra i suoi scopi la promozione e il sostegno della ricerca
scientifica nel campo dei trapianti d’organo, di tessuti e della
medicina rigenerativa ma a seguito dei crescenti bisogni in materia di
Ricerca delle Aziende Sanitarie del terriotorio, ha esteso il proprio
ambito appunto alla ricerca sanitaria e socio sanitaria.
È innegabile, infatti, che la Ricerca abbia
bisogno di strumenti in grado di rispondere in modo tempestivo ai propri
bisogni, che vanno dal supporto nella stesura di progetti di ricerca,
alla gestione dei relativi finanziamenti fino alla fase del trasferimento
tecnologico.
In questa aerea si possono quindi delineare i
seguenti obiettivi strategici:
1. Promuovere ricerca ed innovazione in ambito
sanitario
2. Favorire mediante la ricerca e l’Health
Technology Assessment (HTA) il processo di introduzione delle nuove
tecnologie
3. Promuovere, a livello nazionale ed
internazionale, le eccellenze del Veneto
4. Sostenere la ricerca sanitaria tradizionale negli
ambiti di interesse prioritario, ivi compresi gli studi di fase IV
5. Favorire la sperimentazione clinica
Promuovere ricerca ed innovazione
in ambito sanitario
La definizione delle priorità regionali
nell’area della ricerca sanitaria rappresenta un argomento di
particolare rilevanza al fine di attuare una programmazione della ricerca
di base, clinica e sanitaria dando risalto a particolari ambiti,
enfatizzando l’importanza della trazionalità e valorizzando le
collaborazioni tra ricercatori della Regione del Veneto.
La L. R. 9 febbraio 2001, n. 5 , prevede la
possibilità per la Regione di stanziare annualmente un finanziamento
per la ricerca svolta dalle Aziende Sanitarie, Ospedaliere e
dall’Istituto Oncologico Veneto attraverso il Bando per la Ricerca
Sanitaria Finalizzata Regionale documento che ha alla base le aree
prioritarie di intervento di volta in volta individuate e portate avanti
dal CORIS.
Anche la partecipazione ai bandi ministeriali di
ricerca finalizzata e ai programmi finanziati dall’Unione Europea o
promossi da finanziatori privati rappresentano obiettivi da continuare a
perseguire, ma che devono essere necessariamente correlati alle tematiche
ritenute di interesse prioritario per la Regione, anche allo scopo di
ottimizzarne gli investimenti. Risulta, dunque, fondamentale promuovere
la partecipazione a bandi nazionali ed europei nelle aree identificate
quali prioritarie, eventualmente incentivando anche il
cofinanziamento.
Ciò consentirà di ottenere un ritorno
diretto e una ricerca fortemente trazionale, in grado di incidere
rapidamente sulla pratica clinica.
Tuttavia non si può non considerare come le
risorse istituzionali destinate alla ricerca stiano riducendosi e solo
condividendo percorsi con il settore privato sarà possibile far
fronte al bisogno di conoscenze cui risponde la ricerca.
Le forme di partnership pubblico private possono,
opportunamente disciplinate e vigilate, rappresentare un’importante
opportunità, che la Regione già percorre mediante
l’ideazione della “Chiamata - nell’ambito di
collaborazioni pubblico-private - alla presentazione di progetti di
ricerca, innovazione e formazione in sanità” nell’ambito
del Programma per la Ricerca l’Innovazione e l’Health
Technology Assessment (PRIHTA), funzioni gestite da CORIS.
La Ricerca, inoltre, per essere competitiva, deve
rispondere a requisiti di qualità, per i quali sono necessari
interventi diretti di formazione ai ricercatori, ecco perchè sono
necessari strumenti che valorizzando le eccellenze del Veneto, siano in
grado di renderlo concorrenziale in Italia e all’estero.
E’ infine importante prevedere fasi di
approfondimento diverse dai progetti di ricerca, in quanto alcune
tematiche possono avere l’esigenza di esssere trattate
tempestivamente, con metodologie diverse e senza risorse aggiuntive a
carico del sistema. Il CORIS può contribuire in maniera rilevante
grazie alla sua flessibilità e competenza in materia, alla gestione
e al cordinamento di tavoli tecnici su temi che la Regione potrà
indicare periodicamente.
Sostenere con la ricerca e
l’Health Technology Assessment (HTA) il processo di introduzione
delle nuove tecnologie
Nei sistemi sanitari pubblici, le tecnologie
sanitarie (farmaci, dispositivi medici, attrezzature sanitarie, sistemi
diagnostici e percorsi assistenziali) costituiscono un ambito di governo
dinamico e complesso, caratterizzato dalla presenza di una pluralità
di soggetti e dalla necessità di cercare un connubio tra richieste
di innovazione e risorse disponibili.
Ai manager sanitari viene richiesto di contemperare
le istanze dei clinici di poter disporre di tecnologie innovative, quelle
dei pazienti di vedere garantito un equo accesso alle cure e prestazioni
appropriate, oltre che di rispettare i vincoli di spesa stringenti
imposti alle Aziende sanitarie. L’identificazione e il
coinvolgimento dei portatori di interesse nei processi valutativi, la
piena adesione al metodo scientifico, l’approccio multidisciplinare
e il rispetto dei principi di equità e trasparenza, pertanto, si
dimostrano elementi essenziali per conferire credibilità alle
valutazioni e renderle sostenibili nei confronti delle parti
interessate.
Inoltre, il crescente sviluppo delle attività
di ricerca e il relativo trasferimento dei risultati in ambito
assistenziale attraverso l’introduzione di tecnologie innovative
nei sistemi sanitari, impone
a questi ultimi di dotarsi di processi strutturati
di valutazione e di monitoraggio, in grado di assistere ed informare in
modo adeguato i decisori nella definizione delle scelte di politica
sanitaria, a qualsiasi livello di governo. Scelte di politica sanitaria
che, in ultima istanza, dovranno caratterizzarsi per la capacità di
favorire la diffusione nella pratica clinica delle tecnologie più
efficaci, sicure ed efficienti, in sostituzione o in alternativa alle
tecnologie meno efficaci, sicure ed efficienti, sulla base di
modalità condivise, trasparenti, monitorabili e verificabili, che
permettano l’attribuzione di chiare responsabilità in capo ai
soggetti coinvolti nel loro governo.
La Regione del Veneto ha da tempo individuato
nell’Health Technology Assessment (HTA) l’approccio critico
di riferimento per la valutazione delle implicazioni assistenziali,
economiche, sociali ed etiche, provocate in modo diretto ed indiretto
dalle tecnologie sanitarie esistenti e da quelle di nuova introduzione.
L’HTA viene riconosciuto a livello nazionale ed internazionale come
mezzo per supportare decisioni di politica sanitaria sostenibili,
rigorose e basate sulle migliori evidenze, in grado di assicurare
un’assistenza sanitaria efficiente, sicura e di qualità. Il
Veneto è inserito in una rete di organizzazioni che, a livello
regionale, nazionale ed europeo, collaborano attivamente in tale ambito.
In particolare, a livello europeo, si segnala la partecipazione ed il
coinvolgimento nel programma comune European Network for Health
Technology Assessment (EunetHTA), da cui è possibile trarre un
confronto costante con realtà avanzate, contribuendo così alla
maturazione di una cultura della valutazione, a favorire lo scambio di
risorse ed informazioni con gli altri stati membri e a facilitare il
trasferimento dei risultati di processi HTA da un contesto
all’altro.
Con l’attuazione della L.R. 19/2016 recante
disposizioni in materia di riorganizzazione territoriale e funzionale del
SSSR, anche i servizi di valutazione delle tecnologie sanitarie sono
stati oggetto di processi di semplificazione e razionalizzazione del
sistema, prevedendone la loro attribuzione in capo al nuovo ente di
governo del SSSR – Azienda Zero. In questo modo, la Regione del
Veneto ha potuto rispondere appieno alle disposizioni sull’HTA
indicate nella Legge di Stabilità 2016, ove si specifica che le
regioni adottano provvedimenti volti a garantire che gli enti del SSN non
istituiscano unità organizzative di valutazione delle tecnologie,
ovvero sopprimano tutte quelle esistenti, ricorrendo a strutture di
valutazione istituite a livello regionale o nazionale.
Strettamente legato al tema dell’HTA,
c’è quello del Value Based Health Care, ossia la
possibilità di orientare le scelte di politica sanitaria verso
interventi che dimostrino di generare “valore aggiunto per il
paziente”. Occorre dunque generare strumenti che siano in grado di
misurare (e in futuro anche predire) gli esiti clinici, spostando il
focus dalla singola tecnologia all’intero percorso di cura,
utilizzando indicatori che incorporino anche variabili quali la
qualità percepita dal paziente e che siano orientati a trasformare i
processi in un’ottica trasversale di patologia e non di
terapia.
Anche la nostra Regione intende contribuire al
dibattito che si sta sviluppando intorno a questi temi e alle forme
innovative di Value Based Procurement e di gestione condivisa del
rischio.
Promuovere a livello nazionale ed
internazionale le eccellenze del Veneto
Essenziale per poter attrarre finanziamenti è
la possibilità di comunicare quanto fino ad oggi ha prodotto la
nostra ricerca e come questa abbia impattato nella pratica clinica. La
collaborazione con gruppi di ricerca presenti nelle strutture ospedaliere
con i più alti punteggi a livello internazionale, sono ambiti nei
quali molti dei parametri su cui si basa la valutazione di una proposta
si riferiscono a pubblicazioni, finanziamenti precedentemente ricevuti e
brevetti registrati.
CORIS si propone di promuovere la ricerca nei centri
clinici di eccellenza attraverso la ricerca di gruppi attivi negli stessi
ambiti, in grado di stimolare percorsi di innovazione di prodotto e di
processo condivisi.
L’obiettivo di supportare integrazione tra
gruppi di ricerca a livello locale, nazionale e internazionale, è
strettamente legato a quello della costituzione dell’anagrafe della
ricerca, che consenta alla Regione di conoscere non solo quali siano i
gruppi di ricerca impegnati in un determinato ambito, ma anche quali e
quanti finanziamenti abbiano ricevuto e quale sia la produzione
scientifica generata a fronte degli stessi. Tale strumento, oltre a
favorire l’aggregazione, permette di evitare la duplicazione di
tematiche di ricerca, dei relativi finanziamenti e soprattutto la mancata
conoscenza degli ambiti di attività dei singoli gruppi di ricerca
sul territorio veneto.
Nella promozione delle eccellenze venete a livello
internazionale non si devono trascurare le attività di lobbying, che
vanno intese come quelle volte a orientare la Commissione Europea e gli
altri enti detentori di finanziamenti per la ricerca,
nell’individuare quali prioritarie alcune tematiche piuttosto che
altre. La possibilità di partecipare ai tavoli, come ad esempio,
quello che sta lavorando alla stesura del IX Programma Quadro equivale a
contribuire attivamente alla definizione delle singole chiamate, portando
in Europa le necessità di ricerca della Regione del Veneto.
Favorire la ricerca sanitaria
tradizionale negli ambiti di interesse prioritario, ivi compresi gli
studi di fase IV
Considerato che le risorse che la Regione mette a
disposizione per la ricerca derivano dal Fondo SSSR, è di
fondamentale importanza che vengano promossi studi che siano fortemente
trazionali, ossia la cui ricaduta nella pratica clinica sia
concreta.
In quest’ambito occorre favorire il
trasferimento tecnologico delle innovazioni che nascono dalla ricerca,
attraverso l’assistenza ai ricercatori che vogliano registrare in
brevetti le proprie idee progettuali o in generale abbiano bisogno di
tutelare i diritti legati all’invenzione.
La sorveglianza successiva alla messa in commercio
su farmaci e dispositivi è un obiettivo che viene indicato anche a
livello nazionale. I dati a disposizione della Regione e rientranti nei
flussi sono la base di partenza per favorire la conduzione di sudi di
fase IV sui temi ritenuti più rilevanti.
Facilitare la
ricerca
Come già anticipato, all’interno della
rete dei Comitati Etici del Veneto una funzione particolarmente
importante è assegnata alla promozione della ricerca attraverso i
Comitati Etici per la Sperimentazione Clinica, operanti nelle strutture
sanitarie della Regione del Veneto.
La Rete dei Comitati Etici per la Sperimentazione
è integrata dalle Unità dedicate alla ricerca clinica,
istituite presso le Aziende Sanitarie e dall’ IRCCS Istituto
Oncologico Veneto, dotate delle risorse necessarie per espletare le
attività fondamentali per l’avvio e lo svolgimento della
sperimentazione.
Al fine di promuovere la ricerca e l'innovazione sul
proprio territorio, la Regione intende rilanciare la sperimentazione
clinica mediante l’adozione di provvedimenti regionali finalizzati
ad incrementare l’adesione delle strutture sanitarie agli studi
clinici (anche in qualità di centro coordinatore), il consolidamento
delle reti di ricerca e il miglioramento della efficienza dei Comitati
Etici e delle procedure amministrative.
Il CORIS contribuisce alla semplificazione e alla
riorganizzazione dei processi amministrativi che riguardano gli Uffici
per la Ricerca Clinica delle Aziende Sanitarie e la rete dei Comitati
Etici per la sperimentazione, mettendo a disposizione delle Aziende le
risorse necessarie per funzioni di data management e di supporto
amministrativo legale. In questo modo la Regione intende garantire
tempi certi di valutazione, una corretta analisi dei
costi e stipula dei contratti e una maggiore efficienza nel reclutamento
dei pazienti e nella conclusione degli studi.
Parole chiave
16. RAPPORTI CON L’UNIVERSITÀ
Obiettivi
strategici
OS1. Favorire la
collaborazione tra Regione e Università nel raggiungimento dei
compiti istituzionali
OS2. Incentivare la formazione
come sviluppo di professionisti competenti rispetto ai bisogni
clinico-assistenziali OS3. Collaborare per rispondere alle esigenza del
sistema sanitario rispetto alla formazione degli specializzandi
Compito istituzionale dell’Università
è provvedere, oltre che all’attività di ricerca e di
didattica, all’attività assistenziale e ciò nel quadro
della programmazione nazionale e regionale e secondo i principi e i
criteri direttivi di cui all’art. 1 del d.lgs. n. 517/1999, come
declinati dalla Corte costituzionale con sentenza n. 71/2001.
Le attività assistenziali, di ricerca e di
didattica sono tra loro compenetrate; i rapporti con le Università
sono improntati al principio della leale cooperazione in ogni fase del
processo volto a garantire il conseguimento degli obiettivi della
suddetta compenetrazione, anche attraverso l’assolvimento, da parte
dell’Università, dei suoi compiti istituzionali in particolare
attinenti all’attività assistenziale, nonché mediante il
supporto da parte della Regione alle attività istituzionali
dell’Università.
La reciproca leale cooperazione sinergica tra
Regione e Università deve essere funzionale a incrementare
l’efficienza e l’efficacia dell’una e dell’altra
nel perseguimento dei rispettivi compiti istituzionali.
La collaborazione tra Servizio sanitario regionale e
le Università degli studi di Padova e di Verona e l’apporto di
queste all’attività assistenziale del servizio sanitario
regionale è regolata da specifici protocolli d’intesa.
L’apporto dell’Università alla
programmazione regionale socio-sanitaria, riferita alle due aziende
ospedaliere di Padova e Verona, è necessaria e importante e si
esprime attraverso la formulazione alla Regione di proposte e di
programmi, i quali, fermi i vincoli di legge quanto agli standard di
dotazione di posti letto ospedalieri, potranno aver riguardo anche alla
dotazione complessiva di posti letto per le attività assistenziali
essenziali alle attività didattiche e di ricerca
dell’Università e dei suoi corsi di studio.
La formazione dei professionisti sanitari è
resa possibile attraverso una stretta collaborazione tra Servizio
Sanitario Regionale e Università, che consente, attraverso la
compenetrazione della funzione didattica con l’assistenza, la
sviluppo di professionisti competenti rispetto ai bisogni
clinico-assistenziali espressi dagli assistiti nei vari contesti
sanitari. La stessa è regolamentata con specifici protocolli tra
Regione e Università con l’obiettivo di mantenere elevata la
qualità formativa, contemperando la necessità di rispettare gli
standard previsti dall’ordinamento universitario con quella di
mantenere un numero di sedi di corso di laurea diffuso sul territorio
regionale. Allo scopo di garantire la disponibilità di
professionisti sanitari impiegati nei corsi di laurea che, oltre alle
competenze pedagogico-tutoriali, mantengano elevati livelli di competenza
clinica dovrà essere valutata l’individuazione di nuove
modalità di interazione di tali professionisti con i diversi
contesti clinici.
Dovranno essere definite e disciplinate le
modalità della reciproca collaborazione al fine di soddisfare le
specifiche esigenze del servizio sanitario nazionale connesse alla
formazione degli specializzandi. La Regione contribuisce alla formazione
specialistica dei propri medici e non medici finanziando contratti di
formazione specialistica e borse di studio aggiuntivi presso le scuole di
specializzazione universitaria di Atenei veneti e contermini, favorendo
la permanenza dei professionisti così formati nelle strutture e
negli enti del servizio sanitario regionale.
La collaborazione con l’Università si
attua anche nella formazione post laurea dei professionisti sanitari
attraverso la progettazione congiunta e l’implementazione di master
e/o corsi di perfezionamento indirizzati a professionisti in servizio
presso enti e aziende del SSN, anche con riferimento a specifiche
esigenze della programmazione socio sanitaria regionale.
Note
(
1) Con sentenza n. 112/2023
(G.U. - 1ª Serie Speciale n. 23/2023) la Corte costituzionale ha
dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale
sollevate dal Governo con ricorso n. 50 del 27 luglio 2022 (G.U. -
1ª Serie Speciale n. 38/2022), per violazione degli articoli 3 e
117, terzo comma della Costituzione, nella parte in cui, modificando
l’allegato alla
legge regionale 28 dicembre 2018, n. 48
“Piano socio sanitario regionale 2019 – 2023”,
attraverso l’inserimento del paragrafo rubricato “Incremento
del massimale di scelte degli incarichi temporanei di assistenza primaria
assegnati ai medici in formazione specifica in medicina generale”,
si discosta dalla vigente normativa statale in materia di incarichi
temporanei di assistenza primaria assegnati ai medici iscritti al corso
di formazione in medicina generale, integrando una violazione del
principio di eguaglianza nonché dei principi fondamentali nelle
materie concorrenti della tutela della salute e delle professioni. Ad
avviso della Corte, invece, il massimale di incarichi più elevato
introdotto dal legislatore veneto rispetto al limite fissato dal
legislatore statale con l’articolo 9, comma 2, del d. l. 135/2018,
come convertito, non contrasta con principi fondamentali, posto che tale
disposizione ha portata strumentale e non prescrive una modalità
organizzativa vincolante, ma un possibile criterio di contemperamento tra
l’esigenza contingente, dettata dalle scoperture in ambito
sanitario, di impiegare nell’attività assistenziale i medici
che frequentano il corso e la necessità di perseguire il risultato
della qualità della loro formazione.
(
2) Con sentenza n. 36/2022 (G.U.
- 1ª Serie Speciale n. 8/2022) la Corte costituzionale ha dichiarato
inammissibili le questioni di legittimità costituzionale sollevate
con riferimento all’art. 1, comma 2 e all’allegato Piano
socio sanitario regionale 2019 - 2023, per violazione degli articoli 3,
32 e 117, commi secondo, lettera l) e terzo della Costituzione.
(
3) Con sentenza n. 36/2022 (G.U.
- 1ª Serie Speciale n. 8/2022) la Corte costituzionale ha dichiarato
inammissibili le questioni di legittimità costituzionale sollevate
dal Tribunale amministrativo regionale per il Veneto con ordinanza n.
33/2021, con riferimento all’art. 1, comma 2 e all’allegato
Piano socio sanitario regionale 2019 - 2023, nella parte in cui in cui
approva l'allegato Piano socio-sanitario regionale della Regione Veneto
2019-2023 limitatamente alla previsione che «allo scopo di garantire
l'erogazione delle prestazioni di assistenza diretta ai pazienti,
comprese nei LEA, le aziende sanitarie possono, in via eccezionale,
conferire a medici incarichi individuali con contratto di lavoro autonomo
anche per lo svolgimento di funzioni ordinarie» e che «Qualora
risulti oggettivamente impossibile il reperimento di medici in possesso
della specializzazione richiesta, la selezione potrà essere estesa
anche a medici in possesso di diploma di specializzazione in disciplina
equipollente o affine. Qualora il reperimento di professionisti risulti
infruttuoso anche con l'estensione alle discipline equipollenti o affini,
si potrà procedere al reclutamento di medici privi del diploma di
specializzazione sulla base di linee di indirizzo regionali che
definiscano le modalità di inserimento dei medesimi all'interno
delle strutture aziendali e di individuazione degli ambiti di autonomia
esercitabili col tutoraggio del personale strutturato. Le Regioni
potranno anche organizzare o riconoscere percorsi formativi dedicati
all'acquisizione di competenze teorico-pratiche negli ambiti di
potenziale impiego di medici privi del diploma di specializzazione»;
quanto sopra, ad avviso del TAR remittente contrastava con i principi
fondamentali posti dal legislatore statale nella materia, di competenza
concorrente, della tutela della salute (art. 117 terzo comma della
Costituzione) con riguardo sia ai principi relativi alle modalità di
accesso al SSN, sia ai requisiti e ai titoli professionali di accesso al
SSN del personale medico affidatario di incarichi, nonché con le
previsioni statali che forniscono coordinate e vincoli per le
amministrazioni pubbliche che intendono avvalersi di contratti
flessibili, con conseguente ridondanza anche sui principi in materia di
coordinamento della finanza pubblica: ad avviso della Corte, invece,
l’ordinanza di rimessione non ha tenuto conto dell’evoluzione
della normativa statale in materia; della specifica previsione del PSSR
che fa salve (per quanto non diversamente disciplinato), le vigenti
disposizioni in materia di rapporti di lavoro autonomo; non ha
autonomamente argomentato le censure riferite agli articoli 3 e 32 della
Costituzione.
(
4) In materia vedi anche quanto
disposto dalla
legge regionale 18 gennaio 2022, n. 1
“Risparmi di spesa in sanità”.
(
5) Testo riportato ai commi 1 e
2 dell’art. 2
legge regionale 5 agosto 2010, n. 21 .
(
6) Comma inserito da comma 1
art. 1
legge
regionale 16 maggio 2019, n. 18 .
(7)
Articolo inserito da comma 1 art. 8 della
legge regionale 09 agosto 2024, n. 20 .
(
8) Testo riportato
all’art. 15 della
legge regionale 29 giugno 2012, n. 23 .
(
9) In materia di personale di
Azienda Zero vedi ora quanto disposto dall’articolo 20 della
legge regionale 27
maggio 2022, n. 12 , ai sensi del quale: “ Art. 20 - Chiusura
della disciplina di prima applicazione della
legge regionale 25 ottobre 2016, n. 19
“Istituzione dell'ente di governance della sanità regionale
veneta denominato “Azienda per il governo della sanità della
Regione del Veneto - Azienda Zero”. Disposizioni per la
individuazione dei nuovi ambiti territoriali delle Aziende ULSS.”
in materia di personale di Azienda Zero.
1. Le disposizioni di cui ai commi 1 e 3 dell’articolo 7 della
legge regionale 25
ottobre 2016, n. 19 e di cui all’articolo 14 della
legge regionale 28 dicembre
2018, n. 48 “Piano socio sanitario regionale 2019-2023”
esauriscono i loro effetti con il completamento delle procedure di
mobilità dalle aziende ed enti del Servizio sanitario regionale e
del trasferimento dei relativi fondi contrattuali a seguito degli accordi
conclusi in sede sindacale dalle stesse aziende ed enti ai sensi
dell’articolo 31 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165
“Norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle
amministrazioni pubbliche” e dell’articolo 47 della legge 29
dicembre 1990, n. 428 “Disposizioni per l'adempimento di obblighi
derivanti dall'appartenenza dell'Italia alle Comunità europee (legge
comunitaria per il 1990)”.
2. A completamento delle procedure di cui al comma 1, Azienda Zero
dispone le assunzioni di personale in conformità all’Atto
aziendale, al Piano triennale dei fabbisogni di cui all’articolo 6
del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 “Norme generali
sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni
pubbliche”, alla legislazione statale in materia di spesa del
personale del Servizio sanitario nazionale ed alle determinazioni della
Giunta regionale riguardanti il personale del Servizio sanitario
regionale.
3. Resta fermo che al personale di Azienda Zero si applica la disciplina
giuridica, economica e previdenziale del personale del Servizio sanitario
nazionale.”.
(
10) Vedi anche quanto
disposto dall’articolo 19, recante graduatorie concorsuali delle
aziende ed enti del servizio sanitario regionale, della
legge regionale 16 maggio
2019, n. 15 .
(
11) Vedi anche le funzioni
riconosciute alla CRITE dalla
legge regionale 16 luglio 2019, n. 26 .
(
12) Testo riportato al comma
2 dell’art. 2
legge regionale 25 ottobre 2016, n. 19 .
(13) Paragrafo modificato da comma 1 art.
13 legge regionale
27 maggio 2022, n. 12 che ha soppresso le parole: “accompagnata
da una relazione sulla sostenibilità economica per l’utilizzo
delle risorse nel percorso delineato che deve essere sottoposta a
valutazione della CRITE”.
(14) Denominazione del paragrafo
modificata da comma 1 art. 12 legge regionale 27 maggio 2022, n.
12 .
(15) Sottoparagrafo aggiunto da comma 2
art. 12 legge
regionale 27 maggio 2022, n. 12 .
(16) Con sentenza n. 112/2023 (G.U. -
1ª Serie Speciale n. 23/2023) la Corte costituzionale ha dichiarato
non fondate le questioni di legittimità costituzionale sollevate dal
Governo con ricorso n. 50 del 27 luglio 2022 (G.U. - 1ª Serie
Speciale n. 38/2022), per violazione degli articoli 3 e 117, terzo comma
della Costituzione, nella parte in cui, modificando l’allegato alla
legge regionale 28
dicembre 2018, n. 48 “Piano socio sanitario regionale 2019
– 2023”, attraverso l’inserimento del paragrafo
rubricato “Incremento del massimale di scelte degli incarichi
temporanei di assistenza primaria assegnati ai medici in formazione
specifica in medicina generale”, si discosta dalla vigente
normativa statale in materia di incarichi temporanei di assistenza
primaria assegnati ai medici iscritti al corso di formazione in medicina
generale, integrando una violazione del principio di eguaglianza
nonché dei principi fondamentali nelle materie concorrenti della
tutela della salute e delle professioni. Ad avviso della Corte, invece,
il massimale di incarichi più elevato introdotto dal legislatore
veneto rispetto al limite fissato dal legislatore statale con
l’articolo 9, comma 2, del d. l. 135/2018, come convertito, non
contrasta con principi fondamentali, posto che tale disposizione ha
portata strumentale e non prescrive una modalità organizzativa
vincolante, ma un possibile criterio di contemperamento tra
l’esigenza contingente, dettata dalle scoperture in ambito
sanitario, di impiegare nell’attività assistenziale i medici
che frequentano il corso e la necessità di perseguire il risultato
della qualità della loro formazione.
(17) Paragrafo
modificato da comma 2 art. 13 della legge regionale 27 maggio 2022, n. 12 che
ha soppresso le parole: “sottoposte a valutazione e approvazione
della CRITE e successivamente”.
SOMMARIO
-
Legge regionale 28 dicembre 2018, n. 48
(BUR n. 133/2018)
-
PIANO SOCIO SANITARIO REGIONALE
2019-2023 (1) (2)
-
-
Art. 1 - Piano socio sanitario
regionale 2019-2023.
-
Art. 2 - Esercizio delle forme e
condizioni particolari di autonomia ai sensi dell’Intesa tra
il Governo della Repubblica italiana e la Regione del Veneto.
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Art. 3 - Modifiche alla
legge
regionale 5 agosto 2010, n. 21 “Norme per la
riorganizzazione del Servizio ispettivo e di vigilanza per il
sistema socio-sanitario veneto”.
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Art. 4 - Salvaguardia delle
specificità territoriali.
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Art. 5 - Valutazione del Piano
socio sanitario regionale 2019-2023.
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Art. 6 - Definizione delle
dotazioni standard e dei costi standard.
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Art. 7 - Schede di dotazione
territoriale dei servizi e delle strutture di ricovero
intermedie.
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Art. 8 - Conferimento incarichi e
valutazione dei dirigenti apicali di unità operative
complesse.
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Art. 8 bis - Conferimento degli
incarichi di struttura complessa ai dirigenti delle professioni
sanitarie. (7)
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Art. 9 - Trasparenza.
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Art. 10 - Forme integrative
regionali di assistenza sanitaria e socio-sanitaria.
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Art. 11 - Fascicolo sanitario
elettronico. Attuazione dell’articolo 2, comma 1, lettera g),
numero 11, della legge regionale 25 ottobre 2016, n.
19 “Istituzione dell’ente di governance della
sanità regionale veneta denominato “Azienda per il
governo della sanità della Regione del Veneto - Azienda
Zero”. Disposizioni per la individuazione dei nuovi ambiti
territoriali delle Aziende ULSS”.
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Art. 12 - Prestazioni dei
dirigenti veterinari.
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Art. 13 - Direttore sanitario di
struttura privata accreditata.
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Art. 14 - Disposizioni in materia
di personale di Azienda Zero. (9)
-
Art. 15 - Interventi per la
razionalizzazione della spesa delle aziende e degli enti del
servizio sanitario regionale. (10)
-
Art. 16 - Commissione regionale
per l’investimento, tecnologia e edilizia (CRITE). (11)
-
Art. 17 - Modifica
dell’articolo 2, comma 2, della legge regionale 25 ottobre 2016,
n. 19 “Istituzione dell’ente di governance della
sanità regionale veneta denominato “Azienda per il
governo della sanità della Regione del Veneto - Azienda
Zero”. Disposizioni per la individuazione dei nuovi ambiti
territoriali delle Aziende ULSS”.
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Art. 18 - Clausola di
neutralità finanziaria.
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Art. 19 - Norma transitoria.
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PIANO SOCIO-SANITARIO REGIONALE
DELLA REGIONE DEL VENETO
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INTRODUZIONE:
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LA SALUTE IN UN SISTEMA
INTEGRATO
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PARTE I:
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BISOGNI, DOMANDA E OFFERTA
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1. LO SCENARIO EPIDEMIOLOGICO E
SOCIALE E L’IMPATTO SULLA DOMANDA DI SERVIZI SOCIO-SANITARI
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2. LA PROMOZIONE DELLA SALUTE E LA
PREVENZIONE DEI FATTORI DI RISCHIO
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3. LA PROMOZIONE SOCIO SANITARIA
DELLA REGIONE VENETO
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3.1. L’ORGANIZZAZIONE DEL
SISTEMA SOCIO SANITARIO DEL VENETO
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4. LA SALUTE DELLA DONNA E DEL
BAMBINO
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La salute riproduttiva e il periodo
pre, peri e immediatamente postnatale qualificato dall’evento
nascita
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5. IL PERCORSO DEL PAZIENTE IN
OSPEDALE
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Il percorso dei pazienti acuti in
Pronto Soccorso
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6. LA PRESA IN CARICO DELLA
CRONICITÀ E DELLA MULTIMORBILITÀ PER INTENSITÀ DI CURA E
DI ASSISTENZA
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7. LE MALATTIE RARE
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8. LA SALUTE MENTALE
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9. L’INTEGRAZIONE
SOCIO-SANITARIA
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PARTE II:
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I SISTEMI DI SUPPORTO
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10. IL GOVERNO DEL SISTEMA E IL
GOVERNO DELLE AZIENDE
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11. LA GESTIONE DEL PATRIMONIO
INFORMATIVO SOCIO-SANITARIO
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12. IL GOVERNO DELLA FARMACEUTICA E
DEI DISPOSITIVI MEDICI
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13. IL GOVERNO E LE POLITICHE PER
IL PERSONALE
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Definire nuovi orizzonti nella
trasformazione della “geografia” delle professioni
sanitarie
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14. IL GOVERNO DELLE RISORSE
FINANZIARIE E STRUMENTALI
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15. RICERCA, INNOVAZIONE E
VALUTAZIONE DELLE TECNOLOGIE SANITARIE
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16. RAPPORTI CON
L’UNIVERSITÀ